La politica russa dell’eternità cercò un momento mitico di innocenza tornando indietro nel tempo di mille anni. Vladimir Putin affermò che la sua visione millenaria del battesimo di Volodimir/Valdmarr I di Kiev faceva della Russia e dell’Ucraina un solo popolo.

Durante una visita a Kiev nel luglio del 2013 «lesse le anime» e parlò della geopolitica di Dio: «La nostra unità spirituale cominciò con il battesimo della Santa Rus’ 1025 anni fa. Da allora sono accadute molte cose nella vita dei nostri popoli, ma la nostra unità spirituale è così salda da non risentire di alcuna iniziativa da parte di alcuna autorità: né di quelle governative né, oserei dire, di quelle ecclesiastiche. Infatti, qualunque autorità guidi il popolo, nessuna può essere più forte di quella del Signore. Nulla può esserlo. Questa è la base più solida per la nostra unità nelle anime della nostra gente». 

Nel settembre del 2013 al Valdai Club, il summit presidenziale ufficiale sulla politica estera, Putin espose la sua visione in termini secolari. Accennò al «modello organico» dell’entità statale russa proposto da Il’in, in cui l’Ucraina era un organo inseparabile dal corpo russo vergine. «Abbiamo tradizioni comuni, una mentalità comune, una storia comune e una cultura comune» disse. «Abbiamo lingue molto simili. Da questo punto di vista, voglio ripeterlo ancora, siamo un popolo solo».

La firma dell’accordo di associazione tra l’Ue e l’Ucraina era in programma di lì a due mesi. La Russia avrebbe cercato di ostacolare il processo adducendo la motivazione che nella sua sfera spirituale d’influenza – nel «mondo russo», come iniziò a dire Putin – non poteva succedere nulla di nuovo. Il suo tentativo di applicare una politica russa dell’eternità al di là dei confini russi ebbe conseguenze impreviste. Gli ucraini reagirono inaugurando nuovi tipi di politica.

Pensiero storico

Le nazioni sono cose nuove che si riferiscono a cose vecchie. Ciò che conta è come lo fanno. È possibile, come hanno fatto i leader russi, mettere in circolazione formule rituali studiate per consolidare lo status quo in patria e giustificare l’impero all’estero.

Dire che la «Rus’» è la «Russia», o che il Volodimir/ Valdmarr I degli anni Ottanta del X secolo è il Vladimir Putin della Federazione russa negli anni Duemiladieci, significa cancellare secoli di materiale interpretabile che permetterebbe il pensiero storico e il giudizio politico.

Nei mille anni trascorsi dal battesimo di Volodimir/Valdmarr I di Kiev è possibile vedere anche una storia, anziché un racconto di eternità. Ragionare storicamente non significa barattare un mito nazionale con un altro, dire che l’erede della Rus’ è l’Ucraina invece della Russia, che Volodimir/Valdmarr era ucraino e non russo. Fare una simile affermazione equivale soltanto a sostituire una politica russa dell’eternità con una politica ucraina dell’eternità.

Ragionare storicamente significa capire come sia possibile qualcosa di simile all’Ucraina, come sia possibile qualcosa di simile alla Russia. Ragionare storicamente significa scorgere i limiti delle strutture, gli spazi di indeterminatezza, le possibilità di libertà. Le configurazioni che rendono possibile l’Ucraina oggi sono visibili nell’epoca medievale e agli albori di quella moderna. La Russia di Volodimir/Valdmarr si frammentò molto prima che i mongoli sconfiggessero i signori della guerra all’inizio degli anni Quaranta del Duecento.

Dopo le invasioni mongole, quasi tutto il territorio della Rus’ fu assorbito dal granducato di Lituania nel XIII e nel XIV secolo. I signori della guerra  cristiani della Rus’ diventarono allora figure prominenti nella  Lituania pagana. Il granducato di Lituania adottò la lingua politica della Rus’ per le leggi e per i tribunali. Dal 1386 i granduchi lituani governarono generalmente anche la Polonia. L’idea di un’«Ucraina» per designare parte delle terre dell’antica Rus’ prese forma dopo il 1569, quando il rapporto politico tra Lituania e Polonia cambiò.

