Nel 1995, alla sua quarta edizione consecutiva da conduttore, Pippo Baudo si inventò un modo per rispondere a questa stessa domanda. Semplicemente, bisogna guardare il Festival «perché Sanremo è Sanremo».

La frase venne messa in musica da un altro Pippo, il maestro Caruso, e sembra chiarire che ai tempi il festival era semplicemente un dogma, senza necessità di ulteriori spiegazioni.

In quella stessa edizione un uomo si arrampicò sulla balaustra dell’Ariston e minacciò di buttarsi di sotto. Venne salvato in diretta nazionale dallo stesso Baudo, in una scena iconica che si trova ancora facilmente su YouTube.

Poco importa che fosse vero o una sceneggiata costruita ad arte: c’è una linea sottile che divide la tragedia dalla farsa. Il punto è che da 73 anni a Sanremo va in scena la commedia umana di una nazione, come se fosse un Bignami dei pregi e dei difetti italiani, delle polemiche e dei drammi, della creatività e del ridicolo.

Qualcosa di più

Con il passare del tempo però il dogma si è inevitabilmente sgualcito e non basta più dire che “Sanremo è Sanremo” per convincere i dubbiosi. Quest’anno persino Mediaset farà concorrenza alla Rai durante il festival. Per un’intera generazione il palinsesto televisivo è un mistero rispetto a tutto quello che viene proposto “on demand” in streaming.

Nonostante questo, negli ultimi anni, si è compiuto il vero miracolo di Sanremo: più di qualsiasi altro fenomeno mediatico, il festival è riuscito ad adattarsi al tempo che passa, senza rinnegare però la propria vocazione nostalgica e retrò. Sa accontentare boomer e generazione Z, come poche altre realtà nello spettacolo. È vecchio, a tratti fastidiosamente vecchio, e moderno allo stesso tempo.

Il momento più alto della televisione italiana degli ultimi tempi, quando Morgan e Bugo hanno litigato sul palco, è stato ripreso da Mara Venier e dai telegiornali, è diventato un video su YouTube e TikTok, e, soprattutto, si è trasformato in un meme che resterà per anni impresso nella cultura popolare italiana, sia analogica sia digitale. Anche per coloro che hanno fatto di tutto per ignorare Sanremo.

Un fenomeno collettivo

Il festival è dunque la risposta migliore per chi vive di curiosità e di piccoli momenti di sana leggerezza. Ma anche per chi ha sempre paura di perdersi ciò che succede. Per una settimana, abbiamo quasi la certezza che se ci sarà qualcosa di rilevante in Italia, qualcosa di cui parleranno tutti sulla metro, negli uffici o al bancone del bar la mattina dopo, quella cosa sarà accaduta sul palco dell’Ariston.

Ma c’è di più. Il festival ha davvero senso se viene guardato in gruppo. E non importa se i ritmi frenetici della vita non permettono a tutti di ritrovarsi su un grande divano, come nello stereotipo migliore di una famiglia italiana. Ora ci sono i gruppi su WhatsApp fra colleghi, i tag condivisi su Twitter, i commenti live su Twitch o le sfide del Fantasanremo. È tutto più artificiale e meno romantico, ma almeno una volta all’anno riusciamo a sentirci parte di un fenomeno di spettacolo collettivo.

Proviamo a crederci

È come una festa popolare e una versione pagana del Natale. Vestirsi da Grinch per non guardarlo è ovviamente legittimo. E di certo ci sono altri modi per vivere la vita con un po’ di leggerezza. Ma talvolta ostinarsi ad andare contro corrente è un inutile spreco di energie.

Sanremo, in fondo, serve a questo: per provare a dimenticare i pesi che ci portiamo dentro e fingere senza troppi sforzi – almeno per quattro sere all’anno – che sia davvero importante sapere che fine abbia fatto Bugo.

È una grande illusione collettiva, ovviamente, ma «proviamo a crederci e poi vedremo». Come cantavano nella sigla scritta nel 1995, durante il quarto Sanremo consecutivo condotto da Pippo Baudo.

© Riproduzione riservata