La profluvie di dichiarazioni da parte del ministro Valditara, ognuna con un suo strascico almeno settimanale di polemiche, ritrattazioni, figuracce, precisazioni, non è solo uno spettacolo ad uso pubblico di un politico finora di seconda fila che sembra lusingato di titillare l’attenzione di una platea spropositata di interessati loro malgrado, costretti a ascoltare e a dare credito a parole che sono istituzionali e che dovrebbero essere le linee programmatiche della amministrazione e della trasformazione della scuola. Queste dichiarazioni, spesso irricevibili e provocatorie – dalle umiliazioni edificanti alle gabbie salariali per i docenti – rispondono a un disegno preciso che va colto nella sua interezza, anche perché è lo stesso che abbiamo già visto (subito) negli ultimi vent’anni con i governi di centrodestra berlusconiani e che non è stato nemmeno contrastato dagli altri governi.

La continuità non è data soltanto da un'ideologia comune, un neoliberismo da manuale: defund, deregulate, deunionize (definanziare, deregolamentare, desindacalizzare) è l’imperativo che ha spesso accomunato le politiche dell’istruzione proposte dagli stati occidentali e dagli organismi internazionali; ma anche dalla presenza persistente delle stesse figure nelle politiche ministeriali, come Giuseppe Bertagna, consulente prima per Letizia Moratti, oggi per Valditara.  

Indebolire tutto

La manfrina è sempre la solita. Un’ottima bibliografia che l’analizza può essere rintracciata negli articoli che ha pubblicato già dalla fine degli anni zero lo studioso Michele Dal Lago: esaltazione della compenetrazione tra scuola e impresa; privatizzazione del settore pubblico (dopo welfare e sanità tocca alla scuola); insistenza sulla classica divisione sociale del lavoro per sottoporre anche gli insegnanti a pratiche ipercompetitive per indebolirne il potere contrattuale; quella solfa da destra democristiana per cui “pubblico non vuol dire statale”, che oltre a favorire scuole private e paritari apre all’orrore delle charter schools e dei buoni scuola; riforma “reaganiana”  del reclutamento.

Valditara aggiunge a questo minestrone riscaldato, che è andato a male e si è dimostrato mal concepito fin dalla ricetta, i suoi ingredienti scadenti, ossia il peggio delle retoriche tradizionaliste e quelle dell’innovazione: un paternalismo gentiliano nei confronti del corpo insegnanti, un’idea vile e acritica della formazione tecnica.

Lo smantellamento

Quale è allora la notizia da leggere sottotesto in questa pericolosa ma prevedibile polemica? Che le provocazioni sfrenate di Valditara e di Bertagna oggi rischiano di trovare meno opposizione nel mondo della scuola; non solo da parte dirigenti che ormai sono spesso assoldati in quest’opera di smantellamento della scuola pubblica attraverso lo strumento ambiguo dell’autonomia, ma anche da una parte del corpo docente sfibrato dalla compressione dei salari e persino dai sindacati la cui capacità di sostenere non diciamo una coscienza di classe ma almeno una cultura della professione è sempre minore.

Le differenze salariali tra insegnanti esistono già de facto e spesso de iure e sono molto diffuse, nonostante il contratto nazionale.

È così se pensiamo alla percentuale altissima di supplenti (circa il 25 per cento) che non ha una serie di diritti che hanno gli insegnanti di ruolo; è così se pensiamo all’uso (e spesso l’abuso) delle funzioni strumentali ossia di quei docenti che hanno incarichi supplementari all’insegnamento e che coordinano e aiutano dirigenza e segreteria ricompensati con bonus; è così se pensiamo alla quantità gigantesca di insegnanti che fa ripetizioni private…

La verità che nasconde questa foresta di salari differenziati è però comune a tutto il corpo docente: le differenze sono sempre al ribasso, la compressione del costo del lavoro, la riduzione del potere d’acquisto non solo per l’aumento dell’inflazione ma ricordiamolo per il disinvestimento sulla scuola, lo sfruttamento nudo e crudo.

Valditara lo sa, e sa bene che le sue parole oggi sembrano provocazioni, non è detto che domani di fronte a un ulteriore peggioramento economico favoriscano una conflittualità interna tra i lavoratori della scuola. Il ministero dell’istruzione è il più grande datore di lavoro d’Europa: dovrebbe essere un modello politico. Lo è, ma nel peggio.

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