Rieccolo. Ormai sono trent’anni che Silvio Berlusconi va e viene. Nove anni fa, dopo aver fatto cadere un altro governo tecnico, quello guidato da Mario Monti, aveva già 76 anni. Mentre prometteva a gran voce di abolire l’Imu, sembravano per fortuna gli ultimi fuochi. E invece, quasi dieci anni dopo, a quasi 86 anni, si riaffaccia alla ribalta con volto truccato da attore consumato e la prima cosa che fa è compatire Mario Draghi, accusandolo di aver lasciato perché «stanco». Una volgare mancanza di rispetto.

È evidente che lo scopo di Berlusconi è quello di diventare presidente della Repubblica. Perché altrimenti avrebbe fatto saltare la candidatura al Colle di Mario Draghi? Perché far cadere adesso un governo tanto stimato in tutto il mondo? Ha già in fresco lo champagne da stappare al Quirinale insieme agli amici Vladimir Putin e Viktor Orbàn. E nessun altro. A parte Marta Fascina, che con i suoi 32 anni, avrebbe il primato della più giovane first lady della storia italiana accanto al nonno.

La vita privata di Berlusconi non è certo il suo aspetto più pericoloso, al limite può strappare un sorriso, a meno che non si finisca con una mozione in parlamento come quando si sostenne che Ruby Rubacuori fosse la nipote del presidente Mubarak.

Mentalità vecchia

Foto AGF

La verità è che l’anzianità di Berlusconi non è solo un dato anagrafico. È la sua mentalità che è vecchia, senza dimenticare la credibilità internazionale in frantumi. Fra tutti i siparietti di cui ci ha deliziato in passato, basta ricordare quando in conferenza stampa un giornalista chiese a Nicolas Sarkozy se fosse stato rassicurato da Berlusconi sulle responsabilità dell’Italia. Il premier francese fece una famosa piccola pausa allibita, poi guardò Angela Merkel accanto a lui e i due non poterono trattenere una risata in mondovisione.

È vecchia anche la storia che continua a raccontare agli italiani come un disco rotto. Dopo aver promesso per decenni un “nuovo miracolo italiano”, i suoi governi l’hanno puntualmente smentito con crescite minime o nulle, fino alla quasi bancarotta del 2011. Sono vecchissimi i suoi slogan, da «un milione di posti di lavoro» di vent’anni fa a «un milione di alberi l’anno» della scorsa settimana. Svolta ecologista.

Con larga probabilità a settembre sarà eletta la prima presidente post-fascista, come il New York Times chiama Giorgia Meloni. Sarà lei a guidare il paese verso la rinascita insieme a Matteo Salvini, ministro dell’Interno xenofobo. Siamo in attesa di assistere a una nuova desolante stagione fatta di “mandiamo a casa gli immigrati”, “risolviamo l’economia con i condoni”, “in fondo l’euro a che ci serve”. Chissà che livelli raggiungerà il populismo. D’altronde negli ultimi anni in Italia ha sempre regnato sovrano con le brevi eccezioni dei governi Monti e Draghi.

Oggi che l’inflazione galoppa e la Bce ha alzato i tassi di interesse, a destra ci si preoccupa di stupidaggini da “borghese piccolo piccolo”, preso in prestito da Vincenzo Cerami. El Paìs ha scritto che abbiamo una politica grottesca e un parlamento autolesionista. In generale, la stampa estera ci descrive come un paese irrecuperabile. Come dar loro torto?

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