La Confederazione polacco-lituana

In quell’anno, il regno di Polonia e il granducato di Lituania formarono una confederazione, un’unione costituzionale dei due stati. Durante le contrattazioni, quasi tutto il territorio dell’odierna Ucraina fu trasferito dalla zona lituana alla zona polacca della nuova entità comune. Ciò accese conflitti che crearono l’idea politica dell’Ucraina.

Dopo il 1569, sul territorio dell’attuale Ucraina, le tradizioni cristiane orientali della Rus’ furono messe in discussione dal cristianesimo occidentale, che stava attraversando feconde trasformazioni. I pensatori polacchi cattolici e protestanti, agevolati dall’introduzione del torchio da stampa, fecero vacillare l’influsso del cristianesimo orientale sulle terre della Rus’. Alcuni signori della guerra ortodossi della Rus’ si convertirono al protestantesimo o al cattolicesimo e adottarono la lingua polacca per comunicare tra loro.

Seguendo i modelli polacchi (e l’esempio degli aristocratici polacchi che si erano trasferiti a est), questi magnati locali iniziarono a tramutare la fertile steppa ucraina in grandi piantagioni. Ciò significava legare gli abitanti alla terra sotto forma di servi della gleba per sfruttarne il lavoro. I contadini che tentavano di sottrarsi a questo trattamento andavano spesso incontro a un’altra forma di barbarie perché, nell’estremo sud della moderna Ucraina, potevano essere venduti come schiavi dai vicini musulmani, i tatari posti sotto la sovranità dell’Impero ottomano. 

I servi della gleba cercavano rifugio presso i cosacchi, uomini liberi che vivevano di rapine, di caccia e di pesca sul confine sudorientale della steppa, nella terra di nessuno tra la potenza polacca e quella ottomana. Costoro eressero una fortezza, o Sich, su un’isola al centro del fiume Dnepr, non lontano dall’odierna città di Dnipro. In tempo di guerra, migliaia di cosacchi combatterono come mercenari nell’esercito polacco.

Quando i cosacchi costituivano la fanteria e l’aristocrazia polacca la cavalleria, l’esercito polacco perdeva raramente. All’inizio del XVII secolo, la Confederazione polacco-lituana era il più grande stato dell’Europa e, per un breve periodo, occupò addirittura Mosca. Era una repubblica di nobili in cui ciascun aristocratico era rappresentato in parlamento. Sul piano pratico, naturalmente, alcuni erano più potenti di altri, e i facoltosi magnati ucraini erano tra i cittadini più importanti della confederazione.

I cosacchi avrebbero voluto essere elevati al rango di nobili, o almeno avere diritti legali sanciti all’interno della confederazione. Le loro richieste, tuttavia, rimasero inascoltate. Nel 1648 queste tensioni sfociarono in una ribellione. La Confederazione polacco-lituana stava per intraprendere una campagna contro l’Impero ottomano.

L’incontro con Mosca

I cosacchi, che si preparavano a scendere in campo contro gli ottomani, trovarono invece un leader, Bohdan Chmel’nyc’kij, che li convinse a ribellarsi contro i signori della guerra locali polonizzati. Sapendo di aver bisogno di alleati, Chmel’nyc’kij reclutò i tatari, cui offrì i cristiani ucraini locali come schiavi. Quando i tatari disertarono, dovette cercare un nuovo alleato, e l’unico che trovò fu Mosca.

Il sodalizio non era destinato a durare. I cosacchi e i moscoviti si consideravano entrambi eredi della Rus’, ma non avevano una lingua comune e dovevano ricorrere agli interpreti per comunicare. Pur essendo un ribelle, Chmel’nyc’kij era figlio del Rinascimento, della Riforma e della Controriforma,  le cui lingue erano l’ucraino, il polacco e il latino (ma non il russo).

