Secondo il geografo Strabone, morto sotto l’imperatore Tiberio, per Gerusalemme «nessuno avrebbe voluto pigliar guerra seriamente» perché, nonostante l’abbondanza d’acqua nella città, il territorio dove si trova – quello dei monti della Giudea – è sterile, arido e pietroso.

Ma invece, già da una dozzina di secoli, frequenti conflitti si erano susseguiti nella regione, di continuo contesa tra Assiria ed Egitto. E molte altre guerre si sono moltiplicate dall’età romana a quella contemporanea, fino a quella scatenata il 7 ottobre dal massacro di ebrei a lungo pianificato da Hamas.

Una ventina d’anni fa l’archeologo Eric Cline ha enumerato e raccontato ben 118 conflitti importanti, dall’antica Canaan – questo era il nome del paese – fino alla seconda intifada esplosa nel 2000 (Gerusalemme assediata, Bollati Boringhieri).

Strabone dunque si sbagliava, o forse la sua osservazione era un auspicio nel quadro del dominio che da decenni Roma aveva imposto alla regione. Nel 63 prima dell’èra cristiana Pompeo aveva infatti spento l’ultima indipendenza giudaica approfittando di una guerra civile, ed era stata costituita la provincia romana di Syria Palaestina.

Le origini 

Alla radice dei conflitti per una terra che, in modo polemico ma semplicistico, è stata definita troppo santa – con riferimento ai conflitti fra i tre principali monoteismi (ebraismo, cristianesimo, islam) – vi sono però sia la storia che il mito.

Proprio come nei racconti della Bibbia ebraica le vicende storiche e la loro mitizzazione s’intrecciano inestricabilmente. In un insieme di testi che nei secoli hanno nutrito un immaginario potente, religioso ma anche politico, spiegato in modo affascinante nel libro intitolato Esodo (Adelphi) dall’egittologo Jan Assmann, morto a Costanza lunedì scorso.

Da quasi un secolo biblisti e archeologi discutono come sia storicamente avvenuto l’insediamento nella terra promessa da Dio al patriarca Abramo. Se sia stato davvero la conquista narrata dai testi biblici come un’epopea – con le cruente campagne militari sotto la guida di Giosuè, il condottiero succeduto a Mosè, a sua volta liberatore d’Israele dalla schiavitù dell’Egitto – oppure una lenta penetrazione.

Tratti ben più definiti ha invece la figura di Davide, le cui storie sono raccontate da un bel libro di Ugo Volli: giovane eroe e re, mistico e poeta, uomo di potere e peccatore. E si è arrivati a definire questo celeberrimo personaggio «un fantasma mitologico, un salvatore e persino un serial killer», con tratti desunti comunque da «una magnifica biografia biblica» riassume Cline.

Nel caso di Davide, però, l’archeologia sembra davvero dare ragione alla Bibbia: nel 1993 e nel 1994 sono infatti venuti alla luce a Tel Dan, nel nord d’Israele, frammenti di un’iscrizione in paleo-ebraico, forse dell’841 avanti l’èra cristiana, che cita la «casa di Davide». Secondo l’archeologo statunitense – anche se più sfumata resta l’opinione di altri suoi colleghi – è «una prova importante, da fonte non biblica», della «stirpe reale» iniziata con il sovrano che è il simbolo per antonomasia del popolo ebraico.

Proprio re Davide infatti conquista Gerusalemme, nome che già ricorre, e fin dal XIX secolo, in testi egizi. E nella «città di Davide» – la capitale dove il sovrano colloca l’«arca dell’alleanza» con Dio – suo figlio Salomone, che gli succede tra il 970 e il 930, fa costruire il grande santuario. Ma dopo pochi anni la monarchia unitaria si divide in due regni: Israele a nord e Giuda a sud, stretti tra assiri ed egizi, ma non di rado tra loro contrapposti.

Il secondo tempio 

I circa quattro secoli del «primo tempio» sono così segnati da ripetuti attacchi esterni ma anche da conflitti interni, finché nel 597 i babilonesi di Nabucodonosor assediano e conquistano Gerusalemme. Un altro spaventoso assedio – durato diciotto mesi e confermato dagli scavi archeologici – si conclude con la distruzione del tempio di Salomone e la deportazione a Babilonia dei capi ebraici: secondo la tradizione, era il 9 di Av (16 agosto) dell’anno 586, data spartiacque nella storia ebraica.

Inizia allora l’esilio, che si conclude nel 539 grazie alla vittoria di Ciro, re dei medi e dei persiani. Gli esuli possono rientrare in patria e i due secoli dell’età persiana, relativamente tranquilli, sono fondamentali per la configurazione del giudaismo e, più tardi, del primo cristianesimo. Viene edificato il «secondo tempio» e – sulla base di tradizioni e di testi precedenti – si assesta e prende forma gran parte della letteratura biblica ebraica, che rilegge tutta la storia precedente.

