Nessun prodotto alimentare o quasi assurge a simbolo di identità e cultura come il vino. Talvolta racconto, talvolta leggenda, il vino è motore e frutto di una stratificazione di narrazioni che lo rendono parte della nostra storia. Una storia millenaria, con gli antichi romani e Plinio il Vecchio a rappresentare le più profonde radici della tradizione enoica, ma in realtà ben più recente: il vino per come lo conosciamo oggi non ha più di un secolo.

Un prodotto che non ha superato indenne le mode commerciali nel tempo. In tempi recenti, a influire sulle caratteristiche dei vini di tutto il mondo, è stata la spinta commerciale statunitense orientata in primis dal giornalista Robert Parker: fin dagli anni Ottanta questa ha portato a uno stile globale caratterizzato da vini rossi di grande struttura, fruttati e vanigliati per l’uso delle barriques, che incontra uno stile di vita amante dell’edonismo.

Sebbene alcuni tratti di questa enologia internazionale siano ancora presenti, la tendenza che si registra tra le generazioni più giovani volge alla ricerca di vini più leggeri, freschi ed espressione dei territori con una grande attenzione alla sostenibilità, riflesso di una coscienza ambientalista diffusa. Oggi la ricerca di uno stile di  vita salutare porta inoltre a evitare il consumo di alcolici. Registriamo un progressivo calo dei consumi di vino, in particolare dei vini rossi più alcolici.

Passione fermentazione

Negli ultimi tempi, si registra un interesse verso nuove tipologie di bevande non alcoliche. Ad esempio la kombucha o altre simili, derivate dalla fermentazione da parte di microrganismi che non producono alcol. Si è aperta una fase nuova, in cui la domanda sta spingendo a una spasmodica innovazione di prodotti; tra questi anche la versione parzialmente o totalmente dealcolata di birra, vino o superalcolici. Il vino no o low alcol rappresenta un’opportunità a fronte del calo di consumi di vino perla filiera viticola, ma non sarà sufficiente a compensare le perdite del comparto.

Il mondo del vino globalizzato subisce la frenesia delle mode in continuo e repentino cambiamento e cerca di stare al passo. Ma i tempi della viticoltura non sono compatibili con questi ritmi: una vite impiega qualche anno per produrre e un vigneto raggiunge un buon equilibrio in un decennio almeno.

Oltre alle pressioni del mercato, la viticoltura è bersaglio dei cambiamenti climatici, i cui effetti sono: maggiore pressione parassitaria, eventi meteorologici estremi, siccità e difficoltà a raggiungere l’equilibrio ottimale tra la concentrazione zuccherina e l’acidità e la maturazione fenolica dei grappoli. Alcune aree vitate nei prossimi anni potrebbero diventare inospitali per la vite. La ricerca di condizioni favorevoli sta facendo migrare i vigneti in areali nuovi, sui versanti settentrionali e in quota, a scapito di aree boschive o prati stabili, con conseguente perdita in biodiversità.

La filiera vitivinicola garantisce una redditività superiore ad altre produzioni agricole, tuttavia il surplus di prodotto potrebbe portare a un calo della remunerazione. Situazione preoccupante in una filiera che, anche dove produce valore – come ha raccontato il recente report di Terra! “Gli ingredienti del caporalato -Il caso del Nord Italia” – talvolta ricorre a forme di caporalato per risparmiare sul costo del lavoro.

La direzione in cui il settore deve evolvere è verso la totale sostenibilità: produrre di meno, produrre meglio. Una sfida per le piccole aziende multifunzionali come per i grandi player ma anche per chi sceglie di consumare vini sulla base di un valore, che oltre che culturale e tradizionale, sia salutare, rispettoso dell’ambiente e di chi ha lavorato a produrlo.


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