Con Internet ci connettiamo a documenti o a persone ricorrendo nel primo caso a un motore di ricerca (nel 90 per cento dei casi è Google), nel secondo a un social per lo più del gruppo Meta (Facebook, Instagram, Whatsapp). Entrambi ci tracciano per rivenderci al marketing, ma il primo conta sul traffico “naturale” e gigantesco di chi naviga in cerca di risposte ed è arrivato a incassare 240 (duecentoquaranta) miliardi di dollari dalla pubblicità.

Per il social la vita è strutturalmente assai più dura perché il suo tratto specifico costituito dal “ritrovarsi” (tra figlie e padri fedifraghi oppure tra modellisti d’areoplani) genera un traffico di modeste dimensioni. Da qui la complicità fra l’algoritmo e l’“emozione forte”, fino all’odio che per sua natura suscita reazioni e smuove i contatori. E così, a forza di rilanciare i tratti “fuori misura” che s’accompagnano a ogni discussione appassionata, anche Facebook è divenuto un gigante che nel 2021 ha rastrellato 120 (centoventi) miliardi di dollari. Un successo per l’imprenditore, ma al prezzo di una catastrofe socioculturale.

Il Manifesto di Chomsky e Habermas

Qui s’inserisce il Manifesto lanciato a metà 2021 da Chomsky e Habermas che promuove –non da zero, ma come estensione e riqualificazione delle radio e tv pubbliche esistenti – la nascita di piattaforme Internet di servizio pubblico: fondate su specifiche basi legali, economiche (canone) e organizzative; rivolte ai cittadini (in quanto titolari di diritti) e non ai consumatori; strutture di coesione sociale (l’opposto, in pratica, di Facebook).

I due ultra novantenni, Chomsky, quello del moto perpetuo delle lingue e simbolo dei radical americani e Habermas, il filosofo tedesco della “società come comunicazione”, sono cresciuti a contatto con due diverse pratiche di servizio pubblico radiotelevisivo. Negli Stati Uniti al sistema totalmente commerciale s’accompagna da decenni una sorta di federazione no profit, Pbs (Public broadcasting service), di 350 stazioni televisive possedute da strutture scolastiche e università, che ha introdotto un elemento di “varietà” a carattere educativo-culturale.

In Europa con la Bbc negli anni ‘20, hanno messo radici aziende pubbliche finanziate dal canone in via esclusiva o prevalente, e poste a garanzia di una qualche sovranità mediatica nazionale a fronte della preponderanza dell’industria americana.

Anche rispetto a Internet, il senso di “servizio pubblico” si pone diversamente fra Stati Uniti ed Europa. Negli Usa urge introdurre, come già col Pbs nel broadcasting una piattaforma diversa rispetto all’egemonia divisiva dei social da click bait.

La sovranità digitale della Ue

In Europa si ripresenta con Internet l’urgenza della sovranità rispetto agli Stati Uniti o, per meglio dire la riappropriazione della rete dopo le omissioni d’intervento che hanno caratterizzato in particolari i primi dieci anni del millennio.

Per cui le imprese americane sono passate sui cavi delle Telecom nazionali non come merci alla conquista del mercato, ma alla stessa tariffa di una telefonata con la mamma; senza la “inter operabilità”, per cui non posso, a differenza che tra Vodafone e Tim, comunicare dal mio social con chi sta dentro un altro; eludendo le tasse grazie alla concorrenza fiscale fra gli Stati della Ue.

Questioni ancora aperte, anche se Bruxelles s’è fatta più avvertita e ha cominciato a porre qualche primo punto fermo in materia di privacy, mercati digitali e, forse in un prossimo futuro, di giurisdizione sui dati dei cittadini dell’Unione.

La Piattaforma di Servizo Pubblico

In questo processo parrebbe naturale il ruolo di una piattaforma Internet delle aziende radiotelevisive pubbliche europee potrebbero impostare algoritmi immuni dai vizi tossici di Facebook e, ricorrendo al machine learning, abbattere il muro delle lingue nei testi e nello streaming.

Oltre che integri i dati con quelli derivanti dalla digitalizzazione generale dei servizi, dal controllo dell’ambiente, dall’istruzione permanente, dal mercato del lavoro, e così via.

La prospettiva, per le vecchie e più o meno gloriose, tv pubbliche è allettante. Tant’è che dal loro interno sicuramente qualcuno è andato a mettere a Chomsky e Habermas la pulce nell’orecchio e, col loro aiuto, proiettarsi autorevolmente nel futuro,

Ci sarebbe, in linea di principio, un bel da fare per la Rai. Ma trattandosi di una questione di futuro è improbabile, sperando d’essere smentiti, che il parlamento, suo miopissimo editore, le consente di affrontarla, salvo a chiacchiere.  

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