Come nasce un romanzo di milletré pagine scritto in sei mesi grazie al metodo Turbotyping, tra ghostwriter-Umpa-Lumpa, digressioni labirintiche e verismo magico. Una storia sullo scrivere storie, e sul perdersi per ritrovarsi
- Questo articolo è tratto dal nostro mensile Finzioni, disponibile sulla app di Domani, sullo sfogliatore online e in edicola.
Tempo di lettura col metodo Turboreading: un minuto e trentaquattro secondi.
Il 24 ottobre 2024 mi ha telefonato Francesco Colombo, direttore editoriale di Einaudi Stile Libero. Mi ha detto: vorremmo uscire col tuo nuovo romanzo il 3 giugno 2025. Mi è preso un tuffo al cuore: Francesco non poteva saperlo ma io, del nuovo romanzo, non avevo ancora scritto una riga. Mi ha chiesto: ce la fai a consegnarlo entro il 3 febbraio, in modo da andare in stampa intorno ai primi di maggio? Naturalmente ho risposto di sì. Che cosa dovevo rispondere?
E così il 25 ottobre 2024 mi sono ritrovato nella spinosa situazione di cominciare a scrivere questo mostro che immaginavo da quasi due anni (avevo preso circa duemila appunti sul telefono, ma non avevo ancora trovato il modo giusto per scriverlo); ho cercato se in rete esistevano corsi di scrittura veloce, e ho trovato svariati corsi di digitazione selvaggia e di dattilografia; il migliore mi è sembrato Turbotyping, il cui slogan – «Scrivere in fretta non è scrivere male. È scrivere prima che ti venga la paura» – mi è sembrato bellissimo, soprattutto perché avevo il sospetto che non significasse niente; in preda a un sacro furore ho scritto una mail per domandare se il corso era rivolto anche a scrittori del lunedì: devo scrivere un romanzo di mille pagine, ho scritto, e lo devo scrivere in sei mesi, potete aiutarmi? Ha già un titolo e un finale?, mi ha chiesto la segretaria di Turbotyping. Ho risposto che avevo un titolo, un incipit e un finale. Allora ce la facciamo in cinque mesi e mezzo, mi ha scritto.
Metodo Turbotyping
E così è iniziato tutto. Per il primo periodo sono stato affiancato da dodici Umpa-Lumpa (sì, quelli della Fabbrica di cioccolato di Dahl, che alla Turbotyping fanno i ghostwriter), i quali instancabilmente mi spronavano («Scrivere è come sturare un lavandino otturato da anni di grasso rancido e capelli – tuoi, del mondo, dell’umanità che ti preme dentro il cranio: scrivi, dannato!»), mi insultavano (ma solo quando me lo meritavo: «Intellettualetto da bidè!», «Grafomane da sottoscala ferroviario!», «Scribacchino da sputo e da nota a piè di pagina!»), mi sbeffeggiavano (ma solo quando mi montavo la testa: «De’, guardate, oggi ha scritto due pagine!», «Scrive come se avesse i polsi legati e il cervello in trincea!», o ancora: «Ma guarda che somaro da tastiera, c’ha il lessico d’un carciofo e l’ambizione d’un arcangelo!»), e a fine giornata, senza scampo, cantavano un’insopportabile canzone moraleggiante con quella vociaccia ottusa, ammaccata, cornacchiosa. A febbraio ho consegnato la bozza a Francesco Colombo e ai due Gran Umpa-Lumpa, gli Umpa-grammuffastronzoli: Greta Bertella e Giulio Mozzi. Abbiamo lavorato fino al 6 maggio senza sosta.
Alla fine, tra una canzone moraleggiante e l’altra, tra una crisi di pianto e una di risate grasse e crasse, è uscito fuori il romanzo che avevo in mente, proprio come quelli di Turbotyping mi avevano promesso (del resto col metodo Turbotyping per scrivere questo articolo ho impiegato due minuti e diciassette secondi).
Niente, in Digressione, è stato messo a caso (tranne i capitoli 35, 50 e 63). Tutto è stato ragionato e voluto, dalla più infima virgola al più insensato avverbio al più oscuro neologismo al più curioso verbo (tranne un avverbio a pagina 444, un verbo a pagina 555, un numero a pagina 889 e un’intera frase a pagina 999, che ha scritto mio figlio Dante, seienne); tutto è stato misurato secondo quello che avevo intenzione di fare: stile registri allusioni citazioni densità caoticità. Non ho scusanti.
Troppo?
