Il 15 dicembre scorso, in un’aula di un edificio istituzionale veneziano (Palazzo Grandi Stazioni) messa gentilmente a disposizione dalla regione, il generale Roberto Vannacci ha ricevuto il Gran Premio Internazionale di Venezia, che è il nome del vecchio premio cinematografico nato nel 1947, e chiamato così ancora nel 1948, poi diventato Leone di San Marco (1949-1953) e quindi Leone d’Oro (dal 1954).

Il riconoscimento doveva essere consegnato al generale il 24 novembre in un’aula del Senato della Repubblica, ma la premiazione non c’è mai stata. In quella circostanza, come si può ricavare dal primo dei due comunicati stampa emanati per l’occasione, Vannacci avrebbe dovuto ricevere uno dei sei Leoni d’Oro («per la carriera, l’impresa e le arti») che sarebbero stati consegnati nella mattinata. Il riconoscimento non ha nulla a che fare – a confermarlo anche la Biennale di Venezia – con la prestigiosa statuetta assegnata al miglior film alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica.

Il 21 novembre, quando sono venuto a sapere della premiazione a Vannacci proprio da quel primo comunicato, ho approfondito e il 22 novembre, ricontattata la segreteria del senatore Antonio De Poli, promotore della manifestazione, dopo una telefonata fatta il giorno prima, non passa mezz’ora che mi chiama Sileno Candelaresi, presidente del Leone d’Oro, e mi annuncia che Vannacci non sarebbe più stato premiato. Alle 11.20 ricevo da lui via WhatsApp un comunicato stampa in cui il nome del generale è scomparso: non era stata corretta la dicitura sul numero delle premiazioni («Durante la sessione mattutina saranno consegnato sei Leoni d’oro») ma Roberto Vannacci, fra i premiati (Stefano Sala, Aroldo Curzi Mattei, Gian Marco Chiocci, Enrico Vanzina, Giovanni Liccardo), non c’era più. Nei giorni successivi chiedo spiegazioni alla segreteria di De Poli in Senato e vengo informato da un suo componente che il senatore non sapeva nulla della premiazione a Vannacci: la segreteria aveva ricevuto solo il secondo dei due comunicati stampa, quello in cui il generale non figurava nell’elenco dei premiandi.

Ecco un estratto del virgolettato attribuito all’avvocato Maurilio Prioreschi, l’attuale presidente del Gran Premio, nei due comunicati: «Il Leone d’Oro […] è un simbolo, un emblema dell’Italia che merita. […] Crediamo che le nuove generazioni abbiano bisogno di punti di riferimento. I nostri appuntamenti, lungi dall’essere semplici premiazioni, vogliono tentare di offrire dei “ritratti” di […] grandi personalità, in modo che i nostri giovani possano trovare in loro un modello, l’esempio di un futuro possibile».

Non oso immaginare il modello che rappresenterebbe per i giovani il libro di Roberto Vannacci. Nei due comunicati compariva anche l’ex ministro Mario Baccini, oggi sindaco di Fiumicino, in veste di «presidente onorario del Leone d’oro per la Pace», pure lui col suo virgolettato: «L’edizione di quest’anno del Leone d’Oro per la Pace vanta ospiti eccezionali. Figure che hanno mostrato all’Italia e al mondo come sia possibile instaurare un’etica delle relazioni internazionali basata sul rispetto tra i popoli».

Il contesto della mancata premiazione in Senato del 24 novembre, difatti, era addirittura una conferenza sulla pace. Il massimo per un libro che nell’«era dei diritti», nel capitolo dedicato alla «casta protetta degli lgbtq+» (Il mondo al contrario, p. 282), rivendica «a gran voce anche il diritto all’odio e al disprezzo e a poterli manifestare liberamente» (ibid, p. 281).

Il 14 novembre il sindaco Baccini, il cui ufficio stampa mi dice non essere più presidente onorario del Leone d’Oro per la Pace, è lo stesso che ha promosso una contestata presentazione del volume del generale, moderata dal vannacciano Gian Luigi Paragone, nell’aula consiliare del suo Comune; l’evento è stato il terzo di una serie – nientemeno – di «incontri letterari». Baccini è anche il presidente della fondazione Foedus, indicata nei due comunicati come soggetto collaboratore per l’evento del 24 novembre.

Nel primo comunicato compariva in calce, come riferimento per gli interessati a partecipare alla manifestazione, il nome, il contatto telefonico e l’indirizzo e-mail istituzionale della responsabile dell’ufficio stampa della fondazione, che mi ha però comunicato che questa, con l’evento in Senato, non c’entra nulla. Sul secondo comunicato, sempre in calce, sono scomparsi in effetti anche i suoi riferimenti per informazioni e accrediti stampa (al loro posto c’è solo un numero di cellulare, null’altro, ed è quello di Candelaresi), sebbene la fondazione Foedus, come ho scritto, continui a comparire in veste di ente compartecipe sia nel primo sia nel secondo comunicato.

Ma il bello viene ora. Ecco la motivazione del premio a Vannacci contenuta nel primo comunicato: «per il successo editoriale con il suo libro “Il Mondo al Contrario”». Lo stesso generale, sul suo profilo ufficiale Facebook, pubblica una locandina (20 novembre), rimbalzata anche su alcune testate, dove c’è scritto che il 24 novembre avrebbe ricevuto il suo «Leone d’Oro per meriti letterari» in Senato, e qualche giorno dopo, il 23 novembre, in risposta al mio articolo su “Domani”, scrive su quello stesso profilo: «[a]sserisce – l’assertore sarei io – che il premio Leone d’Oro di Venezia per Meriti Letterari mi sia stato ritirato e invece mi verrà consegnato il 15 dicembre a Venezia». Certo, l’ho affermato qui io stesso, il riconoscimento gli è stato consegnato, ma la motivazione è un’altra. Il 16 dicembre il generale Vannacci posta una fotografia col suo Leone d’Oro in primissimo piano. Sull’etichetta del trofeo si legge: «Gran Premio Internazionale di Venezia. Leone d’oro alla carriera militare. Generale Dott. Roberto Vannacci. Leone d’Oro – Il Presidente Dott. Sileno Candelaresi. Venezia, 15 dicembre 2023 – Palazzo della Regione Veneto».

Scomparso ogni riferimento al libro, sono venuti ovviamente meno anche gli annessi “meriti letterari”. Sarebbe stato un po’ troppo per un “saggio” strapieno di strafalcioni che, con la letteratura, non c’entra un fico secco.

Oggi sarò ad Anagni, dove il Comune, avallando a sua volta l’assegnazione al generale Vannacci, il 6 dicembre scorso, di un premio intitolato alla pace, alla convivenza, al dialogo e al rispetto reciproco, ha assestato all’Italia civile uno schiaffo ancor più sonoro di quello ricevuto, il 7 settembre 1303, da papa Bonifacio. L’aberrante diritto di una presunta “maggioranza” di discriminare minoranze (“anormali”, nel caso degli omosessuali), che fa riaffiorare, coi loro tragici effetti, le rivendicazioni razziali di superiorità del Novecento, farebbe arrossire di vergogna chiunque si riconosca nei valori di una democrazia fondata sui principi della nostra Costituzione.

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