Fin quando entra in scena di Alessandro e si sostituisce al dominio persiano: «La terra ammutolì davanti a lui; ma egli si esaltò e il suo cuore montò in superbia» si legge all’inizio del primo libro dei Maccabei, che in questo modo introduce la divisione dell’impero e la morte nel 323 del giovane sovrano.

L’epoca ellenistica e romana

Snodo decisivo nella storia culturale, l’età ellenistica segna anche – con la resistenza al dominio pagano tra massacri e rivolte, ma anche guerre civili – l’ultimo tentativo giudaico d’indipendenza politica, che si afferma dapprima con l’epopea maccabaica (167-142) e poi con il regno asmoneo. Fin quando nel 63 Pompeo arriva a Gerusalemme, osa penetrare nel luogo più inviolabile del tempio, pur non saccheggiandolo come i precedenti invasori, e la regione viene sottomessa a Roma.

Irriducibile è ostilità anche al governo romano, che sfocia nella guerra giudaica esplosa nell’anno 66 dell’era cristiana ed è narrato dal giudeo romanizzato Flavio Giuseppe. Nel 70, dopo tre mesi di assedio, Gerusalemme viene espugnata e, ancora una volta il 9 di Av, il tempio – che Erode il Grande aveva restaurato e dove Gesù aveva predicato – è incendiato e distrutto dalle legioni di Tito. In seguito poi alla seconda guerra giudaica, che infuria tra il 132 e il 135, Adriano ordina di cancellare anche il nome di Gerusalemme e nella romana Aelia Capitolina gli ebrei hanno il divieto di accedere

Tra cristiani e musulmani 

La chiesa del Santo sepolcro (foto Unsplash)

Con il viaggio di Melitone, vescovo di Sardi, alla ricerca dei luoghi delle Scritture ebraiche, prende avvio già intorno al 170 la storia della «terra santa» cristiana. Ma solo con l’età di Costantino – dopo la sistematica persecuzione dioclezianea che fa molti martiri in Palestina – la linea filocristiana dell’imperatore restituisce l’antico nome a Gerusalemme. Simultanea è l’imponente politica di edilizia sacra, sviluppata in diversi luoghi della regione nell’età bizantina.

Il dominio di Costantinopoli dura circa tre secoli: nel 614 la città è assediata e conquistata dai persiani, che incendiano la chiesa costantiniana del Santo sepolcro. Molte decine di migliaia sono i morti, con «chiese sante incenerite dal fuoco o demolite, altari maestosi crollati, croci sacre calpestate» descrive con orrore il monaco Antioco.

Alla conquista partecipano soldati giudei e, dopo quasi cinque secoli, gli ebrei possono finalmente tornare in città. Solo per tre anni però, perché già nel 617 vengono espulsi dai persiani che si alleano con gli abitanti cristiani rimasti.

Altri rovesciamenti si succedono: nel 629 la reazione bizantina permette all’imperatore Eraclio di riprendere ai persiani la città, ma già nel 638 Gerusalemme si arrende agli arabi. Per la città santa – che viene trasformata nel terzo luogo sacro dell’islam, dopo Mecca e Medina – è l’inizio della lunghissima dominazione musulmana.

Il muro del pianto, Gustav Bauernfeind (immagine Wikimedia)

Caratterizzata tra il 1095 e il 1291 dalle crociate, ma poi soprattutto da guerre civili, questa storia è comunque segnata da un persistente rapporto con l’occidente – che per il medioevo è ricostruito da Antonio Musarra (Fra Cielo e Terra, Carocci) – e dura quasi tredici secoli.

La nascita di Israele

Uomini e donne in preghiera al Muro del Pianto (foto Wikimedia)

Fino all’11 dicembre 1917 quando, sconfitti gli ottomani e i tedeschi, Gerusalemme viene occupata dalle truppe britanniche del generale Allenby che, entrato a piedi in città, dichiara che le crociate erano concluse.

Pochi anni dopo, sullo sfondo del movimento sionista e poi della Shoah, nella Palestina sotto il mandato britannico un crescendo di violenze sempre più generalizzate porta – oltre venti secoli dopo la fine del regno asmoneo, l’ultima forma di un’indipendenza ebraica – alla nascita nel 1948 dello stato di Israele.

Con un seguito di guerre quasi ininterrotte che s’incidono nella memoria confusa e nelle cronache di oggi. E come Allenby anche israeliani e arabi più volte, con maggiore o minore fondatezza, ricorrono a immagini mitizzate della storia per rileggere un presente condizionato anche da potenze esterne alla regione. Proprio come nel passato.

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