Il film che ha aperto il festival, Partir un jour di Amélie Bonnin, ha tutte le carte in regola con l’algoritmo per far bene ai botteghini. Non è vero che si tratta di un film-karaoke come vorrebbe Libération: è fresco, ma con pretese. Ha un genitore in Alain Resnais e On connait la chanson: viene a dirci che se parlassimo meno e cantassimo di più la vita tutto sommato sarebbe più lieve
In Italia, dove abbiamo sempre il vizio di pensare male, ci chiederemmo per prima cosa di quali santi in paradiso dispone una regista classe 1985 che col suo primo lungometraggio apre il Festival di Cannes: doppio primato da Guinness. Invece no.
Semplicemente, un festival di mezza età si ringiovanisce il look proiettando nel Gotha la vincitrice del César 2023 per il miglior “corto” di finzione, musicale e romantico. Dilatata e affidata ai medesimi protagonisti – la compositrice-cantante-attrice Juliette Armanet e Bastien Bouillon – la romantic-musical-comedy ha sgraffignato il posto d’onore fuori concorso a un candidato temibile come l’acrobatico Tom Cruise di Mission Impossible: The Final Reckoning.
Partir un jour di Amélie Bonnin si è prenotato così in automatico una grande bouffe di incassi popolari, per apposito regolamento festivaliero che lo vuole subito catapultato in sala e perché ha tutte le carte in regola con l’algoritmo. Accatasta cliché, cucina aspirante Tre Stelle, young adult romance, nostalgia del paesello natìo e soprattutto canzonette, vecchie e meno vecchie, rivisitate nei testi ma custodite nella memoria e canticchiabili in coro dalla platea.
La musica
Non è poi vero che è un film-karaoke per nostalgici, come vorrebbe Libération, e di sicuro non lo sarà fuori dai confini francesi. Lo stesso titolo viene da una hit anni ’90 della boy band gallica 2be3, bravi se la conoscete. E poi si spizzica da Celine Dion, Francis Cabrel, Benabar, Nougaro, dal rapper belga Stromae e da un esercito di musicisti d’appoggio. Praticamente la più familiare per noi è l’antiquata Parole Parole di Leo Chiosso, lanciata da Mina in duetto con Alberto Lupo e replicata oltralpe da Dalida.
Partir un jour è fresco, ma con pretese. Vorrebbe essere la rivisitazione critica di un copione young adult mainstream, e velarlo di malinconica ragionevolezza europea. Di Chef e Cheffes, sul grande e piccolo schermo, ne abbiamo gli occhi stracolmi, per dirla con eleganza. Cécile (Armanet) però nel film questo fa, è stata lanciata da Top Chef, programma culinario francese di punta, e sta per aprire il suo ristorante a Parigi. Finchè un nuovo infarto del padre (Francois Rollin, veterano autorevole della Comédie Francaise) non la costringe a tornare a casa, nella trattoria di provincia per camionisti dove ha appreso i primi rudimenti.
La trama
È più incasinata delle ordinarie eroine da piattaforma, ha una gravidanza indesiderata e vorrebbe abortire senza avvertire il suo compagno di vita e fornelli. Ma chi c’è in agguato per risucchiarla nelle vecchie bravate tra compagni di scuola?
L’inevitabile ganzo dei primi amori, Raphael (Bouillon), garagista sexy con lunghe ciocche ribelli e ossigenate. Da convenzione, la fuggitiva ritroverebbe il suo tranquillo posticino nel mondo. Cantando e ballando, invece, salterà fuori che il ficaccione è sposato e con prole, e Cécile tornerà ai suoi progetti senza rimpianti.
Inutile citare i padri, l’Alain Resnais di On connait la chanson, scritto molto più argutamente ventotto anni fa dalla ditta Jaoui-Bacri e interpretata dagli stessi con un cast superlativo. Ma è vero che se parlassimo meno e cantassimo di più la vita tutto sommato sarebbe più lieve.
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