Il racconto di Cederna, firma femminile quasi solitaria dell’Espresso affollato di nomoni della cultura tutti maschili – Lionello Venturi, Massimo Mila, Alberto Moravia, Sandro De Feo, Eugenio Scalfari, Geno Pampaloni, Leo Valiani, Giorgio Bassani, Bruno Zevi – comincia dalle sfilate di moda, e non è proprio un caso. Parlare di un’epoca a partire dal suo «lato debole» – così si intitolava la rubrica che tenne sull’Espresso dal 1956 al 1977, e anche questo titolo non era un caso – è stata sempre la cifra programmatica del lavoro di Cederna. Teorizzò sempre la mescolanza dell’indignazione con il sentimento, e della frivolezza con l’impegno, anche negli anni dopo il 1968 che trascorse a occuparsi di argomenti tutt’altro che frivoli. Un titolo provocatorio e legato alla moda: le pervestite sono le protagoniste del terzo pezzo della raccolta, dedicato alle sfilate di Parigi dove era andata in scena un’identità femminile inedita, quasi imbizzarrita, forse rivoluzionaria. Era il 1968. Il secolo cambiava, «l’Italia esplodeva», e uscì per la prima volta questa raccolta di articoli scritti durante l’anno che ne descrivevano il mutamento.


Piuttosto simile a un arredo domestico che a una signora, una pallidona opaca fino a ieri e oggi invece una specie di fascinosa fata con un che di piacevolmente impudente negli occhi, chi è mai questa qui? È un quiz da salotto, facilissimo da risolvere. Perché è la signora di quarant’anni suonati con marito di tipo solito e figli annessi, quella che come la gran maggioranza delle quarantenni di oggi, letteralmente si scatena, sempre un’occhiata ai compiti dei figli s’intende, col marito un contegno fatto di diverse sfumature di indulgenza, pietà e un filo di disprezzo, ma un’assolutamente nuova sicurezza nei propri riguardi, l’ammicco facile, il sorriso complice, il proverbio sussurrato: «Cara mia, nella vita sempre meglio un rimorso che un rimpianto». È la quarantenne insomma che dopo anni e anni di fedele convivenza, di colpo scopre l’amore, e da nessuno mai si è sentito tanto parlare di flirts, telefonate d’alta civetteria e insidiosi biglietti come oggi dalle donne di quarant’anni che con inediti sorrisi da un lato raccontano di circonvenzioni ed assedi e dall’altro di molli difese; son lì tenere e vulnerabili come diciassettenni, sono diventate di colpo oggetti ad alto indice di gradimento e prede appetibili.

Così delle quarantenni agitate del giorno d’oggi (arrivate dunque all’età in cui una volta le donne si tradivano mentre adesso invece sono loro a tradire), si può fare addirittura una specie di catalogo.

A parte le fedeli di costituzione e mitomani di cervello che, appena via il marito, inventano una serie di appostamenti e supplici telefonate da parte di spasimanti a drappelli («Non te l’immagini, è tutto un dover resistere e non è facile, te lo giuro sulla testa dei miei piccolini», ma poi resistono davvero, perché tra l’altro non si tratta poi di drappelli, e magari si fan vivi soltanto gli amici monocoli o blesi), va subito notata la conformista bugiarda. Eccola che sparla del malcostume vigente tra le mogli di conoscenza, lei che invece è tutta figli, marito, commissioni gravose, asportazioni di adenoidi, Canottieri Olona per il maggiore, judo per il minore, e magari anche le lezioni di russo per lei. Ma poi si viene a sapere che un giorno sì e un giorno no (e da poco come le sue coetanee) s’infila anche lei nella garçonnière dell’amico del marito (giustamente situata in periferia, con due entrate s’intende). Poi, quando è a casa è un lamento continuo sull’alfabeto cirillico, e come le risulta difficile non continuare a confondere la c con la s. Via la bugiarda, è la volta della sincera, quella che s’innamora sul serio, e non sa nasconderlo perché nulla di simile le era mai capitato prima. Le dispiace per il marito ma non può non esibire l’amante, e la sua vita finora piena di cose vuote adesso le sembra soltanto una ricchissima fiaba al punto da diventare, lei così insipida, una quasi saporosa bellezza. E getta via gli abiti della sartoria conformista per vestirsi yé-yé, e appena può languidamente discute di amour-passion, ama di più i suoi bambini, quindi come una tigre difende il marito che come tutti i mariti contemporanei perdona e aspetta.