I cosacchi erano abituati ai contratti legali vincolanti per entrambe le parti. Scorsero una soluzione temporanea in quella che i moscoviti ritenevano una sottomissione permanente allo zar. Nel 1654 la Moscovia invase la Confederazione polacco-lituana.

Nel 1667 le terre dell’attuale Ucraina furono divise lungo il Dnepr, con le roccaforti cosacche che si arrendevano alla Moscovia. All’inizio lo status di Kiev fu incerto, ma poi anche la città fu ceduta al nemico. 

Dopo una lunga carriera asiatica, ora la Moscovia si rivolse a ovest. La città di Kiev era esistita per circa ottocento anni senza alcun legame politico con Mosca. Aveva conosciuto il Medioevo, il Rinascimento e il Barocco, la Riforma e la Controriforma, come una metropoli europea.

Dopo l’unione con la Moscovia, la sua accademia diventò la principale istituzione universitaria del regno, che dopo il 1721 prese il nome di Impero russo. Gli eruditi uomini di Kiev riempirono le categorie professionali di Mosca e poi di San Pietroburgo. I cosacchi furono integrati nelle forze armate imperiali e li schierò per conquistare la penisola di Crimea. L’imperatrice Caterina si scelse un amante cosacco.

Alla fine del XVIII secolo, l’Impero russo smantellò la Confederazione polaccolituana, con l’aiuto della Prussia e della monarchia asburgica. Così quasi tutte le antiche terre della Rus’ entrarono a far parte del nuovo Impero russo.

Reazione patriottica

Nel XIX secolo l’integrazione imperiale russa suscitò una reazione patriottica da parte dell’Ucraina. L’università imperiale russa a Charkiv fu il primo centro di una tendenza romantica a idealizzare il contadino locale e la sua cultura.

Nella Kiev di metà secolo, i membri di alcune antiche famiglie nobili cominciarono a identificarsi con i contadini di lingua ucraina, invece che con il potere russo o polacco. All’inizio i sovrani russi videro in queste tendenze un lodevole interesse per la cultura della «Russia meridionale» o della «Piccola Russia».

Dopo la sconfitta della Russia nella guerra di Crimea del 1853-1856 e la rivolta polacca nel 1863-1864, le autorità imperiali russe definirono tuttavia la cultura ucraina una minaccia politica e proibirono le pubblicazioni in lingua ucraina. Gli statuti del granducato di Lituania, con i loro richiami all’antico diritto della Rus’, persero vigore. Il tradizionale ruolo di fulcro dell’ortodossia orientale, ricoperto fino a quel momento da Kiev, passò a Mosca.

La Chiesa uniate, fondata nel 1596 con liturgia orientale ma gerarchia occidentale, fu abolita. L’unico possedimento della Rus’ che restò fuori dall’Impero russo fu la Galizia. Quando la Confederazione polaccolituana era stata smantellata, alla fine del XVIII secolo, questi territori erano toccati ai sovrani asburgici. In quanto terra della corona asburgica, la Galizia conservò alcuni elementi della civiltà della Rus’, per esempio la Chiesa uniate.

La monarchia asburgica la rinominò «greco-cattolica» e ne istruì i sacerdoti a Vienna. I figli e i nipoti di questi uomini diventarono attivisti nazionali ucraini, direttori di giornali e candidati al parlamento.

Quando l’Impero russo represse la cultura ucraina, gli scrittori e gli attivisti ucraini si trasferirono in Galizia. Dopo il 1867 la monarchia asburgica aveva una costituzione liberale e una stampa libera, così questi immigrati politici poterono continuare la loro attività. L’Austria indisse elezioni democratiche, perciò la politica di partito diventò politica nazionale in tutta la monarchia.