In tanti mi hanno già fatto notare quanto il libro sia ciccione e fitto, così tanti che a un certo punto ho iniziato a sentirmi in colpa per aver fatto un libro troppo grosso, troppo lungo, troppo troppo. Ebbene, Digressione ha milletré pagine e due milioni e rotti di battute perché questa storia aveva bisogno di milletré pagine e due milioni e rotti di battute, non di una pagina di meno, non di una battuta di meno: racconta la storia di Arturo Saragat, e di come la sua vita si sia intrecciata a quella di un libro (che è un oggetto magico, un catalizzatore, un testimone silenzioso delle vite altrui); di Guillermo Escandón Luna, mariachi messicano, che voleva tracciare la genealogia di tutti i possessori di quel libro; di Baudelia Amadia, strega e profetessa; di Tommaso Sconocchini che vive in molteplici mondi; del nostro mondo in un particolare bivio nel tempo (uno dei tanti bivi nel tempo immaginati – ma soprattutto non immaginati – da Murray Leinster nel suo romanzo Bivi nel tempo); di un golfista console a Pantelleria che vuole essere ricordato, come quasi tutti; di un’equazione cosmologica; di un uomo visionario che, partito da Taranta Peligna, dopo aver lungamente viaggiato fonda una fabbrica di mappamondi ad Asti; dei genitori di Arturo Saragat, Giacomo e Anna; di Angelica, che Arturo ama appassionatamente; del parcheggio più instagrammato d’Italia; di Calixto, il laberintero inmortal; di una fantesca svizzera che contribuisce a fondare l’Ordine dei digressori di Creta insieme a Mary Shelley e agli altri giovinastri della sua cricca; di Giacinto, Zaccaria, Negro e Viola; di Bosco, che cerca Cesco Magetti; della Tilde di Ferrovie del Messico qui centenaria, che prova a trovare un senso a tutto in un mondo desolato; racconta di una Asti trasfigurata, di una Pantelleria stravolta, ma soprattutto racconta la storia del nostro mondo, della nostra Italia, del nostro tempo, della nostra società, della nostra storia, come realmente è, ma da un altro punto di vista: è la storia di mille storie che, indissolubilmente intrecciate le une alle altre, insieme formano una grande, unica, storia.
Verismo
Qualcuno, forse, lo definirà un romanzo mondo, un romanzo post-postmoderno, ucronico, fantascientifico, fantastico, di realismo magico, una cagata; per me Digressione è un romanzo verista. Vi si narra di come casualità, causalità e sincronicità incidano sull’essere umano; di come i riti, benché fondati su princìpi ed effetti palesemente irreali, possano instillare nelle persone una realtà più vera del reale; e si narra di ossessioni, dell’incessante lotta tra bene e male, che quasi sempre si trasforma in una mescola di così così, di né bene né male, e si narra di sofferenza e di bellezza; si narra di come il linguaggio sia il primo protagonista di ogni storia raccontata, del tentativo umano di cercare un ordine nel mondo (la letteratura dopotutto è un modo per mettere ordine nel mondo, no?); si narra di persone ai margini dell’impero e della storia, e si narra di confettura di fichi. E poi, naturalmente, si narra dell’arte sublime di digredire.
In Digressione la digressione non è mai un espediente narrativo, ma è sempre il cuore della narrazione, è sempre un gesto esistenziale. Digredire è cercare una fessura nella linearità del tempo e della morte. Così come Calixto costruisce labirinti per sfuggire alla morte, gli uomini e le donne di Digressione si immergono in storie sempre più remote per evitare la banalità, la resa, l’oblio. La digressione diventa forma di resistenza, di libertà, di poesia. E ogni digressione è così profondamente e intimamente intrecciata almeno a un’altra digressione, spesso a più d’una, che l’insieme delle digressioni diviene esso stesso l’argomento della narrazione, ovvero la storia narrata. La digressione è anche una Weltanschauung: non è mai una divagazione o un disordine, ma una forma di esperienza del mondo, un metodo conoscitivo, un gesto etico, un paradigma esistenziale: si può digredire da sé stessi, dalla morale, dal tempo, dallo spazio – purché si mantenga un filo che consenta il ritorno.
Per leggere Digressione potete affidarvi al metodo Turboreading: ce la farete in meno di due giorni, ma senza capirci niente; oppure potete leggerlo con calma, perdendovi nel labirinto che Greta, Giulio, gli Umpa-Lumpa e il sottoscritto hanno preparato per voi: allora, forse, potrete trovarci una goffa bestia che assomiglia a un minotauro: è l’emozione di perdersi in un mondo di storie e di ritrovarsi a casa propria.
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