Pinacoteca cantonale Giovanni Züst di Rancate (Mendrisio, Cantone Ticino, Svizzera) e dall’Archivio del Moderno dell’Università della Svizzera italiana, in partenariato con i Musei Vaticani, e con il patrocinio della Biblioteca Apostolica Vaticana, promuove la mostra “Le invenzioni di tante opere” Domenico Fontana e i suoi cantieri, a cura di Nicola Navone, Letizia Tedeschi e Patrizia Tosini, Officina Libraria.

Giovan Battista Bellori in Le vite de’ pittori, scultori e architetti moderni, 1672, nel selezionare gli artisti di cui scrivere assume come criterio quello della nascita e della morte di Nicolas Poussin, ma fa uno strappo per Domenico Fontana, inserendone la biografia ed è uno dei rari architetti inseriti da Bellori nella sua opera.

Il Fontana privilegiato dal biografo è quello del sollevamento dell’obelisco vaticano, a cui è dedicato circa il settanta per cento del profilo: agli occhi di uomo del suo tempo il sollevamento degli obelischi si configura come opus mirabile dell’ingegno, dove matematica, geometria, scienza del costruire e tecnologia rifulgono nella loro massima espressione.

Bellori non manca di ricordare le discusse vicende personali del Fontana, la perdita del titolo di architetto pontificio e il passaggio a Napoli su richiesta del viceré conte di Miranda. Bellori non dà alcun credito alle accuse di malversazioni. Rimane il fatto che nel 1593 Fontana si trasferì a Napoli come regio ingegnere, realizzando molte opere e in primis quella più importante: il nuovo palazzo Vicereale.

Il lavoro da architetto

Il testo di Paola Carla Verde è incentrato sull’attività professionale di Fontana nel Regno di Napoli. Nella bibliografia relativa all’opera svolta a Napoli dall’architetto sono allo stato attuale parziali e lacunosi.

L’autrice pone le basi per una più ampia esposizione, nella quale vengono designate e ordinate le opere di Fontana: sono accuratamente discusse questioni di attribuzioni e datazione, vengono posti in evidenza i rapporti che l’architetto ebbe con la committenza, non trascurando curiosità di tipo biografico deducibili dai nuovi documenti ritrovati.

Anche nella capitale del Viceregno, a quel tempo la più popolosa e vasta città dell’Impero di Spagna, nel suo ruolo di Regio architetto Fontana fu responsabile delle maggiori opere architettoniche e ingegneristiche, commissionategli dai viceré spagnoli.

A Napoli Fontana ebbe per committenti aristocratici e notabili, in un’atmosfera diversa dall’assoluto potere teocratico del pontefice romano. Tuttavia gli obiettivi perseguiti da questi due differenti poteri erano comuni: ostentare la magnificentia del Viceregno per mantener viva la devozione dei sudditi, sfruttando gli interventi urbanistici e ingegneristici a fini di propaganda politica. Di queste ambizioni Fontana fu interprete felice, per dignità professionale, e fedele nei confronti della committenza vicereale.

Negli archivi napoletani si sono trovate notizie inedite su realizzazioni urbanistiche di Fontana (l’acquedotto tra Sarno e Torre Annunziata, l’esecuzione della via Olivares e Gusmana e i larghi di Castello e delle Pigne), e grazie ai documenti la Verde ha potuto attribuirgli anche interventi particolari: il restauro della cupola del tempio di Venere a Baia, l’allestimento “effimero” per l’ingresso in città del conte di Benavente.

Ricostruire il passato

Ma lo studio è specialmente focalizzato sulla maggiore realizzazione di Fontana: il palazzo Reale di Napoli, il cui progetto originario è andato quasi interamente disperso. Nel tentativo di ricostruire la fabbrica così come immaginata dall’architetto, Verde ha effettuato sia il rilievo di parti dell’edificio sicuramente originali, sia lo spoglio di fonti documentarie presso gli Archivi napoletani, analizzando anche l’iconografia storica della città e le descrizioni dell’epoca.

La Pianta dell’appartamento Reale (Biblioteca nazionale di Napoli) è da attribuire all’iniziale progetto di Fontana, che intendeva mettere in isola il nuovo palazzo Reale rispetto alle preesistenti fabbriche.

Il risultato originale di tali ricerche integrate è costituito da un’ipotesi ricostruttiva illustrata nell’impostazione di cinque tavole: la pianta del piano terra, la pianta del piano reale e i prospetti occidentale, meridionale e settentrionale.

Scrive infine Giovan Pietro Bellori a conclusione del suo profilo di Domenico Fontana: «Nell’età di anni 64 rese l’anima a Dio l’anno 1607 e fu sepolto nella chiesa di Santa Anna della sua nazione lombarda nella cappella da esso edificata, che è la seconda a mano manca l’entrata».

Questa vicenda narrata in dettaglio, con intelligenza interpretativa e chiarezza di dettato, fondando l’indagine sul doppio intreccio di fonti: quella dei rilievi – essenziali per la lettura della genesi e della formazione del progetto originale – e quella dei documenti d’archivio ritrovati, che gettano nuova luce sull’opera “seconda” di questo grande architetto del Cinquecento europeo che lasciò una cospicua eredità professionale ed artistica sia a suo figlio Giulio Cesare, radicato a Napoli, sia al nipote Carlo Maderno, suo allievo, che gli successe nella veneranda fabbrica di San Pietro.

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