I rifugiati dell’Impero russo definirono la politica e la storia ucraine una questione di continuità culturale e linguistica anziché di potere imperiale. Quanto ai contadini, la stragrande maggioranza della popolazione di lingua ucraina era composta di proprietari terrieri.

Dopo la Rivoluzione del 1917

Dopo la Rivoluzione bolscevica del novembre 1917, un governo ucraino dichiarò l’indipendenza. Tuttavia, a differenza di altri popoli dell’Europa orientale, gli ucraini non riuscirono a formare uno stato. Le loro rivendicazioni, infatti, non trovarono ascolto presso le potenze vincitrici della Prima guerra mondiale. Kiev passò di mano una decina di volte tra l’Armata Rossa, la sua rivale – l’Armata Bianca russa –, l’esercito ucraino e quello polacco.

Messe alle strette, le autorità ucraine strinsero un’alleanza con la Polonia – da poco diventata indipendente – e, insieme, i due eserciti presero Kiev nel maggio del 1920. Quando l’Armata Rossa contrattaccò, i soldati ucraini combatterono al fianco dei polacchi fino a Varsavia. Quando la Polonia e la Russia bolscevica firmarono il trattato di pace a Riga nel 1921, però, le terre che gli attivisti ucraini consideravano proprie furono divise: la maggior parte dell’ex Impero russo toccò all’emergente Unione sovietica, mentre la Galizia e un altro distretto occidentale, la Volinia, andarono alla Polonia. Non fu un fatto eccezionale, bensì ipertipico.

Lo stato nazionale ucraino durò alcuni mesi, mentre i suoi vicini occidentali durarono anni, ma la lezione fu la stessa, ed emerse con maggiore chiarezza dall’esempio ucraino: lo stato nazionale era difficile e, il più delle volte, insostenibile.

Progetti neoimperiali

La storia ucraina mette in evidenza una domanda centrale della storia europea moderna: dopo l’impero, che cosa? Secondo la favola della nazione saggia, gli stati nazionali europei trassero insegnamento dalla guerra e cominciarono a integrarsi. Perché questo mito abbia senso, occorre immaginarli in periodi in cui non esistevano ancora. È necessario cancellare l’evento fondamentale della metà del XX secolo in Europa: il tentativo europeo di creare imperi all’interno della stessa Europa.

L’esempio più lampante è l’inefficace piano tedesco per colonizzare l’Ucraina nel 1941. La ricca terra nera ucraina fu al centro dei due principali progetti neoimperiali europei del XX secolo, quello sovietico prima e quello nazista poi. Anche da questo punto di vista, la storia ucraina è ipertipica e dunque indispensabile. Nessun’altra regione ha attirato così tanta attenzione coloniale in Europa.

Si delinea dunque la regola: la storia europea dipende dalla colonizzazione e dalla decolonizzazione. Iosif Stalin intese il progetto sovietico come autocolonizzazione. Poiché l’Unione sovietica non aveva possedimenti d’oltremare, non ebbe altra scelta se non sfruttare gli entroterra. L’Ucraina dovette pertanto cedere la sua abbondanza agricola ai pianificatori centrali sovietici del primo piano quinquennale del 1928-1933. Il controllo statale dell’agricoltura uccise per fame dai tre ai quattro milioni di abitanti dell’Ucraina sovietica.

Adolf Hitler vide nell’Ucraina il fertile territorio che avrebbe trasformato la Germania in una potenza mondiale. Il controllo della terra nera era il suo obiettivo bellico. In conseguenza dell’occupazione tedesca iniziata nel 1941, furono uccisi più di tre milioni di abitanti dell’Ucraina sovietica, compresi un milione e 600mila ebrei sterminati dai tedeschi o dai poliziotti e dalle milizie locali. Oltre a queste perdite, altri tre milioni morirono combattendo nell’Armata Rossa. Complessivamente, in un decennio circa dieci milioni di persone persero la vita a seguito di due colonizzazioni rivali dello stesso territorio ucraino. 

