Mentre il ragazzo aspettava l’arrivo della ragazza al tavolo 16, dalle casse del Poporoya Sushi Bar di Milano fuoriusciva quella che gli sembrò essere la voce di Dolly Parton che cantava I Will Always Love You. Era la prima volta in vita sua che il ragazzo sentiva quella versione di quella canzone (il senso di straniamento - che la narratrice definirebbe in maniera à la page come brechtiano - fu anche dato dall’ascoltarla in un ristorante giapponese) - insomma non era LA canzone di Whitney Huston? Proprio la canzone che aveva reso Whitney Huston QUELLA Whitney Huston? Si trovava davvero di fronte all’ennesimo caso di appropriazione culturale da parte della cultura bianca nei confronti della black music? Non era di certo un esperto del tema, ma almeno una volta alla settimana comprava l’Internazionale – quindi un po’ ne capiva; almeno ne capiva abbastanza da poter affermare che Adele aveva vinto e Bruno Mars aveva perso di fronte al galateo dell’appropriazione culturale.

Il ragazzo aveva molta, molta, molta fantasia (era un matematico datosi al game design) e nella sua testa si proiettò un breve-film -Disney-tipo-Fantasia-di-Dalì in cui un mago-merlino-dolly-parton-vestito-fucsia faceva muovere le note dello spartito di I Will Always Love You che poi si fermavano sotto dei caschi da permanente. Qualche secondo dopo, scrisse sulle note dell’iPhone nella sezione “idee”: «Anche le note musicali vanno dal parrucchiere».  Questo lo fece sentire speciale, almeno per un intenso momento. Quella canzone che non voleva finire con la sua promessa di eternità in salsa country lo stava iniziando a innervosire; davvero quella ragazza sarebbe potuta essere sua moglie? Lui lo sapeva; c’erano il 2,6 per cento di probabilità che ciò potesse avvenire. «L’ineluttabilità del destino si manifesta nei momenti di attesa». Altra nota. Altri dieci minuti.

Un mondo di colori

Milan Games Week (foto lapresse)

Avevano deciso di vedersi lì perché il Poporoya aveva dedicato il suo ultimo Chiracashi a Splatoon 3, il celebre videogioco Nintendo, appena uscito, diventato famoso perché i giocatori si sfidavano a squadre non con l’obiettivo di eliminare i membri del team avversario, bensì di ricoprire il più possibile gli scenari di gioco con l’inchiostro del proprio colore. Nel mondo del gaming non ci si uccideva per sopravvivere, ci si limitava a colorare, proprio come quando alle elementari ti facevano colorare sempre di più le cartine mute a simboleggiare l’espansione dell’Impero Romano e non ti spiegavano quante persone morivano da una cartina muta all’altra. O comunque da bambino non associavi il pastello giallo allo spargimento di sangue. 

Il ragazzo cercò di tornare con la mente a lei, lei, lei: alla ragazza. Si erano conosciuti alla Games Week di Milano qualche giorno prima. Erano gli unici due vestiti da loro stessi durante un raduno di Cosplay di Naruto davanti allo stand 46A di Rho Fiera. E si erano riconosciuti.

Era stata lei a proporre la cena lì per il chiracashi di Splatoon 3. E lui si era innamorato di lei nell’unico modo in cui ci si innamora; ovvero costruendo tutta un’esistenza fittizia nella propria testa su una persona appena vista. La vedeva legarsi i capelli con un elastico di raso blu a pois rossi con un piccolo Sponge Bob attaccato sopra, non appena stava per iniziare il gioco; immaginava le sue mani curate stringere prima il joystick e poi la sua faccia per baciarlo; lui l’avrebbe fatta vincere spesso – anzi, avrebbe creato un gioco apposta per lei, un gioco nel quale lei, lei, lei, la sua ragazza sarebbe stata la più brava al mondo. Ormai era passata un’ora dall’orario prestabilito per il loro appuntamento e la ragazza non arrivava. 

Nelle note

Rilesse la sezione “argomenti da usare su Milano per rompere il ghiaccio” delle sue note iPhone nel pomeriggio:

- Ruby Tuesday; il beagle di sei anni quasi morto a Parco Sempione per avere ingerito della marijuana  

 - (sempre stando sul tema se vedo che le interessa); Lo sai che a Milano c’è il più grande cimitero per cani d’Europa? Anche se dicono che quello di Parigi sia più bello! 