C’è poi la cinica (dice di non credere né all’amour-passion né a quell’altro, ride delle amiche e di tutti i loro sotterfugi), ma è emotivamente turbata dalla corte del giuggiolone devoto e ci casca anche lei. C’è quella che ci ha messo più di un’altra a decidersi, ma poi è diventata la più imprevedibile e capricciosa, e l’amore lo esige nelle ore più impensate, proprio quando lui è in ufficio e magari in riunione, se no quando lei è giù in macchina sotto casa sua, e scenda per piacere di corsa ché questa le sembra l’ora giusta, comunque a lei fa comodo adesso.

Avanti adesso la strumentalizzata che, nient’affatto capricciosa, l’amore usa incasellarlo nelle ore libere, tra la cura della cellulite, la seduta dal tipo che fa l’oroscopo, la lezione di religione dei figli e l’ora di pettegolezzi o guerriglia con l’amica preferita, e di solito s’imbatte nel tipo remissivo che come niente si lascia incastonare tra la masseuse, il mago ed il prete. Per finire quindi con la collezionista che, nonostante sia di solito dotata di un ottimo marito, forse soltanto per curiosità, per semplice mania di raccolta, o chi sa, forse il desiderio di scrivere più in là un breviario sull’amore promiscuo, ama cambiare di continuo e passa così metodicamente di uomo in uomo, purché siano tutti diversi. Il magro e l’adiposo, il calvo e il capellone, il bruno il roseo e il marron, il ricchissimo e l’indigente, l’intellettuale e il nullo, l’industriale e il pittore, l’affarista e l’ozioso, l’alpinista e il sub.

Quale la ragione di questa febbrile agitazione della quarantenne, da una parte l’amore, dall’altra quella nuova attuale frenesia che è il rimettersi a studiare, il voler lavorare a tutti i costi, magari il nascondersi un mese per potersi rifare comodamente il naso? Un’agitazione che, naso a parte, era comune alle irrequiete dame del Settecento, magari anche più anziane di queste. E che doveva poi placarsi nel secolo dopo e nei primi anni del Novecento, quando, se una donna, come si dice a Milano, «l’aveva volta’ l’anta», aveva cioè compiuto i quarant’anni, usava vestirsi di nero, mettersi la cuffia, stare a casa e tutt’al più, seduta rigidamente a capotavola, estrarre i numeri della tombola la sera. (Il naso, così dicono, le nostre protagoniste se lo tagliano per non dispiacere alle figlie, mentre lo studio e il lavoro se lo cercano come l’amore, per sentirsi ancora ragazza con un futuro).

In Inghilterra hanno capito così bene il problema della quarantenne irrequieta che i sociologi oggi studiano più lei dell’adolescente, e negli avvisi economici proprio rivolti a loro dei giornali inglesi si legge spesso: «Utilizzate la laurea che avete preso tanti anni fa». È lo stato che ha bisogno di insegnanti e si preoccupa delle donne coi figli cresciuti, e soprattutto ansiose di agire. In Italia vogliono dunque studio, lavoro e un altro uomo per illudersi d’avere ancora un avvenire. E al proposito non s’illudono granché, come invece parrebbe, perché secondo i medici di prima grandezza che studiano il corpo e la psiche della donna, questa loro crisi non è altro che una crisi d’adolescenza. Quello che essi affermano seriamente è infatti che per la donna i quarant’anni sono l’epoca della seconda pubertà. Già, o almeno così dovrebbe essere, è già così in molti casi, e così sarà tra pochissimo tempo.

