In una sera dell’aprile del 1874, più precisamente il 15, nello studio del fotografo Félix Nadar veniva inaugurata una mostra organizzata da un gruppo di trentuno artisti visionari. Monet, Cézanne, Degas, Renoir, Morisot e gli altri avevano deciso di sfidare le rigide convenzioni della pittura dell’epoca organizzando una mostra indipendente, al di fuori del Salon, cioè la mostra dell’Académie des Beaux-Arts, dove l’ammissione degli artisti era regolata da criteri rigidamente ancorati ai canoni estetici accademici tradizionali.

Passeranno alla storia come gli impressionisti ma per un certo periodo l’unico nome con cui erano identificati era Societé anonyme des artistes, peintres, sculpteurs, graveurs.

Sul boulevard des Capucines, per un mese, 165 opere  (scene di vita moderna e paesaggi en-plein-air) furono ospitate gratuitamente nello studio di Nadar mentre negli stessi giorni, al Louvre, andava in scena il Salon.

Fino a quel momento, nessun artista poteva ben sperare di esordire al di fuori del circuito ufficiale. La mostra non andò come sperato ma un quadro fu decisivo per l’avvenire del gruppo: Impression, soleil levant di Claude Monet. Il critico Louis Leroy non immaginava che il termine che aveva scelto  – «impressione» – anziché stroncarne l’avvenire avrebbe sancito il manifesto di una pittura di impeto e sentimento.

Fino a quel momento la tradizione accademica chiedeva al pittore di rappresentare fedelmente la realtà, mentre l’impressionismo ha evidenziato con sempre maggiore intensità il potere interpretativo dell’artista, la predominanza della sua soggettività nel rapporto con la realtà oggettiva e l’importanza di esplorare il mondo delle emozioni visive, cioè delle “impressioni”. Del resto con l’invenzione della fotografia la riproduzione fedele della realtà non aveva più senso.

Le celebrazioni per i 150 anni

Per celebrare il centocinquantesimo anniversario del movimento impressionista sono state allestite numerose mostre. Parigi festeggia i suoi impressionisti con una grande mostra al museo d’Orsay ma anche in Italia non mancano le esposizioni a loro dedicate: a Padova, a Palazzo Zabarella, fino al 12 maggio, la retrospettiva Da Monet a Matisse. French Moderns, 1850–1950 presenta 59 opere provenienti dalla straordinaria collezione europea del Brooklyn Museum. Sempre nella città veneta ma al Centro Culturale Altinate/San Gaetano un tributo al padre della corrente artistica: Claude Monet.

Fino al 28 luglio il Museo Storico della Fanteria a Roma ospita la mostra Impressionisti. L’alba della modernità che indaga origini ed eredità del movimento attraverso 200 opere circa, con dipinti, disegni, acquerelli, sculture, ceramiche e incisioni provenienti da collezioni private sconosciute al pubblico.

Al Palazzo Reale di Milano, fino al 30 giugno, Cézanne / Renoir. Capolavori dal Musée de l’Orangerie e dal Musée d’Orsay si focalizza sulle opere dei due maestri, indagando la loro influenza sui movimenti artistici successivi. 52 capolavori realizzati con iI rigore geometrico di Cézanne in opposizione e dialogo alle forme dolci di Renoir, tra paesaggi, ritratti, nature morte, bagnanti immortalate con nuove tecniche pittoriche, sfidando le convenzioni accademiche e promuovendo la soggettività nell’interpretazione artistica.

La loro audace ricerca di libertà e innovazione ha lasciato un’impronta indelebile nella storia dell’arte. Un cambiamento che aprì la strada all’espressione personale degli artisti e influenzò profondamente lo sviluppo dell’arte moderna, anticipando le avanguardie del XX secolo come il cubismo e l’espressionismo ma non solo. Come spiega il curatore della mostra Stefano Zuffi «i rapporti tra la pittura del secondo Ottocento con la fotografia, e successivamente con il cinema, sono indispensabili».

Influenze traducibili in una composizione visiva mediata da giochi di luce e colore, e da una narrazione non lineare. «L’impressionismo nasce in una mostra organizzata nello studio di un fotografo e cerca di “cogliere l’attimo fuggente”, prendendo al volo luci, colori, movimenti; un po’ come fa il cinema».

