Il Padiglione Austria riflette sulle disuguaglianze abitative immaginando un sistema nuovo. Cittadini, istituzioni e territorio: un’alleanza per ripensare il benessere urbano e quotidiano
VENEZIA - Abitare è una questione politica. Lo era già nel 2019, quando il curatore libanese Hashim Sarkis, profeticamente, intitolava la Biennale d’Architettura – andata in scena in piena pandemia – How will we live together? Lo è ancora di più oggi, in un presente in cui l’abitare, da diritto, si è trasformato sempre più in un privilegio, tra canoni inaccessibili, affitti turistici e speculazioni sugli immobili sfitti. Le politiche urbanistiche, orientate al profitto più che al benessere collettivo, sono le direttrici che plasmano città sempre più esclusive e iper-gentrificate trasformando l'emergenza abitativa non più in una crisi ma in una condizione strutturale.
La città che non abita più sé stessa
Nel cuore di una città che, da secoli, vive il contrasto tra tradizione e modernità, la questione dell’abitare è particolarmente acuta. A Venezia, il fenomeno della turistificazione ha reso quasi inaccessibile la vita quotidiana per i suoi abitanti. Il contributo di accesso per visitare la città lagunare, recentemente introdotto, è solo un tentativo per arginare il problema della vivibilità. Le politiche pensate per proteggere la città dall’invasione del turismo mordi e fuggi non sono sufficienti, se non si affrontano le disuguaglianze sistemiche e si trova un equilibrio tra sviluppo urbano e sostenibilità sociale.
Il sistema viennese e quello romano
In questo scenario, il Padiglione Austria alla Biennale Architettura 2025, con il suo progetto Agency for Better Living, si propone di mettere in discussione proprio queste dinamiche.
I curatori Sabine Pollak, Michael Obrist e Lorenzo Romito mettono a confronto due modelli opposti ma complementari: l’edilizia sociale sistemica di Vienna e le pratiche di occupazione e auto-organizzazione nate dal basso a Roma.
Da un lato, una città che da oltre un secolo investe in politiche pubbliche dell’abitare: oggi oltre il 60% dei residenti di Vienna vive in alloggi sovvenzionati, tra case comunali e cooperative edilizie sostenute dal governo municipale: la casa è riconosciuta come parte integrante del welfare urbano. Dall’altro, la risposta informale, resistente e collettiva di chi si riappropria di spazi lasciati vuoti dall’abbandono o dalla speculazione, trasformandoli in luoghi di convivenza, cura e mutualismo, spesso in assenza di riconoscimento istituzionale.
Agency for Better Living unisce queste due forme di intelligenza urbana – istituzionale e autonoma – mettendole in dialogo senza gerarchie né nostalgie. Il progetto si sviluppa attraverso una costellazione di pratiche, video, dati e documenti, in un padiglione che assomiglia più a un archivio dinamico che a un allestimento museale. Le testimonianze di chi vive nei complessi di edilizia pubblica viennese si alternano a quelle degli abitanti delle occupazioni romane, in un racconto che attraversa le possibilità concrete dell’abitare come forma di giustizia sociale.
La pianificazione pubblica e l’autogestione
L’idea di fondo è che non ci sia una sola via possibile per “abitare meglio”. A Vienna, il sistema funziona perché la casa è pensata come diritto fondamentale, sostenuto da una pianificazione pubblica di lungo periodo e da un’idea di città come spazio collettivo.
Il modello abitativo viennese, al centro dell'immaginario evocato dal padiglione, non è il frutto di un’utopia astratta, ma il risultato di una lunga tradizione di pianificazione sociale e politica, avviata oltre un secolo fa. A partire dagli anni Venti, la cosiddetta Vienna Rossa – il periodo in cui la capitale austriaca fu governata dal Partito Socialdemocratico – fece dell’abitare una priorità politica, intrecciando urbanistica e giustizia sociale. L’obiettivo non era solo offrire riparo, ma costruire una forma di cittadinanza più equa, attraverso architetture che integrassero estetica, servizi e spazi comuni.
Questi edifici, noti come Gemeindebauten, furono progettati per ospitare la classe operaia in condizioni che nulla avessero da invidiare alla borghesia. Cortili verdi, cliniche, biblioteche, asili e negozi venivano integrati nei complessi residenziali, rendendoli parte di un tessuto urbano vivo e condiviso. Alcuni di essi portano i nomi di figure come Karl Marx e Giacomo Matteotti, a testimonianza dell’intento politico sotteso al progetto. In contrasto con molte città europee che, nel secondo dopoguerra, spinsero l’edilizia popolare verso le periferie, isolandola dal resto del contesto urbano, Vienna riuscì a mantenerla centrale, tanto geograficamente quanto culturalmente.
Questo approccio ha resistito anche alle spinte neoliberali degli anni Ottanta e Novanta, quando molte città europee optarono per la privatizzazione del patrimonio abitativo pubblico. Vienna, invece, decise di non vendere gli appartamenti comunali, mantenendo una leva politica fondamentale per regolare i prezzi e garantire l’accessibilità.
Roma, va avanti “nonostante tutto”: perché le persone si auto-organizzano, condividono risorse, trasformano in bene comune ciò che era stato lasciato al degrado, dando vita a modelli alternativi di coabitazione. Entrambe le realtà mostrano che l’abitare può essere anche un gesto politico, un atto di resistenza quotidiana.
Quello che dovrebbe emergere da questo confronto è un cambio di paradigma: la casa non come merce, ma come infrastruttura di vita.
Il padiglione austriaco si fa così spazio discorsivo, che non si limita a esporre ma prende posizione, documenta, interroga. Mette in crisi le retoriche della smart city, del decoro urbano e del valore immobiliare come misura di tutto.
L’architettura è da sempre espressione di un ordine: estetico, politico, economico. Ripensare l’abitare significa quindi ridefinire le relazioni tra i corpi, gli spazi, i poteri. Agency for Better Living si inserisce in questo solco: non immagina città ideali, ma mostra che l’alternativa c’è ed è già in atto.
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