- A Milano, zona Lambrate, ha aperto la prima casa di riposo che permette agli anziani di aspettare la morte insieme ai propri animali d’affezione; non solo cani e gatti, anche rettili, pappagalli, conigli, roditori vari, furetti, tarantole et cetera.

 - Dentro il Duomo dicono che viva una fantasma che si chiama Carlina (anche qui legato al tema cani; Carlina femminile di una nota razza).

- Dolly Parton ha appena aperto in via della Spiga un pop-up store dove vende parrucche per persone e per cani. Inaugura domani; Beppe Sala taglierà il nastro del negozio.

- Domani c’è sciopero dei mezzi, se vuoi puoi dormire da me così ti porto al lavoro in macchina (questo se capisco che lei non ha una macchina e soprattutto, se capisco che vuole venire a letto con me; forse se vuole venire davvero a letto con me non serve scomodi lo sciopero dei mezzi).

- Due jogger hanno avvistato degli ufo sopra parco Forlanini, uno di loro era Massimo Recalcati, il famoso psicanalista lacaniano.

Dentro l’acquario

Yomiuri

Poi d’un tratto il suo sguardo si fermò sugli astici nell’acquario. Avevano le chele legate con degli elastici. Chiese al cameriere il perché; il cameriere gli disse che gli venivano legate per non uccidersi, allo stesso modo pensò in cui lui aveva le mani legate in quel momento: perché non scriveva alla ragazza? Aveva paura del suicidio emotivo che le avrebbe causato il suo rifiuto? Forse che il suo destino non fosse già stato scritto come quello degli astici e gli alieni che presto avrebbero invaso il pianeta terra lo avrebbero spolpato ben bene, oh sì.

Pensò che gli astici si sarebbero uccisi perché non sapevano di condividere lo stesso destino a forma si pentola a pressione, lo stesso motivo per cui lo fa il genere umano con le guerre. Nel vapore di quel pensiero mortifero si mise a piangere, ordinò due chiracashi e disse al cameriere che la sua ragazza sarebbe arrivata a momenti. «Gli astici hanno la sindrome di Cotard», scrisse sulle note dell’iPhone. Aveva letto di quella buffa sindrome su Forbes: è una sindrome che hanno in vita quegli esseri umani che sono convinti di essere morti. Guardava gli elastici di quelle chele, avevano tutto colori fluorescenti, così che tutti potessero notarli e compatirli. Che scelta cromatica sadica, pensò. Il ragazzo mangiò il chiracashi, le sue lacrime s’impastarono con la spirale di salsa di soia che poco prima vi aveva disegnato sopra. Da lì a dieci minuti sarebbe comparsa una macchia di Rorschach. D’un tratto si accorse che non c’era nessuno seduto al ristorante, o forse faceva solo fatica a vedere, aveva le pupille bagnate; sentì uno strano sentimento di nostalgia nei confronti della possibilità di sbattere gli occhi.

Eccola, la vide; la ragazza era arrivata: lei, lei, lei. Fece per andarle incontro, ma sbattè la testa contro il vetro e vide un corpo mosso aranciato che lo stava come per attaccare. Il fu-ragazzo riuscì a scappare da quello che non aveva ancora capito essere l’acquario. E sì trovò con l’esoscheletro a terra sulla moquette. 

Disclaimer

La narratrice, a differenza del fu-ragazzo-ora-costaceo, sa che un’astice fuori dall’acqua può vivere al massimo 48 ore e sa con certezza che Dolly Parton si inventò nel 1966 l’esistenza di suo marito Carl Thomas Deannon per occultare la sua omosessualità (ecco perché crede che Dolly, in realtà, abbia i capelli rasati a zero sotto la parrucca e che abbia avuto una storia con la Huston – da qui la sua cover di maggior successo, cosa non si fa per amore! –un’unione al tempo non capitabilizzabile in termini di marketing come magistralmente fatto dalla modella e attrice Cara Delvigne con la cantante St. Vincent e da molte altr* ai nostri tempi). La narratrice sa anche che il fu-ragazzo-ora-crostaceo avrebbe voluto scrivere sulle note degli iPhone: «Il reale della matematica è il numero infinito come impossibile».

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