Di recente Gianni Cuperlo, Carlo Trigilia, Emanuele Felice e Nicola Lacetera si sono qui interrogati, da varie angolature, sul ruolo della sinistra; sulle sue difficoltà attuali vorrei fare alcune sparse considerazioni, anche a confronto con la situazione americana. Negli Stati Uniti si parte dall'ovvia idea per cui ognuno risponde delle proprie azioni e deve provvedere ai bisogni propri e della famiglia, per dedurne che chi chiede sostegni pubblici è uno scroccone, un moocher; rifiuta di lavorare e spilla soldi allo Stato, ergo agli altri contribuenti.

A parte il Medicare per gli anziani e i programmi speciali per i veterani, non esiste là un vero sistema di sanità pubblica; gli sforzi di Barack Obama per estendere la copertura assicurativa privata a tutti hanno incontrato la feroce resistenza del partito repubblicano. Questa è giunta al punto di indurre diversi Stati governati dal Grand Old Party a rifiutare denaro federale a supporto del cosiddetto Obamacare, che l'ex presidente Donald Trump avrebbe tanto voluto abrogare.

Le pensioni lì sono affare largamente privato; la scuola pubblica, a parte rari esempi virtuosi, è un disastro, da cui scappa chiunque possa farlo. Prevale il darwinismo sociale; la vita è una gara in cui sopravvive il più adatto.

Nessuno osa toccare lo stato sociale

In Europa, da ben prima del rapporto Beveridge (1942), cioè da quando il cancelliere tedesco Otto Von Bismarck istituì le pensioni (1883), parte l'idea che lo Stato soccorre i cittadini alla fine della vita lavorativa. Bismarck voleva così contrastare il pericolo marxista; già qui traspare la forte differenza fra i conservatori europei e americani. E la sinistra non può intestarsi in esclusiva un assetto voluto anche dai conservatori, come il cancelliere di ferro.

In tutta Europa ormai lo “Stato sociale” è una realtà consolidata. La sanità è pubblica quasi ovunque, le sue prestazioni sono da decenti a ottime, a parte rari disastri, anche nostrani. In Italia, le pensioni pagate oggi sono nell'insieme accettabili alla luce dei contributi versati, il livello della scuola pubblica permane buono nonostante i tanti problemi che quotidianamente emergono.

È vero che lo Stato sociale è in pericolo per i suoi crescenti costi, ma nessun politico in cerca di voti oserebbe chiederne lo smantellamento. Sarebbe rispedito a casa fra i fischi. Certo, i tanti che esigono la “tassa piatta” o il drastico calo del gettito fiscale, sono velati nemici dello Stato sociale, ma essi non avrebbero mai il coraggio di strapparsi quel velo davanti agli elettori.

Sta qui la gran differenza fra il ruolo della sinistra negli Usa e in Europa. Quella americana chiede più protezione per i cittadini, scoperti davanti ai rischi della vita, contro i repubblicani che la considerano un incentivo alla pigrizia; nemmeno essi però osano opporsi agli arditi (forse fin troppo) piani di spesa della nuova amministrazione.

Per la destra americana lo Stato è il problema, non la soluzione. Eppure, secondo la Federal Reserve, nel suo Report on the Economic Well-Being of U.S. Households in 2018, il 40 epr cento delle famiglie americane sarebbe in gravi ambasce davanti a una spesa d'emergenza di 400 dollari.

È ben più facile ottenere voti negli Stati Uniti impugnando la bandiera dello Stato sociale, cui la destra s'oppone per ragioni ideologiche. Noi invece lo diamo erroneamente per scontato; esso va messo in sicurezza ed esteso alle troppe persone che ne sono escluse.

