Domenica scorsa

Giunti a una certa età, qual è la motivazione migliore per scrivere una autobiografia? Credo sia quella che ha spinto Massimiliano Fuksas a scrivere È stato un caso (Mondadori). Intervistato da Alessandro Ferrucci sul Fatto, l’architetto dice che ha scritto la storia della sua vita perché stava perdendo la memoria.

L’intervistatore deve aver fatto una faccia di circostanza pensando all’Alzheimer, a un trauma, ma Fuksas ha spiegato cosa voleva dire: «Non per una patologia, ma un giorno mi sono domandato a chi potevo chiedere qualcosa della mia famiglia, qualcosa del passato e mi sono reso conto che sono tutti morti».

Questa è la più nobile motivazione possibile per scrivere una autobiografia, per ricordare quello che nessun altro può più ricordare.

Lunedì

Aspettando l’aereo per Catania leggo un articolo in cui Rino Gattuso, neo allenatore della Nazionale, viene definito «brutto, cattivo, qualche volta anche sgrammaticato».

Ci rimango male. Uno: perché l’articolo è di uno dei pochi giornalisti che stimo. Due: perché voglio bene a Rino. Una volta abbiamo fatto un’intervista per Sette direttamente in calabrese (con traduzione a fronte). Ebbe molto successo. Secondo me perché ricordava il vigàtese di Camilleri.

Ricordo che con Ringhio ci vedemmo un lunedì mattina (giorno di riposo dei giocatori e dei barbieri) in un albergo dalle parti di Porta Genova che somigliava a una centrale nucleare. C’era una convention pubblicitaria ed era pieno di calciatori. Uno di questi era Luis Figo che allora era all’Inter e che avevo ammirato il giorno prima mentre volteggiava (non c’è altro termine per descriverne lo stile) sull’erba di San Siro.

Mentre aspettavo che Gattuso si liberasse per l’intervista, porsi a Figo i miei complimenti per quello che gli avevo visto fare durante la partita. Lui mi guardò e, colto da un’improvvisa e lancinante nostalgia per il campione che era stato, disse: «Grazie, señor, ma lei non ha visto niente». Poi fece un gesto con la mano dietro la testa (a significare: avrebbe dovuto vedermi anni fa) che mi commosse.

Sono a Ortigia per una vacanza di una settimana, ma non è cominciata bene: il dispiacere per Ringhio trattato male; la tristezza di Figo quella mattina. Allora sono andato in cerca di un Martini per tirarmi su. Ormai è un cocktail perduto, in via di estinzione. Eppure è stato il più leggendario dei drink e forse proprio per questo sta scomparendo: la nostra non è un’epoca attrezzata per le leggende e non soltanto nel settore dei beveraggi.

Mi aggiro nel labirinto del vecchio Ghetto. Baracci turistici spuntano da ogni angolo e propongono quasi esclusivamente melensi Aperol spritz (almeno il Campari!). Lo spritz è il Grande Fratello (nel senso orwelliano) della cocktelleria contemporanea.

P.S. In alternativa qualche barman propone il Moscow Mule (ma ho fatto un fioretto: non lo berrò più fino a quando Putin non perderà la guerra con l’Ucraina).

In via Roma vedo un’insegna nera che mi abbaglia per quanto è discreta ed essenziale: “The Club”. Dentro c’è un bancone che ha l’aria di una cattedrale gotica. Graham Greene, grande sacerdote del Martini e devoto cattolico, si sarebbe inginocchiato a pregare.

Davanti all’insegna di “The Club” mi viene in mente Elvira Sellerio. Pare che preparasse Martini straordinari, i migliori della Sicilia. Alicia Giménez-Bartlett, l’inventora di Petra, interpretata da Paola Cortellesi in tv (tutto si tiene quando le cose volgono al peggio), è una scrittrice che non amo, però una cosa buona l’ha fatta quando ci ha tramandato come preparava i Martini Elvira Sellerio: «Mio marito ed io osservammo come faceva: sciacquò lo shaker con il Martini, poi lo vuotò in un recipiente, quindi tornò a riempirlo di gin puro. La ricetta di Hemingway».