Dopo che l’Armata Rossa ebbe sconfitto la Wehrmacht nel 1945, i confini dell’Ucraina sovietica furono estesi verso ovest per inglobare i distretti sottratti alla Polonia e i territori secondari tolti alla Cecoslovacchia e alla Romania. Nel 1954 la penisola di Crimea fu estromessa dalla Repubblica socialista federativa sovietica russa e aggiunta all’Ucraina sovietica. Questo fu l’ultimo di una serie di rimaneggiamenti dei confini tra le due repubbliche sovietiche.

Nostalgia e distruzione

Dato che la Crimea è unita all’Ucraina via terra (e, dalla prospettiva russa, è un’isola), l’idea era collegare la penisola alle riserve idriche e alle reti elettriche ucraine. La leadership sovietica colse l’occasione per spiegare che l’Ucraina e la Russia erano unite dal destino. Poiché nel 1954 ricorreva il trecentesimo anniversario dell’accordo che aveva alleato i cosacchi e la Moscovia contro la Confederazione polacco-lituana, le fabbriche sovietiche produssero pacchetti di sigarette e camicie da notte con il logo 300 ANNI.

Questo fu un primo esempio della politica sovietica dell’eternità: legittimare il governo non tramite i successi presenti o le promesse future, bensì tramite la connotazione nostalgica di una cifra tonda. 

L’Ucraina sovietica era la seconda repubblica più popolosa dell’Urss dopo la Russia sovietica. Nei distretti occidentali, che prima della Seconda guerra mondiale erano appartenuti alla Polonia, i nazionalisti ucraini avevano resistito alle imposizioni del governo sovietico. Durante una serie di deportazioni alla fine degli anni Quaranta e all’inizio dei Cinquanta, loro e le loro famiglie furono mandati a centinaia di migliaia nel gulag, il sistema dei campi di concentramento sovietici.

In pochi giorni, nell’ottobre del 1947, per esempio, l’Operazione Ovest determinò il trasferimento di 76.192 ucraini. Quasi tutti coloro che erano ancora vivi all’epoca della morte di Stalin nel 1953 furono liberati dal suo successore, Nikita Krusciov. Negli anni Sessanta e Settanta, i comunisti ucraini si unirono ai compagni russi nel governo del paese più vasto del mondo.

Durante la Guerra fredda, l’Ucraina sudorientale fu un’importante area militare sovietica. I razzi venivano costruiti a Dnipropetrovsk, non lontano da dove, un tempo, sorgeva la fortezza dei cosacchi. Benché la loro linea politica fosse stata letale per gli ucraini, i leader sovietici non negarono mai che l’Ucraina fosse una nazione. L’idea predominante era che le nazioni avrebbero raggiunto il massimo potenziale sotto il controllo sovietico, per poi disgregarsi una volta che il comunismo avesse preso piede.

Dal giornalismo di Joseph Roth alle statistiche della Società delle nazioni, nei primi decenni dell’Urss l’esistenza di una nazione ucraina fu data per scontata. La carestia del 1932-1933 fu anche una guerra contro la nazione ucraina, nel senso che distrusse la coesione sociale dei villaggi e coincise con una cruenta purga degli attivisti nazionali.

Rimase, tuttavia, la vaga idea che una nazione ucraina avrebbe avuto un futuro socialista. In realtà, fu solo negli anni Settanta, sotto Brežnev, che la linea politica sovietica abbandonò ufficialmente questa pretesa. Russi e ucraini si fusero nel mito brezneviano della «grande guerra patriottica» diventando soldati contro il fascismo.

Quando Brežnev rinunciò all’utopia per il «socialismo davvero esistente», sottintese che lo sviluppo delle nazioni non russe era completo. Insistette affinché il russo diventasse la lingua della comunicazione per tutte le élite sovietiche, e un suo protetto fu incaricato di gestire gli affari ucraini. Le scuole furono russificate, e le università avrebbero subìto la stessa sorte. Negli anni Settanta, gli oppositori ucraini del regime sovietico rischiarono il carcere e l’ospedale psichiatrico per protestare a favore della cultura ucraina. 

