Che fine ha fatto la bomba atomica? Dopo la fine del secondo conflitto mondiale e l'inizio della Guerra fredda, il mondo venne schiacciato da una scoperta terribile e senza precedenti: per la prima volta nella sua storia, l'uomo possedeva i mezzi per distruggere l'intera umanità. Filosofia, letteratura, arte, politica, tutto doveva ormai fare i conti con questo nuovo, inaudito stato di fatto. Così, più di una generazione, tra cui la mia, nacque e visse sotto una vera spada di Damocle. Come nel film francese Vite vendute (del 1953), l'homo sapiens doveva ormai immaginare il suo destino simile a quello dell'autista di camion intento a trasportare un carico di nitroglicerina. Sarebbe bastata una buca, nel nostro caso un qualsiasi incidente di frontiera, per segnare la fine del mondo intero, il nostro vecchio, caro veicolo da trasporto.

La testimonianza di Anders

Il simbolo di una tale atroce responsabilità divenne l'aereo che sganciò la bomba atomica su Hiroshima, battezzato col nome di Enola Gay. Come un autentico apprendista stregone, l'uomo si era lasciato sfuggire di mano il controllo delle proprie capacità strumentali, spingendosi fino al bordo dell'abisso: un passo in là, e avrebbe cancellato il suo stesso pianeta. Per limitarci a un solo testimone, vale la pena ascoltare il filosofo tedesco Günther Anders, che verso il 1956, nel primo volume del saggio intitolato L'uomo è antiquato, dedicò un’intera sezione al tema della bomba «sotto la cui minaccia viviamo», o più esattamente al tema «della nostra esistenza sotto il segno della bomba». Punto di riferimento essenziale è la frase di Einstein in un messaggio rivolto agli scienziati atomici italiani: «In fondo alla strada si delinea sempre più chiaramente lo spettro dell'annientamento generale».

Per Anders, l’uomo si trova di fronte a un evento senza precedenti: infatti, osserva, finora nessuno aveva mai messo in dubbio il presupposto che ci saranno e ci debbano essere uomini. Con la bomba, però, la domanda se l'umanità continuerà a esistere o meno è diventata scottante, e non ci è più consentito di fare finta di non sentire questo mostruoso “se”. Sostituendo Dio, l'uomo moderno ha ormai acquistato una «potestas annihilationis», cioè la capacità di una «reductio ad nihil». Ormai, possiamo considerarci come i signori dell'apocalisse: «L'infinito siamo noi. Ciò è talmente mostruoso che tutte le precedenti vicende della storia sembrano di secondaria importanza […] Benché anatomicamente invariati, siamo esseri appartenenti a una nuova specie, a causa del cambiamento radicale della nostra posizione nel cosmo e verso noi stessi; esseri che si distinguono dal tipo di uomo precedente».

Tuttavia, sebbene siamo diventati come i Titani, restiamo pur sempre dei «parvenu cosmici», usurpatori dell'apocalisse. Infatti, quegli uomini che sono ora di fatto signori dell'infinito, non sono all'altezza di un simile possesso: «Noi uomini d'oggi siamo i primi a dominare l'apocalisse, perciò siamo anche i primi a subire senza posa la sua minaccia […] Non siamo più mortali come individui, ma come gruppo, la cui esistenza è sottoposta a revoca». Insomma, con il suo potere di abolire la nostra specie, «La mostruosità della bomba ci tiene con il fiato sospeso».

Il nuovo volto della catastrofe

Fin qui Anders. Ma per tornare al povero abitante del secondo dopoguerra, questo inaudito senso di nuova precarietà costituì per decenni lo sfondo di ogni progetto possibile, il presupposto di qualsiasi visione futura. Poi, mano mano, inavvertitamente, il terribile spettro evocato da Einstein scomparve... Con la caduta del muro di Berlino, le straordinarie panzane di Francis Fukuyama, le lacerazioni nei Balcani, le invasioni dell'Iraq, il terrorismo religioso, i conflitti a bassa intensità, i tentativi di creazione di uno stato islamico tra Medio oriente e Africa, tutto è cambiato. L'angoscia per un mondo minacciato dalla distruzione nucleare è completamente svanita nel nulla.

