Il molto discusso spot di Esselunga, in cui la protagonista bambina prova con un’innocente menzogna a riavvicinare i genitori separati, ha offerto un’occasione d’oro alla maggioranza di governo, ansiosa di ribadire la propria idea di famiglia.

Dopo la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che l’ha definito «bello e toccante», la ministra Eugenia Roccella ne ha apprezzato la «buona idea»: quella di dare rappresentazione al «desiderio di ogni bambino di avere una mamma e un papà accanto». Al coro si è aggiunto Matteo Salvini che parla di uno «splendido messaggio», mentre il capogruppo alla Camera di Fratelli d’Italia Lucio Malan ha lodato «una storia vista con gli occhi dei bambini».

La pubblicità ha offerto insomma l’opportunità alla destra per spingersi su un terreno che fino ad ora non aveva osato apertamente toccare: la messa in discussione del divorzio come soluzione alle situazioni di conflittualità coniugale. Ci aveva provato senza successo il deputato leghista Simone Pillon nella scorsa legislatura. Non si può escludere che qualche solerte epigono ne raccolga ora l’eredità.

L’uso dei bambini

Ciò che però più colpisce della discussione politica intorno all’operazione commerciale di Esselunga è l’uso, a sostegno di una visione neotradizionalista della famiglia, del punto di vista di bambini e bambine. Colpisce non perché sia una novità – è del resto sui diritti dei bambini “non nati” che si incentrano le campagne contro l’aborto, ed è sulla bellezza dell’infanzia che fanno leva le iniziative pro-nataliste contro l’«inverno demografico».

Più eclatante è il fatto che bambini e bambine figurino nel discorso della destra solo in qualità di vittime degli effetti nefasti del progressismo, solo dunque come strumenti della difesa di un modello unico di famiglia. Spariscono invece, i minori, come vittime reali: della povertà, delle discriminazioni, del regime delle frontiere.

Perché la stessa maggioranza che si commuove per la sofferenza della piccola Emma al supermercato ha messo in atto, in questo primo anno di governo, misure al limite del sadismo nei confronti di alcune categorie di famiglie e minori.

Dimenticati

Pensiamo ai figli di coppie omogenitoriali, quelli che da un giorno all’altro hanno perso una delle due madri legali a causa della revoca delle registrazioni anagrafiche. Pensiamo ai minori in condizioni di povertà educativa, che il governo pensa di riportare e tenere a scuola minacciando il carcere per i genitori, anziché predisponendo presidi territoriali e sostegni sociali dove più grande è la marginalità.

Pensiamo ai minorenni autori di reato, per i quali si spalancano, grazie al decreto Caivano, le porte del carcere. Una soluzione che, con ogni evidenza, è destinata a ridurre le opportunità rieducative della pena.

Infine, pensiamo ai minori che migrano. Quelli che perdono la vita nel Mediterraneo, quelli che partono senza genitori sognando un futuro che è loro negato, nel paese d’origine, da condizioni economiche, violenza politica, crisi ambientali. Io capitano, il film di Matteo Garrone vincitore del Leone d’Argento e ora candidato agli Oscar, narra con rara intensità la sofferenza e la forza di due sedicenni, nel viaggio lungo le rotte che dall’Africa conducono in Europa. E lo fa con i loro occhi.

Non è questo però lo sguardo di bambini e adolescenti che interessa al governo, che è impegnato, al contrario, a ridurre le tutele e gli standard di accoglienza per i minori non accompagnati.

Insomma, i desideri dei bambini contano solo in un caso: quando servono a legittimare un’idea reazionaria di società.  

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