La storia che si fa confidenziale, famigliare, piacevole compagna di viaggio. Alessandro Barbero è da qualche tempo un’autentica star della divulgazione, un narratore formidabile in grado di rendere accessibili anche i temi più complessi, i conflitti più accesi, le dinastie più intoccabili, le tragedie più sanguinose.

Professore ordinario di storia medievale (da poco in pre-pensionamento per dedicarsi alla diffusione dei segreti del passato attraverso i più svariati linguaggi della comunicazione), Barbero ha guadagnato popolarità partendo da alcune trasmissioni di Rai Storia (come Il tempo e la storia o Passato e presente) per poi sperimentare il mondo delle piattaforme, dei social, dei podcast (Chiedilo a Barbero è un podcast ideato da Chora Media in cui il professore risponde alle domande e alle curiosità degli ascoltatori in brevi puntate di venti minuti).

Un “divulgatore convergente” che nell’ultima stagione è approdato sulla tv generalista con un programma tutto costruito intorno al suo stile e al suo modo di narrare i fatti. In viaggio con Barbero (in onda su La7, Ruvido produzioni) è un progetto che ha visto il docente torinese attraversare alcune contraddizioni della storia, come il confronto tra democrazia e dittatura o il passaggio dalla schiavitù alla civiltà del lavoro; o come lo speciale trasmesso la sera del 12 giugno sul delitto Matteotti a cent’anni dall’uccisione del deputato socialista.

In un panorama affollato di storytellers televisivi, Barbero ha dalla sua l’autorevolezza dello storico, il prestigio della cattedra; il rigore dell’analisi non soccombe alla retorica affabulatoria, ma ne diventa parte integrante, il gusto per il dettaglio stempera i toni e riporta la grande Storia sul terreno della quotidianità, delle piccole cose che ciascuno di noi può incontrare nella propria vita e nella propria routine.

Per lo speciale su Matteotti (premiato dal pubblico con oltre 1 milione e 100mila spettatori e il 6,5% di share), Barbero s’imbarca su un battello per quella che sembra una gita tra amici sul delta del Po, accompagnato da Davide Savelli.

Come un novello Soldati, il professore attraversa la parte finale del grande fiume in un clima d’informalità e scoperta; la direzione è il Teatro Sociale di Rovigo, dove Barbero terrà la sua conferenza sul deputato ucciso, ma le tappe d’avvicinamento diventano occasione per chiacchierate sul birdwatching (di cui Barbero rivela di essere appassionato sin da ragazzino mentre ci specifica che non ha «la passione per le anatre»), su come nell’antichità l’osservazione degli uccelli fosse legata alla predizione del futuro e i sacerdoti sapessero “leggere le cose” nelle interiora delle galline.

E ancora, riflessioni sull’origine del nome “Po” (da Padus, ma anche detto Eridano), sui fiumi che cambiano di direzione nel corso dei secoli e sull’alluvione del Polesine del 1951 («fino al Vajont la grande catastrofe della storia d’Italia»). Insomma, un pretesto per parlare d’altro, per arrivare all’oggetto della puntata sul politico originario di Fratta Polesine partendo dal contorno, creando connessioni, stimolando immaginari, senza dare l’apparenza di una preparazione a tavolino.

Quando il programma entra nel vivo, Barbero è sul palco del Teatro Sociale, accolto da giovani e meno giovani, a raccontare gli ultimi giorni di Giacomo Matteotti, il clima di violenza e intimidazione di quel periodo e le responsabilità delle milizie fasciste. Il registro cambia, si fa più didattico, ma allo stesso tempo Barbero non sfugge al richiamo della battuta, alla tentazione della leggerezza.

Ci racconta con dovizia di particolari i discorsi e gli articoli di Matteotti, come quello del 30 maggio con cui firmò la propria condanna a morte; scende nei dettagli di quel 10 giugno in cui il deputato del PSU (il Partito Socialista Unitario) venne rapito, ma non rinuncia al gusto del contiguo, spiegando che quel giorno Matteotti era rientrato a casa dopo la mattinata di lavoro («a quell’epoca tutti rientravano a casa per pranzo, non c’era l’orario continuato»).

Indugia sugli articoli della stampa dell’epoca, unico mezzo di comunicazione disponibile, sulla giovane età dei protagonisti di quella stagione, sulle insinuazioni del “Popolo d’Italia” e del “Corriere Italiano” su presunte “scappatelle” dell’onorevole, riportando la sacralità della storia alle sue piccole abitudini quotidiane e ai nostri modi di dire («aveva detto alla moglie che usciva a prendere le sigarette»).

Il tono si fa greve quando deve: Matteotti viene caricato a forza su una Lancia Lambda, i rapitori e i sicari si chiamano Amerigo Dumini, Albino Volpi, Giuseppe Viola, Augusto Malacria, Amleto Poveromo. Sono gli squadristi membri della polizia politica del fascismo. Quella di Barbero è stata una vera lezione di storia in prima serata: non soltanto un’operazione di memoria, ma un inequivocabile posizionamento di paletti e punti fermi, un “corridoio umanitario” di conoscenza dolorosa quanto necessaria

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