Cosa resta alla sinistra

Il successo ottenuto toglie alla sinistra il vessillo storico. La sua battaglia oggi è meno definita ma più vasta; costruire un Paese più civile che, con l'occhio al futuro e non al passato, difenda i discriminati e i nuovi poveri. Va perciò sbloccato un assetto sociale che pre-determina i percorsi di vita in funzione della famiglia di nascita; troppi paiono ignorare i giovani e gli sfruttati dal lavoro nero. Anche per loro bisogna attaccare l'evasione e le rendite oligopolistiche, private e pubbliche.

Trascuriamo i giovani perché sono pochi in un paese dominato dai vecchi; la cappa del loro (nostro) potere li soffoca, va rimossa. Per di più li crediamo, sbagliando, poco propensi al voto. Oggi forse è più simbolica che realistica la proposta del segretario Pd Enrico Letta per il voto ai sedicenni, ma verrà anche il suo tempo. Mentre le prospettive delle pensioni di chi oggi è giovane si fan più grame, approviamo quota 100, togliendo agli ospedali medici e infermieri e aggravando il deficit corrente.

Chi ha cercato di costruire, anche per i giovani, un sistema sostenibile, come Elsa Fornero, ministra del Lavoro del governo Monti, è condannata alla damnatio politica. Tanta gioventù, formata a nostre spese, emigra verso Paesi che si godono i frutti del nostro investimento, dandole prospettive di lavoro e di vita più attraenti: impieghi di tecnici e ricercatori, ben remunerati, che permettono di sposarsi, trovar casa, crescere i figli. Prospettive impensabili per tanti che qui devono restare.

La scuola è sempre in cima alle parole, in fondo ai fatti; ci mettono del loro anche i docenti, spesso irsuti difensori dei diritti a danno degli alunni. È giusta la proposta di Ricardo Franco Levi, presidente dell'Associazione Italiana Editori, di estendere a 18 anni l'obbligo scolastico.

All'università bisogna spendere più in borse di studio per le famiglie disagiate, ma anche spendere meglio, aprendo davvero all'esterno i concorsi, troppo spesso vinti non per meriti didattici o di ricerca, ma per vincoli baronali. Se ne occupano con imbarazzante frequenza le procure della Repubblica; e chi rifiuta la gara truccata se ne va.

Ecco la vera battaglia di sinistra oggi: la difesa dei giovani dallo strapotere politico, economico, sociale, culturale, patrimoniale, dei vecchi, che ingessa la società.

Lo spauracchio dell'immigrazione cela l'emigrazione qualificata e la piaga del lavoro nero; di questo soffrono soprattutto gli immigrati, che non possono ribellarsi a condizioni subumane senza trovarsi espulsi. Davanti al ricatto devono rigare dritto, in fondo alla scala sociale come sono; quasi al pari dei detenuti, ammassati in carceri concepite per punire i detenuti, non per recuperarli col lavoro.

Dell'evasione fiscale ha qui scritto da poco Alessandro Penati; gli strumenti per ridurla ai minimi termini ci sono, non la forza di usarli. Nell'ambito della promessa, e necessaria, riforma fiscale organica, lo faccia la sinistra, parlando chiaro ai cittadini.

L’elefante nella stanza

Resta l'elefante nella stanza. Come affrontare le difficoltà di una società fondata sullo sviluppo indefinito, in un mondo di risorse finite, e minacciate? Al di là dei discorsi, spesso superficiali, su consumo consapevole ed energie alternative, la sinistra non sa come farlo davvero; la destra risolve il problema definendolo un'invenzione della sinistra.

Il peso delle rendite da oligopolio, pubbliche e private, rimanda alla stranota necessità di una radicale revisione della macchina pubblica, che danneggia soprattutto il Mezzogiorno; l'estrema debolezza dello Stato, sia nella regolazione - dove chi vigila è “catturato” dai soggetti su cui dovrebbe vigilare - sia nei controlli (sempre formali, spesso fantasmatici) deve indurre a grande prudenza verso ruoli più intrusivi dello Stato nell'economia. Il tema meriterebbe però altre riflessioni.

© Riproduzione riservata