Per prima cosa perché, circa la durata totale della vita, ultimamente la donna ha guadagnato almeno vent’anni: mentre una volta moriva tra i cinquanta e i sessanta, era matura a venti, e a quaranta era già prossima al semitotale disfacimento, oggi muore fra i settanta e gli ottanta, ed è matura a quaranta. Si può quindi arrivare a un paradosso che a pensarci bene però non è tale: la bella quarantenne che comincia a tradire il marito non lo fa perché di colpo diventa viziosa scoprendo all’improvviso colpevoli dissipazioni, ma per la semplice ragione che diventa pubere. È cioè matura per la prima volta e perciò capace di fare una reale scelta sessuale differenziata: e allora la si vede uscire da un matrimonio-robot (alle volte ritrovando un equilibrio devastato). Può darsi che sia stata nefasta per lei la prima, di pubertà, la quale in confronto a una volta è di molto anticipata e può diventare vero e proprio ninfettismo con relative negative esperienze. (Perché il precoce sviluppo oggi è stimolato dall’esterno e sollecitato da un’infinità di immagini sessuali). Ed è per questo suo passato precoce e sbagliato di ninfetta avariata che a quarant’anni la donna può essere frigida e frustrata, o spesso, sempre a sentire i medici, anche se è moglie e madre, immatura sessualmente. Allora il suo fisico decade, e la peggior malattia che una donna può avere a quarant’anni è quella di mostrarli; ecco mogli depresse e deprimenti, facce spiegazzate e compromesse o decisamente in isfacelo, bocche deluse che guardano all’ingiù, insomma donne buone tutt’al più per appendervi pellicce o per correre dallo psichiatra a farsi riparare.

Guai dunque alle quarantenni insoddisfatte paragonabili soltanto alle ragazze clorotiche che a loro disagio aspettano la prima pubertà, guai alle cattive digerenti, alle stitiche, a quelle che ingrassano perché mangiano troppo (son tre sintomi questi di frustrazione sessuale). Perché non tutte lo sanno ancora, ma a quarant’anni ci si dovrebbe invece trovare tutte in un’età di grazia, in cui l’organismo è perfettamente formato, l’equilibrio psicosomatico pienamente raggiunto, così a questo punto le scelte delle donne dovrebbero essere libere, non condizionate da interessi ed opportunità varie, ma basate soltanto su affetti o sentimenti; insomma a quarant’anni la donna dovrebbe essere soprattutto la compagna che considera il sesso come la continuazione di un interessante e naturale colloquio col suo partner.

Si può comunque aiutarle a diventare così, si può aiutarle a prolungare i sorrisi della giovinezza perché chi non ce l’ha ancora si trovi il partner con cui avere quel tal piacevole colloquio; per questo da qualche tempo è arrivato sulla scena il dottor Wilson con le sue frustate ormoniche, con le due nuove scienze infine, l’eudermia e l’euginia.

Non ci sarà più bisogno allora, arrivate sui quaranta, di sostituire l’amore con la vita mondana, di limitarsi ad essere le animatrici nervose di una serata invece di brillarvi come oggetto di spicco; e nessuno si meraviglierà più, come oggi ancora un po’ ci si meraviglia, dello scatto amoroso della mamma di figli più grandi. Né di trovar sulla sua agenda, se mai qualcuno la guardasse, in un giorno qualunque le note seguenti: «Ore 10 sauna, ore 13 colazione Soroptimist, ore 15 Paravidini-Crosta [la maestra del suo ultimo], ore 16 seduta del premio Prime righe, ore 20 masquillage [oggi si usa questo, non è più il maquillage], ore 21 pranzo Angel Face [gli amici del marito con la faccia da gangster angelico]», e alle 17 invece quella sigla misteriosa che può essere un’iniziale truccata, un diminutivo scherzoso, un diesis, una nota musicale, o un carattere cirillico a scelta che vuol dire l’amore, incontrato proprio a quarant’anni suonati.

Da Le pervestite, a cura di Irene Soave, Nottetempo, 2025


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