Ciò, tuttavia, non ha arrecato alcun sollievo ai poveri terrestri, anzi, il loro sgomento nei confronti dell'avvenire si è, se possibile, addirittura accresciuto. Come? Semplicemente, la paura ha cambiato aspetto, il fantasma della catastrofe mondiale ha assunto un nuovo volto: al timore di morire per una guerra, è subentrato quello di perire a causa della pace, all'idea di un suicidio nucleare, si è gradualmente sostituita quella di un suicidio ecologico, mentre la bomba, da atomica, diventava climatica.

Per riassumere i termini di tale metamorfosi, e per restare all'interno del paesaggio giapponese, potremmo dire di essere passati dal pilota che sgancia il suo ordigno mortale su Hiroshima, al progettista che pianifica la creazione della centrale di Fukushima. È quindi la figura stessa del disastro ad essere cambiata di segno e insieme di origine, in quanto, a partire all'incirca dal Duemila, la morte che temiamo come specie non viene più percepita come una conseguenza delle nostre capacità distruttive, bensì di quelle produttive. Oggi è sin troppo ovvio constatare che il primo nemico della nostra sopravvivenza è rappresentato dalle “armi di produzione di massa”.

«L'asteroide siamo noi»

Un recente intervento su Domani di Andri Snaer Magnason ha ripercorso la questione, rievocando la caduta dell'asteroide che 65 milioni di anni fa distrusse quasi tutta la vita sulla terra, rilasciando nell'atmosfera circa 600-1.000 miliardi di tonnellate di anidride carbonica. Ebbene, all'uomo basterà una sessantina di anni perché le sue automobili raggiungano gli stessi livelli, e addirittura un unico ventennio calcolando l’insieme di tutte le sue attività. Morale: «L’asteroide siamo noi». A ciò si aggiunga che il 60 per cento di tutti mammiferi sulla Terra sono bestiame, soprattutto suini e bovini, il 36 per cento sono esseri umani, e solo il 4 per cento sono animali allo stato brado: «Quello che era un pianeta di diversità e fauna e piante selvatiche, è diventato una enorme monocultura. Invece di uccelli liberi, abbiamo polli in gabbia che superano per volume tutti gli altri uccelli; invece di leoni e bufali, elefanti e zebre, abbiamo bovini nei recinti e maiali che nemmeno stanno in stie, ma dentro gabbie». Conclusione: «In natura i predatori dominanti sono rari. Di solito ci sono milioni di erbivori che scorrazzano e un po' di lupi, leoni e tigri che si nutrono della loro carne. Adesso siamo 7 miliardi, e vogliamo tutti fare la parte del leone, avere la nostra libbra di carne. Non era mai successo sulla terra prima di ora. E di fatto è insostenibile sul lungo periodo».

Questo il parere di Magnason. Per chi volesse poi sentirsi ancora peggio, Seaspiracy, il docufilm di Ali Tabrizi distribuito da Netflix, spiega come la pesca industriale sia diventata un mezzo di devastazione marina (con il “danno collaterale” consistente nel massacro di animali non commestibili) e inquinamento (grazie all'enorme quantità di reti di plastica abbandonate in acqua). Non lo ripeteremo mai abbastanza: gas serra, deforestazione, mancato controllo demografico, allevamenti intensivi e in genere violazione dell’equilibrio ecologico (con tanto di spillover e tragedia pandemica), sono altrettanti prodotti di un arsenale capitalistico che sta decretando la fine della nostra esistenza sul pianeta – al posto della desueta bomba atomica.

L’unica via di uscita sarebbe accettare l'elementare constatazione dell’impossibilità di perseguire rapacemente uno sviluppo infinito all’interno di un sistema finito. Se il mito della crescita illimitata prima o poi, inevitabilmente, crollerà, perché non prepararsi sin da ora a una decrescita morbida, ragionata? A questo punto, l'aggressione speculativa così caratteristica della nostra specie potrebbe proseguire solo a patto di essere deviata verso altri ecosistemi. Ben venga allora lo sfruttamento turistico o minerario di Marte e della Luna, come preconizzato da Hannah Arendt e messo in atto da Elon Musk. Purché la famelica globalizzazione, ormai sostituitasi alla minaccia nucleare, non metta in pericolo la vita della Terra.

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