Basta divagare, introibo al Club (sembra l’incipit dell’Ulisse di Joyce)…

Martedì

Una giornata al mare. La passo nel paradiso del Plemmirio. Il posto si chiama Varco23. Ci venne anche Jude Law fresco fresco di The Young Pope. Mi piaceva molto il fiordo di Cala Zaffiro, un po’ più su. C’era un piccolo lido dove, tra uno snorkeling e l’altro, potevi mangiare squisite polpette al sugo preparate da una signora del posto che le cucinava in casa e te le passava dalla finestra. L’hanno chiuso l’anno del Covid e mai più riaperto. Sic transit…

Ascolto con attenzione le chiacchiere dei bagnanti. Ci sono quattro ragazze locali che parlano di percentuali, di commissioni da prendere nel loro lavoro. E ci sono quattro signori gay napoletani (ma non di Napoli Napoli) che parlano di come sta Vittorio Sgarbi. Nemmeno una parola sulla situazione internazionale. Poi finalmente verso le cinque uno della comitiva gay chiede agli amici: «Ce lo facciamo più tardi un burrachino?».

La frase mi sembra illuminante. Tutti quelli che stanno bombardando il mondo lo fanno come se stessero facendo un burrachino.

La sera guardo in tv il Berlinguer di Elio Germano. Mi sembra che lo interpreti come interpretò Giacomo Leopardi. Ormai la vulgata (la narrazione che si è imposta, come si direbbe oggi) è che i russi volevano far fuori Berlinguer e gli americani Moro. Il movente era lo stesso per entrambi: il compromesso storico. L’Italia degli anni Settanta come lo scenario di un romanzo alla le Carré. Ma non è un romanzo. Leggete La scelta di Karla, il romanzo di Nick Harkaway, il figlio di John le Carré (Mondadori) di cui vi ho parlato la volta scorsa e che fa tornare in scena la grande spia George Smiley (di lui avremmo molto bisogno in questo momento). «I russi, i russi, gli americani» cantava Lucio Dalla. Domani potremo ancora contare le onde del mare?

Mercoledì

Blaise Metreweli è la prima donna a comandare l’MI6, il servizio segreto britannico. Nei film di James Bond era già successo. Faccio una passeggiata fino al Grand Hôtel Villa Politi dove Winston Churchill venne in vacanza subito dopo la fine della sua carriera politica negli anni Cinquanta. Dipinse un acquerello della Grotta dei Cordari, bevve i vini dell’Etna, fumò i suoi sigari, scrisse qualche pagina di una storia da pubblicare a puntate su Life. Piovve tutto il tempo del suo soggiorno. Torni, sir Winston, torni a salvare il mondo come fece l’altra volta.

Giovedì

Ignazio La Russa attacca Gattuso: «Non credo che rappresenti l’italianità». Deve aver scambiato la presidenza del Senato per un burrachino.

Prostrato dal livello raggiunto (se si continua così Irene Pivetti sembrerà una Giovanna d’Arco), vado al Club a meditare un piano d’azione, una risposta efficace da dare alla blaterante carica numero due dello Stato italiano. Il barman si chiama Clarence (in onore di Seedorf, grande calciatore e compagno di squadra di Ringhio al Milan), ha 21 anni ed è un vero prodigio. Per il suo Martini usa Tanqueray 10 e Noilly Prat.

MIKE PALAZZOTTO

Mentre sorseggio il cocktail torna ad assillarmi un vecchio senso di colpa. Tempo fa Antonio Sellerio, figlio di Elvira, che porta avanti con perizia e onore la casa editrice di famiglia, mi inviò un libro di Graham Greene. Era La roccia di Brighton, il seguito di Una pistola in vendita, altro (da me amatissimo) libro dello scrittore inglese. Di La roccia di Brighton mi parlava benissimo Oreste Del Buono. Arrivò a dirmi che era il romanzo più bello che avesse mai letto o quasi (e li aveva letti tutti). Me lo disse come se mi stesse mettendo a parte di un grande segreto. Il mio senso di colpa è dovuto al fatto che La roccia di Brighton io non sono mai riuscito a leggerlo, nemmeno ad aprirlo. Ogni volta che ci tento, mi scatta un blocco. E se non mi piacesse che figura ci faccio con Del Buono?

Clarence, un altro, per favore.

Mi chiedo: esiste il reato di vilipendio al presidente del Senato? Cerco nel telefonino. Non esiste. Peccato avevo voglia di commetterlo. Cerco ancora. Però potrebbe configurarsi come vilipendio alle assemblee legislative, articolo 290 del codice penale. Pena prevista: reclusione da sei mesi a tre anni e multa da mille a cinquemila euro. Fattibile.

Venerdì

Questa settimana è andata così, l’unico motivo per consolarsi è aspettare settembre: annunciato il Leone d’Oro alla carriera della prossima Biennale a Kim Novak.


per scrivere ad Antonio D’Orrico: lettori@editorialedomani.it

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