Capitano libri che ci ricordano il potere specifico delle storie. Specie oggi che gli animi, incitati dagli algoritmi e dalla politicizzazione spicciola e belligerante, tendono ad asserragliarsi su registri blindati, e poche, riottose certezze. Libri che, nel fare questo, ci portano a contatto con gli ordini, i motivi – e la bellezza – dei destini rimossi, sconvenienti, messi al bando.

Ad esempio adagiando una sull’altra tenerezza e violenza, innocenza e ferocia, amore e ossessione. A questo ho pensato mentre leggevo Amico mio (NN editore), seconda prova narrativa di Gianmarco Perale, autore trentacinquenne di origini venete tornato in questi giorni in libreria dopo l’esordio del 2021 Le cose di Benni (Rizzoli) e la collaborazione con Walter Siti nel podcast Perché Pasolini? di Chora Media. La storia è presto detta: Tom, tredici anni, è attaccatissimo a Poni, suo amico e compagno di classe. Passano il tempo tra compiti e allenamenti di calco, e Tom per proteggere Poni è disposto a tutto. La vicenda prende le mosse proprio da un moto di protezione: Tom spacca il naso a un altro compagno di classe, Leo Fosco, dopo che questo ha tirato un righello in testa a Poni. Da qui si innesca una spirale di conseguenze scomposte e rimedi inutili, che coinvolge adulti e ragazzi, scuola e famiglie, portando il lettore a cospetto della possibilità dell’orrore nel cuore più tenero dell’età dei giochi.

Con una lingua avvinghiante, ultraconcentrata e quasi solo dialogica, il romanzo di Perale si dedica a un piccolo, destabilizzante caso morale – che fa tornare in mente l’incidente fondativo di una delle più belle serie dello scorso decennio, Big Little Lies –, perimetrando le fondamenta di una tragedia possibile, in cui ciò che conta trapela attraverso i non detti e prepara la deflagrazione di un cuore, e quindi di tutto. Amico mio è la storia di un amore smodato, un’amicizia che nulla a che vedere con certi ideali aurei, secondo i quali il rapporto tra amici sarebbe il giusto mezzo auspicabile tra amore e indifferenza – scrisse Simone Weil che «l’amicizia è il miracolo per il quale un uomo accetta di guardare da lontano, e senza accostarsi, un essere che gli è necessario quanto il nutrimento».

Le cose tra Tom e Poni, o meglio per Tom nei confronti di Poni, non potrebbero andare in maniera più diversa: di temperanza o mitezza in questo romanzo a pressione non c’è traccia. Tom viene punito dai grandi perché ama troppo, ama male, la madre glielo ripete in continuazione, e lo stesso fanno il preside, i genitori di Leo, il padre di Poni. Per quello che ha fatto dovrà cambiare classe, forse scuola. Tom dovrebbe dolersi, addomesticarsi. E invece resta ostinato nel suo progetto struggente e insieme insensato di custodire a qualunque costo il rapporto a cui tiene di più al mondo, vigilando sul corpo in pericolo dell’amico (c’è davvero pericolo?).

Amico mio è un romanzo vero, innanzitutto perché libero nei confronti dell’esperienza affettiva: Perale sceglie di infilare le mani in una materia oggi ormai quasi clandestina, ovvero il lato oscuro del desiderio.

Cresciamo associando il desiderio a una dimensione tersa, tutta positiva. Il desiderio delle fiabe, il desiderio e le stelle, i desideri del compleanno. Ma di per sé il desiderio è soprattutto il propulsore principale della nostra vita, una forza indistinta dal punto di vista morale. Si manifesta come attrazione luminosa, ma anche come spinta al divoramento, alla manipolazione, al disastro. Messa così si potrebbe pensare che il desiderio sia dunque qualcosa di polarizzato, bene o male: invece sono proprio i miliardi di possibilità ambigue, intermedie, o meglio confuse, fluttuanti, che lo rendono interessante, bello da raccontare. Ambiguità che il dibattito contemporaneo, modellato dalla comunicazione digitale (quindi dal mercato), non ama, e spesso occulta: le ambiguità instillano dubbi, costringono a pensare, generano poco profitto.

L’inganno della dipendenza

Il tempo che stiamo vivendo è sempre più interessato alle narrazioni funzionali, strumentali, quelle di cui ce ne si può fare qualcosa, in senso polemico ed economico. Succede anche quando si parla di relazioni, sentimenti: oggi va molto di moda, per esempio, stigmatizzare la dipendenza affettiva. L’amore buono, sano – si legge ovunque – non conosce dipendenza, morbosità, eccesso.

