Per anni il Movimento Cinque stelle, con molti dei suoi elettori, ha rivendicato il sacrosanto diritto di farsi un’opinione di vicende emerse grazie alle indagini giudiziarie anche prima delle sentenze. Ai giudici spetta la qualificazione giuridica dei fatti accertati, ma ai politici e ai cittadini è lecito discutere quei fatti anche senza preoccuparsi di come li classifica il codice penale.

La vicenda per la quale è indagato Beppe Grillo è perfino peggio di quelle, analoghe, che riguardano Matteo Renzi e Italia viva e i soldi ricevuti dallo stesso imprenditore, Vincenzo Onorato. A prescindere dal reato contestato (traffico di influenze illecito in un caso, finanziamento illecito ai partiti nell’altro).

Onorato ha finanziato la fondazione Open di Renzi nella speranza di norme (poi ottenute) a suo favore sulle regole relative al tipo di marittimi da imbarcare su certe navi.

I pm dicono che quei soldi non hanno rispettato le regole di finanziamento alla politica, visto che Open sarebbe stata un’appendice del Pd e non una fondazione autonoma. La progressiva riduzione del finanziamento pubblico porta al finanziamento privato e i soldi arrivano sempre con richieste abbinate.

Nel caso dei Cinque stelle, il degrado è maggiore, perché i soldi di Onorato (sempre in cerca di provvedimenti a lui utili, sempre ottenuti) non andavano a una corrente dei Cinque stelle, ma a due aziende che fanno capo ai soggetti che il Movimento indirizzavano e gestivano, cioè Beppe Grillo e Davide Casaleggio.

Non solo, i soldi per Grillo dovevano servire a produrre la peggiore specie dei contenuti editoriali, marchette mascherate su un blog che un tempo era noto per smascherare le malefatte delle aziende pubbliche e private.  

L’indagine della procura di Milano è “giustizia a orologeria”? Che l’azienda di Casaleggio ottenesse soldi da grandi gruppi interessati alle decisioni del governo a guida Cinque stelle è noto da anni (con Carlo Tecce ne abbiamo scritto sul Fatto Quotidiano dal 2018). E che Grillo avesse preso soldi da Onorato lo ha scritto Daniele Martini su Domani ad aprile 2021.

Tanti parlamentari e militanti Cinque stelle hanno osservato silenti e complici questo e altri modi indecorosi di trasformare la rilevanza pubblica in benefici privati, mentre si indignavano quando gli avversari politici facevano lo stesso.

Questa non è affatto una “normalizzazione” del Movimento che tanti commentatori celebrano per “normalizzare” il degrado etico e morale degli altri partiti: tutti colpevoli, nessun colpevole.

La parabola di Grillo e Casaleggio rivela il peccato originario dei Cinque stelle: hanno invocato un giusto e necessario rinnovamento della politica, ma non avevano l’etica e l’equilibrio per gestire il potere che hanno ottenuto grazie al consenso che quella richiesta di cambiamento ha trovato.

La lezione è che non bisogna cambiare tanto gli uomini e le donne nelle posizioni di potere, quanto le regole su come quel potere può essere esercitato.

Perché neppure i più fiammeggianti censori del malaffare sono in grado di resistere alla tentazione di usarlo male.

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