Certo, i comunisti ucraini parteciparono con entusiasmo e in gran numero al progetto sovietico, aiutando i compagni russi a governare le regioni asiatiche dell’Urss. Dopo il 1985, il tentativo gorbacioviano di aggirare il partito comunista alienò queste persone, mentre la politica della glasnostÕ, o trasparenza, incoraggiò i cittadini sovietici a dar voce alle istanze nazionali.

Nel 1986, il silenzio mantenuto dopo il disastro nucleare di Černobyl rese Gorbaciov inviso a molti ucraini. Milioni di abitanti dell’Ucraina sovietica furono esposti inutilmente ad alte dosi di radiazioni. Fu difficile perdonare il suo ordine esplicito di far sfilare la parata del 1° maggio sotto una nube mortale. L’assurda contaminazione del 1986 risvegliò negli ucraini il ricordo dell’assurda carestia deliberata del 1933.

La nuova Ucraina

Nell’estate del 1991, il fallimento del colpo di stato contro Gorbaciov gettò le basi perché Boris Eltsin guidasse la Russia verso l’autonomia dall’Unione sovietica. I comunisti e i membri dell’opposizione ucraini concordarono che il loro paese avrebbe dovuto fare la stessa cosa. In un referendum, il 92 per cento degli abitanti dell’Ucraina sovietica, con una maggioranza in ogni regione, votò a favore dell’indipendenza.

Come nella nuova Russia, gli anni Novanta nella nuova Ucraina si contraddistinsero per il rilevamento delle risorse sovietiche e per abili operazioni di arbitraggio. Al contrario di ciò che era accaduto in Russia, tuttavia, in Ucraina la nuova classe di oligarchi si organizzò in clan tenaci, nessuno dei quali dominò lo stato per più di qualche anno di seguito. E, al contrario di ciò che era accaduto in Russia, in Ucraina il potere passò di mano attraverso elezioni democratiche.

La Russia e l’Ucraina persero un’opportunità di riforma economica negli anni relativamente prosperi che precedettero la crisi finanziaria mondiale del 2008. Al contrario di ciò che era accaduto in Russia, in Ucraina l’Unione europea era considerata una cura contro la corruzione che intralciava il progresso sociale e una distribuzione più equa della ricchezza. Almeno sul piano retorico, i leader ucraini promossero con coerenza l’adesione all’Ue.

La vicenda Janukovyč

Il presidente ucraino dal 2010, Viktor Janukovyč, appoggiò l’idea di un futuro europeo, pur adottando politiche che lo fecero apparire meno probabile. La sua carriera dimostra la differenza tra il pluralismo oligarchico ucraino e il centralismo cleptocratico russo. Janukovyč si era candidato per la prima volta alla presidenza nel 2004. Il risultato delle elezioni era stato manipolato a suo favore dal suo sostenitore, il presidente uscente Leonid Kučma. Anche la politica estera russa avrebbe appoggiato la sua candidatura e dichiarato la sua vittoria.

Dopo tre settimane di proteste nella Piazza dell’indipendenza di Kiev (nota come il Maidan), dopo l’annullamento del risultato elettorale da parte della Corte suprema ucraina e la ripetizione delle elezioni, Janukovyč accettò la sconfitta. Fu un momento fondamentale nella storia ucraina: confermò la democrazia come principio di successione.

Se il principio di legalità funzionava ai vertici della politica, si poteva sempre sperare che prima o poi potesse estendersi alla vita di tutti i giorni. Dopo la sconfitta, Janukovyč assunse il consulente politico americano Paul Manafort per migliorare la propria immagine.

