I miei avvocati (che poi è uno ma conta per due: nome Gianni cognome Agnelli) continuano a consigliarmi di lasciare perdere questa vana battaglia di rivendicazione, ma è una faccenda di famiglia e, siccome la famiglia è una delle 15/16 cose a cui tengo di più, io non cedo.

Allora: ho conosciuto Chiara Ferragni alla Lega Pokémon di Cremona. Non pensate che perché oggi è una grande attrice all’epoca ne fossimo intimoriti, tutt’altro. Chiara aveva un mazzo scarsino, poi si distraeva pensando a cose tipo il denaro, e noi la mazzolavamo sempre. Urlava di dolore, quando i suoi Jigglypuff – il rosa, madonna che fissazione – venivano disintegrati dai nostri Charizard o Blastoise.

A pranzo da nonna

Un giorno Guido – giovanotto sottosviluppato con una stella di acne sulla gota sinistra – dopo l’ennesima vittoria pensa sia il caso di infierire, così si alza in piedi e davanti a una Chiarina Ferragnina sconsolata si solleva la manica destra e cerca di irrigidire il muscolo del bicipite in un’esibizione di vigoria pacchiana, ma Guido appunto è sottosviluppato e lo sforzo non produce altro se non una bolla di muco che sboccia sull’orlo della sua narice sinistra. La guardiamo, catturati dalla perfetta sfericità, micromondo ora concavo ora convesso, imponderabile sfera in cui allucinare fasti e orrori di evi passati e futuri che, per un colpo di tosse, d’un tratto si infrange detonando sulla faccia di Chiara e sulla sua borsetta Balenciaga Kids. Disperata, inizia a piangere, mentre tutti ridono e Guido si rialza. Davvero, tutti ridono, eccetto me, che nonostante la felpa con Tigro e il ciuffo di capelli blu sono già molto compassionevole.

Decido così di invitarla il giorno seguente a pranzo da mia nonna, nel tentativo di consolarla. In più ho Mortal Kombat III, e certo le sarà di aiuto trascorrere un pomeriggio a guardarmi giocare (solo un telecomando, grazie zio sempre stato la munificenza incarnata).

Arriviamo a casa e scopro con rammarico che la nonna ha poco tempo per cucinare perché alle 15 ha appuntamento con le signore della chiesa. Ci resto male, niente tavolate di leccornie. La nonna mi vede triste e dice: «Non preoccuparti, lo sai la nonna ha sempre un asso nella manica». Guardo Chiara interdetto, col timore che si riferisca alle note vicende (in parte penali) risalenti all’ultimo campionato di ramino. Quando estrae dal frigo una grande insalatiera decripto la metafora e mi tranquillizzo. «Ecco a voi», dice, «The Blonde Salad. Se volete altro sale prendete quello senza iodio che il Maldon lo tengo per il fucile». Poi ci saluta, prende le chiavi, il casco ed esce.

Mangiamo l’insalata. Chiara intanto ha cambiato espressione. Non più triste, eppure nemmeno felice. Ha un cipiglio strano, che non posso analizzare nel dettaglio perché come mi accade tutte le volte che mangio sono impegnato ad arrestare con il pane la corsa dell’olio sulla mia bazza, vezzo gastronomico che ancora oggi mi garantisce grandi consensi, specie alle cene placée. Dopo pranzo ci spostiamo alla tv e tutto procede come programmato: io gioco a Mortal Kombat nonostante l’inquietudine scaturita dal disclaimer sull’epilessia, Chiara mi siede accanto in silenzio. Ma sembra distratta. Provo a coinvolgerla accompagnando le mosse dei combattenti virtuali con gesti scattosi, emetto degli “uah” e degli “sbeng”, ma lei niente, zitta e seria. Alle 17 merenda. Le offro un Pangocciolo, lei rifiuta – meno male era l’ultimo –, poi dopo poco suona il campanello. È la madre che passa a prenderla. Chiara mi ringrazia, infila il cappottino Prada Bimbo, io mi offro per aiutarla ma lei dice «no grazie prima lavati le mani», fa un inchino e se ne va. Da quel giorno non l’ho più vista, né alla Lega Pokémon né altrove.

La Bocconi

Invision

Il tempo passa, le cose vanno avanti. So da conoscenti comuni che Chiara si è iscritta alla Bocconi, anch’io non me la cavo così male visto che prendo il diploma serale da perito elettrotecnico e poi tempo qualche mese inizio grazie a Gianroberto Casaleggio una straordinaria scalata in politica che mi porta a collezionare un paio di ministeri e tre rinvii a giudizio. Un giorno, mentre siamo in riunione, un collega mi mostra questo blog, The Blonde Salad. Vedo Chiara, che riconosco appena: non ha più lo sguardo abbacchiato di quando assisteva alle ecatombi di Jigglypuff, quella remissività è sparita. Però è lei e capisco tutto: Chiara che rimugina durante il pranzo, Chiara che non si entusiasma per Mortal Kombat, Chiara che rifiuta il Pangocciolo.

La prima “Blonde Salad”

This January 2018 photo shows southwestern black bean and corn salad in New York. This dish is from a recipe by Katie Workman. (Mia via AP)

Non sto a ripercorrere i tentativi di trovare un accordo, le prime azioni legali, le sconfitte in tribunale (una parola: massoneria). Mi basta che le persone sappiano e che mia nonna e la sua maestria in cucina ottengano la dovuta consacrazione.

Pertanto ho pensato che la cosa giusta da fare fosse raccontare a tutti come sono andate le cose e, soprattutto, divulgare una volta e per sempre la ricetta originale di quell’insalata, così come mia nonna l’ha trascritta nel suo quadernetto-ricettario di Sailor Moon. Che il mondo della moda sappia come le sue idee che tutti ritengono eleganti e scicchettose nascano in realtà – come tutto, d’altronde – dalle mani rugose sagge e impiastrate di Alchermes dei nostri vecchi. Grazie, nonni.

The Blonde Salad

1 Filadeffia

1 pacco di insalata Kountri Esselunga

1 latta di mais

1 ciocca di capelli strappata a vostra figlia. (Da qui il nome: all’epoca la zia si ossigenava – motivo per cui con la nonna litigava spesso, e giù insalate. Oggi tutto rientrato: se dio vuole è calva).

© Riproduzione riservata