L’amore giusto è affiliazione ragionata, ben misurata, tra due individui risolti, autosufficienti. Il resto è difetto, patologia, bestia nera. Questo tipo di sensibilità – che ha certo le sue ragioni e la sua utilità, dato che le dipendenze possono minare l’integrità individuale e il benessere – diventando tic comunicativo generalizzato ha come effetto quello di rendere sempre meno in grado di leggere e vivere le tensioni che ci attraversano. Quella che ci viene offerta dall’ambiente culturale contemporaneo è spesso un’idea di natura umana e di relazioni bidimensionale, prevedibile, piena di risposte eppure incapace di ammettere il conflitto come parte ineliminabile di ciò che siamo. Per questo gli ambiti autenticamente creativi oggi sono più che mai necessari, preziosi: ci esortano a coltivare uno sguardo ampio sulle cose, capace di farsi carico delle doppiezze, della compromissione, dei dilemmi insopprimibili che sempre affiorano nella vita pratica e sentimentale. Che ci rendono né tutti buoni né tutti cattivo o, per meglio dire, buoni e cattivi allo stesso tempo.

Tom ama il suo amico e lo deve difendere, costi quel che costi. Potrebbe sembrare una storia piccola, tra ragazzini, una storia sull’infanzia, sull’adolescenza, ma in essa si agitano questioni universali, che ci riguardano da vicino: contro la retorica dell’amore incondizionato Amico mio racconta la contraddizione del desiderio, quella che probabilmente lampeggiò nitida nella mente di Cioran quando scrisse: “All’interno di ogni desiderio lottano un monaco e un macellaio”. La contraddizione che nessuno consiglierebbe ma che ciononostante c’è, continua a esserci, dentro e attorno a noi. E può essere raccontata, messa in parola.

In questo Amico mio è una storia piena di verità, ovvero di vita: non è possibile emettere un giudizio netto su ciò che Tom pensa, sente, mette in atto per e contro il suo amico. Lo si biasima e insieme lo si comprende, ci fa paura il suo delirio di onnipotenza mentre facciamo il tifo per lui. Questa sorta di stordimento sottile percorre tutto il libro ed era già evidente nel precedente Le cose di Benni, dove pure al centro c’era un’amicizia equivoca sul bordo dello strapiombo (che ovviamente nelle recensioni online più volte si trova bollata con l’inflazionatissimo “tossica”). Probabilmente da qui passa il talento specifico di Perale, che ha il coraggio di creare, con una lingua libera dai placidi cliché formali del romanzo italiano, personaggi a cui si vuole bene e male insieme, figure che si agitano in un campo minato da ordigni che con devozione essi stessi hanno disseminato.

Un altro mondo non c’è

Il protagonista adolescente di questo racconto magnetico, in cui la sovrabbondanza di dialoghi sembra dirci in realtà che quando parliamo non parliamo mai di ciò di cui stiamo parlando, ci mette di fronte ai risvolti più problematici del desiderio, a un nodo che non riesce a essere sciolto o curato. Un nodo per il quale questo mondo non ha soluzione, come Tom stesso ammette verso la fine: «Perciò ho pensato che l’unica soluzione per stare con te nel modo giusto forse è inventare un nuovo mondo, di terra e di acqua e di cielo, simile a questo ma dove gli uomini si capiscono e si proteggono.

Un posto dove le persone muoiono anziane, nel sonno, senza soffrire. Ognuno ha il suo pezzo di mondo e nessuno desidera più di quello che ha. Questo mondo lo abiterebbe soltanto la parte migliore di me, la metà che ha perdonato l’altra». Ma un altro mondo non c’è, non ci può essere, non c’è mai stato: le cose capita che si mettano male, anche per amore, soprattutto in nome del bene. I bei romanzi spesso non curano né raddrizzano ma sono nostri complici nell’aiutarci a rinnovare la curiosità verso lo spettro intero dell’esistenza, dandoci il coraggio di intercettare bagliori attraenti anche lì dove l’irreparabile è accaduto, il tempo si è interrotto, l’amore è stato sbagliato.

Non per sadismo o maledettismo, ma perché ci sono molte più cose tra il cielo e la terra di quelle sognate dagli algoritmi e dai loro sotterranei ricatti, e la letteratura è uno dei luoghi segreti in cui andarle a cercare, fino a correre il rischio di meravigliarsi.
 

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