Lo scorso primo marzo, il presidente del Consiglio Mario Draghi ha richiesto ed ottenuto dalle Camere la facoltà di inviare materiale d’armamento e supporto militare all’Ucraina, sulla scia della Unione europea e di altri paesi europei ed extra europei, inclusi gli Stati Uniti, il Regno Unito e l’Australia. Tutti questi paesi sostengono di fornire o avere l’intenzione di fornire “armi difensive”, le quali, sempre a detta di questi paesi, includono armi come missili terra-aria o missili e mine anticarro. È il caso quindi di esplorare cosa dicono le norme che regolano il trasferimento di armi in questi casi.

Nel caso in cui si trasferiscano armamenti ad un paese coinvolto in un conflitto armato come l’Ucraina attualmente, la legalità di questi trasferimenti si basa, tra l’altro, su come viene definito il conflitto che coinvolge il paese destinatario delle armi.

La reazione armata all’invasione illegale russa può essere classificata come l’esercizio del diritto all’autotutela da parte dell’Ucraina, come sancito dall’articolo 51 della Carta dell’Onu, come ha d’altra parte sostenuto anche lo stesso presidente Draghi il primo marzo. In tal senso, la legalità dell’azione ucraina legalizza in parte il supporto italiano tramite l’invio delle armi.

Questo è ribadito anche dalla stessa legge 185 del 1990 dell’Italia, la quale non estende il divieto di fornire armi ad un paese in conflitto armato quando questo paese stia usando la forza nel caso eccezionalmente previsto dallo stesso articolo 51 della Carta dell’Onu. Per questo motivo, la richiesta alle camere di deroga alla legge 185 di ieri del presidente Draghi è ridondante, perché l’invio di armi all’Ucraina ricade già in un’eccezione prevista dalla stessa legge 185 del 1990.

Il trattato sul commercio delle armi

L’Italia è anche parte dell’Trattato sul Commercio delle Armi (Att nella forma abbreviata inglese), il quale non ostacola l’esercizio del diritto all’autotutela e, addirittura, permette agli stati di valutare se le armi che vengono inviate ad un altro paese possono contribuire alla pace e alla sicurezza.

In maniera simile, anche la Posizione Comune del Consiglio Europeo 2008/944 permette agli stati esportatori di tenere in considerazione le esigenze difensive del paese che riceve le armi. In tal senso, anche se non esiste a livello internazionale una distinzione tra armi difensive ed offensive, gli stati che sostengono di inviare “armi difensive”, sembrano fare riferimento proprio al fatto che queste armi sono rivolte all’esercizio del diritto all’autotutela dell’Ucraina.

Detto ciò, è importante precisare che le norme che regolano questi trasferimenti di armi richiedono anche agli stati esportatori di valutare che il paese che le riceve non vada a commettere serie violazioni del diritto internazionale, come crimini di guerra o crimini contro l’umanità.

Per questo motivo, la responsabilità dei paesi esportatori di armi si estende sia prima che dopo l’invio delle armi. L’Italia, la Ue e altri paesi esportatori devono continuamente monitorare se l’Ucraina usa le armi ricevute dall’estero in maniera legale.

La prospettiva russa

In tutto ciò, la Russia potrebbe non ritenere corretta la classificazione del conflitto in Ucraina come esercizio del diritto ucraino all’autotutela, e quindi potrebbe ritenere il supporto militare all’Ucraina come illegale e di poter adottare contromisure contro questi paesi, come, ad esempio, l’intercettazione di navi straniere con carichi militari per l’Ucraina.

Tale posizione, ancora ovviamente non esplicitamente espressa dal Cremlino, non sarebbe in linea con la Carta delle Nazioni unite e con il diritto internazionale contemporaneo, il quale addirittura impone agli stati di collaborare al fine di cessare una violazione di norme internazionali cogenti, come appunto l’articolo 2.4 della Carta dell’Onu, chiaramente violato dalla Russia in questa circostanza.

Infine, è importante ricordare che il diritto internazionale contemporaneo è rivolto alla promozione ed il mantenimento della pace e sicurezza internazionale, come si vede all’articolo 2.3 della Carta dell’Onu.

Quindi, nonostante la legalità di questi trasferimenti, gli stati non solo devono considerare che la risoluzione pacifica del conflitto sia sempre da preferire e agevolare, ma devono tenere conto delle conseguenze di questi trasferimenti a lungo termine, tra cui la possibilità che queste armi finiscano in mani indesiderate al termine del conflitto tra Russia ed Ucraina.

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