Circola questa foto sul web. È stata scattata nell’estate del 1973 a Napoli. Quarant’otto anni fa. Quando scoppiò il colera e la città del Vesuvio ne fu l’epicentro. Morirono persone, saltarono le strutture sanitarie. Solo all’ospedale Cotugno, specializzato per le malattie infettive, in dieci giorni ci furono 911 ricoveri. Fermatevi su quelle facce “pasoliniane”, è il popolo partorito dal grande ventre di Napoli. Sono proletari e sottoproletari dei Quartieri Spagnoli, della Sanità e del Pallonetto. Lazzari infelici. Osservate cosa c’è scritto su quel cartone issato come un vessillo della disperazione. «Vogliamo il vaccino», sì, avete letto bene.

Il “popolo”, “la ggente”, quelli che mestatori da quattro soldi diventati statisti all’improvviso strumentalizzano da una decina di anni mietendo voti e applausi, protestava, si batteva, scendeva in piazza per chiedere alla scienza e alla medicina di fare presto. Contestava il capo del governo di allora (Mariano Rumor, Dc), il ministro della Sanità (Luigi Gui, Dc) che non trovava le dosi del vaccino, il sindaco di Napoli (Giovanni De Michele, Dc) per le fogne intasate e le strade sporche.

Quel “popolo” vinse la sua battaglia e in sette giorni un milione di campani furono vaccinati. Non si fece stregare dalle fake news dell’epoca (cozze e vibrione responsabili della pandemia), ma volle andare fino in fondo, guardare alla sua condizione sociale, e allo stato della città. Lo scrittore Domenico Rea, disse che «il virus siamo noi» e parlò della Napoli di quegli anni Settanta, una città con il suo «alto» e il suo «basso». Altri intellettuali parlarono delle condizioni di vita al limite di proletariato e sottoproletariato urbano. “Quel” popolo aveva anche chi lo guidava, chi offriva una prospettiva, una politica che sapeva informare ed era anche pedagogia di massa. Ecco spiegato quel cartello.

I silenzi degli altri

Che io osservo mettendolo a confronto con le immagini delle manifestazioni di questi giorni contro i vaccini, i green pass e la “dittatura sanitaria”. Sono cambiati i tratti dei volti e dei corpi, ed è cambiata anche la consapevolezza, il senso reale delle cose da parte del “popolo”. Che oggi affolla le piazze inseguendo gli slogan antiscientifici di esperti da Google, che si mette una stella di David (simbolo che segnava gli ebrei ai tempi del nazismo) sul braccio con la scritta “no al vaccino”, che segue agitatori di piazza della destra fascista ammassandosi con allegria, senza mascherina, preparando futuri e catastrofici lockdown.

Guardo, osservo, cerco di far “parlare” quelle foto del 1973 in bianco e nero, le confronto con le immagini colorate di oggi e arrivo a una sola, triste conclusione. Da allora, da quarant’otto anni fa, abbiamo fatto dei passi indietro giganteschi. Sì, le società possono regredire, e noi lo abbiamo fatto galoppando, fino a precipitare nel buco nero di questi giorni. Certo, in piazza c’è una esigua ma rumorosa minoranza, rispetto agli italiani in generale e a quelli vaccinati e col green pass, ma la statistica non mi consola, perché quelle manifestazioni sono la spia di un fenomeno molto allarmante. Quel “popolo” in piazza è guidato da una politica irresponsabile, che punta solo ai voti. I suoi errori, i suoi umori più neri, i suoi movimenti viscerali, non sono corretti, ma accarezzati, vellicati, perché solo così si mietono consensi.

Salvini e Meloni sono maestri in questo. Giocano sui vaccini, sul razzismo, sui rancori diffusi, e la loro è una partita senza avversari. A Voghera un bianco, assessore leghista e avvocato, ex poliziotto, spara e uccide un cittadino marocchino in difficoltà. Salvini fa il suo mestiere: lo difende. E la sinistra, almeno quella che ancora oggi si proclama tale? I suoi intellettuali ospiti fissi dei bla bla bla televisivi che fanno? Balbettano, nella migliore delle ipotesi si cimentano in pericolosi equilibrismi per non scontentare nessuno. Così hanno fatto sul vasto tema dell’immigrazione (ricordate la teorizzazione che bisogna fare un po’ come la destra, per non far vincere la destra?), così fanno sul problema dell’equità fiscale (guai a parlare di patrimoniale), sui licenziamenti di massa. Così fanno da sempre condannandosi al suicidio politico.

Ritorno al cartello in bianco e nero e a quella consapevolezza “popolare”: due anni dopo il colera a Napoli si votò per le comunali. Fu eletto un grande sindaco, Maurizio Valenzi, antifascista, comunista e intellettuale prestigioso. Ritorno all’oggi, alle manifestazioni. Tutti i sondaggi ci dicono una cosa sola: alle prossime elezioni politiche stravincerà la destra di Salvini e Meloni. Merito loro? No. Merito dei silenzi degli altri.

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