Gli impressionisti a loro modo riescono a intersecarsi con la contemporaneità. Come fa riflettere Zuffi, resta centrale oggi «il tema della libertà espressiva (intensamente desiderata e perseguita), e volendo forzare i termini si potrebbe indicare negli impressionisti una nuova consapevolezza ambientale contrapposta a una civiltà sempre più meccanizzata».

Giovani contro le regole

L'assenzio, Edgard Degas (immagine Wikimedia)

Quando hanno iniziato a rivoluzionare l’arte gli impressionisti volevano rompere con la tradizione accademica e sfidare le convenzioni sociali borghesi dell’epoca ma la costante ricerca di libertà e indipendenza si traduceva in una vita spesso precaria e instabile.

Monet visse anni molto duri in povertà, fu talmente disperato da tentare anche il suicidio. Prima di raggiungere la notorietà anche Degas dovette superare il tracollo economico dovuto alla morte del padre e passò anni in ristrettezze. Molte delle sue opere offrono un ritratto autentico delle condizioni dell’epoca.

Suo malgrado impressionista ma dalle manie realiste, con un’opera come L’assenzio (L’absinthe) catturò l’essenza bohémien della fine del secolo. Ellen Andrée, la stella del teatro francese dell’epoca, e Marcellin Desboutin, calcografo che incarnava l’anima della bohème parigina, si ritrovano nella singolare messa in scena della tela di Degas.

Interpretano due personaggi segnati dalla vita: lei una povera prostituta in abiti lussuosi ma patetici mentre lui è un burbero barbone.

Cézanne, invece, ha vissuto da bohémien fino ai 40 anni ma poi è diventato un lavoratore assiduo passando gli ultimi trent’anni della sua vita a dipingere, alla ricerca di quella soddisfazione che lui chiamava réalisation.

Come scrisse il poeta Rainer Maria Rilke in una lettera alla moglie Clara, il pittore intendeva per “realizzazione”: «Il processo di trasformare l’oggetto in qualcosa di tangibile, portando la realtà attraverso la sua personale esperienza dell’oggetto fino a renderla indelebile, sembrava essere la visione più intima del suo lavoro».

Mentre Cézanne dedicava la sua esistenza alla ricerca della perfezione artistica, molti giovani d’oggi inseguono il successo professionale e personale attraverso un lavoro appagante e in linea con i propri ideali, non limitandosi alla ricerca di una mera stabilità e una buona retribuzione.

Innovatori di ieri e di oggi

Ed è proprio ai giovani di oggi che scendono in piazza per il cambiamento climatico e vogliono rivoluzionare la cultura del lavoro che si rivolgono i musei più rinomati. Come la Tate Modern di Londra o il MET di New York che stanno adottando nuove strategie per coinvolgere la Generazione Z.

Attraverso l’uso di mostre multimediali immersive e piattaforme di gioco popolari come Minecraft o Animal Crossing, i musei presentano e raccontano l’arte non in termini classici per attrarre le generazioni più giovani. Ma non solo, proprio il museo d’Orsay che conserva numerose opere pittoriche impressioniste e post-impressioniste, organizza workshop con la Gen Z - i Gen Z’art.

La content creator e docente di Linguaggi dell’arte Francesca Gigli (@Likeitalians), spiega che pur avendo delle controindicazioni cercare di attualizzare così tanto artisti passati, è convinta che la conoscenza della storia dell’arte possa plasmare le nostre menti e quindi, perché no, anche il nostro futuro.

«Cézanne aveva la fama di essere un artista solitario e geniale ma, nonostante ricevesse numerosi inviti per partecipare a varie esposizioni, si chiuse in se stesso alla ricerca di nuove esperienze artistiche passando tutta la sua esistenza tormentato dall’idea di non aver mai raggiunto il suo obiettivo. Sviluppò però una visione del mondo e dell’arte totalmente unica e personale, un aspetto che lo avvicina alla Gen Z che punta a valorizzare l’unicità e cerca di definire la propria identità in modo estremamente personale».

Non solo un’eco dal passato ma plasmare il futuro sapendo cogliere opportunità e condizionamenti inevitabili del presente: «Gli artisti più curiosi, durante la rabdomantica ricerca della strada da seguire, capirono che la fotografia non era loro nemica e impararono a sfruttarla al meglio. Così come la teoria impressionista ebbe le sue radici nella scoperta della fotografia e nello studio delle leggi dell’accostamento dei colori, ecco che gli artisti contemporanei si approcciano al digitale e all’intelligenza artificiale».

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