Anche se la sciagurata politica dei dazi imposta da Donald Trump, con le sue inattendibili tabelle basate su numeri fantasiosi e totalmente scollegati dalla realtà, ha monopolizzato l’ultimo Vinitaly, a Verona si è parlato molto anche di vini dealcolati. Questa nuova bevanda deve fare i conti con un mondo molto tradizionalista, che spesso accoglie le novità con un mix di curiosità, perplessità e scetticismo.

Per i puristi più intransigenti, la sola idea di un vino senza alcol è un’eresia, una pratica che va contro la natura e la storia. I più radicali si rifiutano di utilizzare la parola “vino” in assenza di alcol. Frutto naturale del processo di fermentazione, la sua eliminazione viene percepita come una manipolazione artificiosa che altera irrimediabilmente le caratteristiche del vino.

Chi è più attento alle nuove tendenze sociali, soprattutto delle giovani generazioni, vede invece nei vini dealcolati un’opportunità, un nuovo segmento di mercato da monitorare con attenzione e senza pregiudizi. Una posizione che considera i vini dealcolati un prodotto diverso, che si affianca al vino tradizionale senza togliere nulla all’allure di quest’ultimo.

I numeri

Anche se oggi il mercato vale solo 2,4 miliardi di dollari, gli analisti prevedono un incremento dei dealcolati con un tasso di crescita di circa l’8 per cento l’anno, che potrebbe rivelarsi importante per un settore in lento ma costante calo di consumi. Nel quadro delle abitudini alimentari contemporanee, il vino non riveste più un posto centrale a tavola.

La bottiglia di vino ha perso la sua connotazione quotidiana per diventare un piacere edonistico associato a un momento particolare. Se per i nostri nonni il vino era un alimento che accompagnava i pasti e spesso anche il lavoro nelle campagne, oggi il suo consumo si è rarefatto fino a diventare occasionale: un aperitivo, una ricorrenza o una cena speciale.

Al cambiamento delle abitudini sociali, nel corso degli ultimi anni si è aggiunta una crescente sensibilità al tema della salute. La preferenza per i prodotti biologici, il minor consumo di carne o la scelta di una dieta vegetariana o vegana si inseriscono in questa maggiore attenzione, non solo per la qualità degli alimenti, ma anche per processi produttivi sostenibili da un punto di vista ambientale.

Inoltre, per onestà intellettuale, quando si parla di vino non si deve avere timore delle evidenze scientifiche e ricordare che l’alcol può avere anche effetti negativi sul nostro organismo. Non solo può indurre stati di alterazione o dipendenza, ma è inserito nell’elenco delle sostanze cancerogene dalla Iarc-Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro.

La sua assunzione potrebbe contribuire allo sviluppo di neoplasie, anche se a oggi non è possibile indicare una precisa soglia di rischio. Gli aspetti medico-scientifici non vanno negati o ignorati, ma portati all’attenzione dei consumatori senza allarmismi, per sviluppare una corretta consapevolezza sulla necessità di un consumo responsabile e moderato delle bevande alcoliche.

Inclusività

Queste evidenze non devono tuttavia oscurare il ruolo culturale che il vino ha svolto nella storia dell’umanità dalle origini fino ai nostri giorni, il suo valore simbolico-religioso, la sua importanza a livello economico e soprattutto il piacere di degustare un buon calice di vino a tavola. All’interno di uno scenario in continua evoluzione, è certamente controproducente creare barriere ideologiche contro i vini dealcolati.

Anche se oggi siamo in una fase pionieristica e i numeri sono ancora piccoli, i dealcolati possono contribuire ad ampliare il mercato del vino in termini generali e a renderlo più inclusivo. Pensiamo a momenti della vita in cui non si possono assumere alcolici, come il periodo di gravidanza, di allattamento o durante terapie farmacologiche, o ai precetti religiosi che vietano di assumere alcolici, o alle persone che scelgono di seguire uno stile di vita sano ma non vogliono rinunciare al piacere di un buon calice, o semplicemente a chi ama prendere un aperitivo con gli amici, ma vuole restare perfettamente lucido se poi deve mettersi al volante.

I vini dealcolati soddisfano tutte queste esigenze e potrebbero diventare sia un’occasionale scelta alternativa per i consumatori abituali di vino sia una porta d’ingresso al mondo del vino in termini più generali.

Profili convincenti

La questione non è essere a favore o contro i vini dealcolati, ma cercare di realizzare prodotti di buona qualità. Attualmente sono tre i metodi utilizzati per eliminare l’etanolo dal vino: la distillazione, le tecniche a membrana e l’evaporazione sotto vuoto. Senza entrare nei dettagli dei singoli procedimenti, il problema principale è riuscire a produrre una bevanda che, pur nella sua diversità, sia gradevole e conservi le caratteristiche del vino originario.

Il punto critico dei processi di dealcolizzazione è l’affievolirsi di esteri e terpeni, ovvero dei composti volatili responsabili degli aromi varietali floreali e fruttati. L’alcol, inoltre, crea una percezione gustativa avvolgente, che conferisce corpo e morbidezza al sorso, contribuendo all’equilibrio complessivo del vino: una sensazione difficilmente riproducibile.

Proprio per queste criticità, è importante che i vini base siano di ottima qualità. Dovrebbero avere una naturale alta concentrazione aromatica e una buona struttura, in modo da sopperire a quanto si perde durante la fase di dealcolizzazione. Per quanto riguarda le uve a bacca bianca, potrebbero quindi risultare particolarmente adatte: Riesling, Sauvignon blanc, Chardonnay, Chenin blanc, Malvasia e Viogner. Più complesso e difficile trovare la giusta armonia nei vini rossi dealcolati, che presentano spesso al palato acidità e tannini slegati, oltre a un sorso piuttosto piatto.

Tuttavia, occorre considerare che siamo in una fase ancora sperimentale, e non è escluso che nel corso dei prossimi anni si possano affinare i procedimenti produttivi per arrivare a dealcolati più vicini al profilo originale del vino.


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