Pur vivendo in pianta stabile nella Trump Tower a New York, Manafort passava molto tempo in Ucraina. Sotto la sua guida, Janukovyč cambiò look e imparò a gesticolare in modo eloquente. Manafort lo aiutò ad adottare, per l’Ucraina, una «strategia meridionale» simile a quella che i suoi Repubblicani avevano usato negli Stati Uniti: dare risalto alle differenze culturali, scegliere una politica basata sull’essere anziché sul fare.

Negli Usa, ciò significava dare ascolto alle istanze dei bianchi sebbene essi costituissero una maggioranza i cui membri detenevano quasi tutta la ricchezza; in Ucraina, significava esagerare le difficoltà dei russofoni, benché il russo fosse la principale lingua nazionale della politica e dell’economia, nonché la prima lingua di coloro che controllavano le risorse del paese.

Come il successivo cliente di Manafort, Donald Trump, Janukovyč salì al potere grazie a una campagna di istanze culturali mescolate alla speranza che un oligarca potesse difendere il popolo da un’oligarchia. Dopo aver vinto le elezioni presidenziali nel 2010, Janukovyč si concentrò sulla propria ricchezza personale. Sembrò aver importato le pratiche russe creando un’élite cleptocratica permanente invece che permettere la rotazione di clan oligarchici. Suo figlio, un dentista, diventò uno degli uomini più facoltosi del paese.

Il nodo della corruzione

Janukovyč indebolì i meccanismi politico-istituzionali finalizzati a mantenere l’equilibrio tra i diversi poteri, per esempio nominando presidente della Corte suprema il giudice che aveva smarrito il suo certificato penale. Cercò anche di gestire la democrazia alla maniera russa. Incarcerò uno dei suoi due principali avversari e fece approvare una legge che impedì all’altro di candidarsi. Così poté scendere in campo per un secondo mandato contro un concorrente nazionalista selezionato con cura. Dopo una vittoria scontata, Janukovyč poté dire agli europei e agli americani di aver salvato l’Ucraina dal nazionalismo. 

Il nuovo stato ucraino aveva enormi problemi, primo fra tutti la corruzione. Un accordo di associazione con l’Ue, che il presidente si impegnò a firmare, sarebbe stato uno strumento per consolidare il principio di legalità. La funzione storica dell’Ue era proprio il salvataggio dello stato europeo dopo l’impero. Forse Janukovyč non l’aveva capito, ma molti cittadini ucraini sì. Per loro, la prospettiva di un accordo di associazione era l’unica cosa che rendeva tollerabile il suo regime.

Quando, il 21 novembre 2013, il presidente dichiarò che l’Ucraina non avrebbe sottoscritto il documento, Janukovyč divenne intollerabile. Aveva preso questa decisione dopo aver parlato con Putin: la politica russa dell’eternità, ignorata da quasi tutti gli ucraini fino a quel momento, bussò improvvisamente alla loro porta.

Autodifesa

Sono i giornalisti investigativi a mettere in evidenza l’oligarchia e le disuguaglianze. Raccontando l’epoca contemporanea, reagiscono per primi alla politica dell’eternità. Nell’Ucraina oligarchica del XXI secolo, i reporter offrono ai concittadini una possibilità di autodifesa.

Mustafa Nayyem era uno di loro e, il 21 novembre, ne ebbe abbastanza. Scrivendo sulla sua pagina Facebook, esortò gli amici a mobilitarsi per protestare. «I like non contano» scrisse. Le persone avrebbero dovuto scendere fisicamente in piazza. E così fecero: all’inizio studenti e giovani, migliaia di ragazzi provenienti da Kiev e da tutto il paese, i cittadini che avevano più da perdere se il futuro fosse stato congelato. Andarono sul Maidan e ci rimasero. Così facendo, parteciparono alla creazione di una cosa nuova: una nazione.   


Il testo è tratto dal libro di Timothy Sanders La paura e la ragione. Il collasso della democrazia in Russia, Europa e America, edito da Rizzoli (2018).

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