L’abate gesuita Luigi Lanzi (1732 – 1810) fu intellettuale di vasta erudizione e cultura: di origini marchigiane, nel corso dell’ultimo scorcio del Settecento – il secolo dei Lumi – diede alle stampe la Storia pittorica dell’Italia. Dal Risorgimento delle Belle Arti fin presso al fine del XVIII secolo, opera ora riproposta nella collana dei Millenni, la più prestigiosa di Einaudi, (due volumi in cofanetto, pp. 2088, euro 68, a cura di Paolo Pastres), con una introduzione di Massimiliano Rossi. L’opera apparve in prima edizione nel 1792, a cui seguirono edizioni aggiornate nel 1795-1796 e infine nel 1809.

Un pilastro

Dire che l’opera di Lanzi sia un pilastro fondamentale della storiografia artistica italiana può apparire una banalità, ma così non è. Chi scrive la scoprì grazie a un saggio magistrale di Paola Barocchi, maestra non men grande del recensito. Il quale per la qualità eccellente della sua scrittura mi ha ricordato un’ideale erede quale fu Francesco De Sanctis per la letteratura italiana, non solo ma anche per l’uso della ecfrasi nella sua lettura dei dipinti esaminati ci rimanda tra le braccia di un nostro contemporaneo quale fu Roberto Longhi che dell’ecfrasi fu insuperato maestro. La scrittura polita e trasparente di Lanzi avrà un erede diretto con Alessandro Manzoni.

Ma bisogna ricordare che Benedetto Croce non amò affatto la Storia pittorica dell’Italia, ma qui conviene dire che anche Omero sonnecchia. Nell’elaborazione dell’opera che nasce da una conoscenza enciclopedica della letteratura che lo precede, ma anche da una conoscenza a tutto campo della storia artistica d’Italia: grazie al suo essere un antiquario e un erudito di cui diede prova in un fondamentale saggio sulla lingua e letteratura etrusca dato alle stampe nel 1789.

Impostazione diversa

La novità prima dell’opera lanziana è che essa è antagonistica alle Vite di Giorgio Vasari e poi di Giovan Pietro Bellori che hanno andamento biografico, mentre il Lanzi procede per scuole: una rivoluzione storiografica di larga tenuta nella letteratura artistica italiana e non solo italiana. Passare dal profilo biografico al modello delle scuole è un passo da gigante.

Il fascino di questa impresa è nel fatto che l’Autore non scrive solo di pittura e pittori ma circoscrive il mondo in cui questi artisti e queste opere nacquero. Non mancano certo i rimandi ad opere e a pittori a lui contemporanei: in tal senso possiamo parlare di un un’opera mondo come propone nell’introduzione Paolo Pastres. A tal riguardo mi permetto di suggerire allo Struzzo di pubblicare il suo testo nella collanina per testi brevi; sarebbe un acceleratore per la conoscenza dell’opera del Lanzi i cui grossi volumi richiedono un impegno molto rilevante.

Dunque dal 1792 al 1809 il Lanzi nelle tre diverse edizioni non fa che accrescere il testo, aggiornare la bibliografia, avvalersi di minuti appunti che redigeva nel corso degli anni girando di città in città. L’indice è prezioso per capire come è organizzata l’opera. Essa parte da Firenze dove il Lanzi s’era fatto le ossa alla Galleria degli Uffizi fruendo della protezione di re Leopoldo di Lorena. Non a caso il libro primo è dedicato all’Italia inferiore che ha centro Firenze partendo da Cimabue e Giotto, per giungere a Michelangelo e Leonardo da Vinci. Il libro secondo è dedicato a Siena, taglio netto in cui ne vede la fortuna internazionale e la sua lenta estinzione. Il libro terzo è dedicato alla Scuola romana che parte degli antichi, giunge a Raffaello, dice delle sventure politiche di Roma e giunge a Pietro da Cortona. Il libro quarto è dedicato alla scuola napoletana i cui gli esordi sono significativi prima di giungere a Luca Giordano e a Solimene.

Il secondo volume è dedicato all’Italia superiore: il primo capitolo è centrato su Venezia da Giorgione al Veronese, a cui fa seguito il secondo sulla disseminazione delle scuole lombarde: da Mantova a Modena, da Parma a Cremona e a Milano che principia con Leonardo e si chiude con Daniele Crespi. Potremmo continuare nel leggere l’indice, ma faremmo torto al lettore: basti dire che Bologna, Ferrara, Genova e il Piemonte hanno il posto che loro spetta. Le note sono non meno preziose del testo ed esse vanno lette forse saltabeccando da una all’altra: ma in esse si legge in trasparenza l’attitudine enciclopedica lanziana. Un’opera che ancora oggi resta un Bibbia della storiografia artistica italiana.

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