Ginevra, perché hai deciso di raccontare quello che ti è successo?

Perché credo sia giusto, oltre che importante.

Cosa rispondi a chi, nel tentativo di screditare te e le tue compagne, dice che avreste dovuto dire tutto prima?

Per superare dei traumi perpetrati per tanti anni serve tempo. Superare il senso di vergogna che ti porti addosso, quantomeno riuscire a gestirlo nella vita di tutti i giorni, non è facile. Raccontare quel che mi è successo all’intero Paese non è facile.

Rivivere quegli anni, e non solo nell’intimità della mia casa, con le persone che mi sono vicine, ma con chiunque legga questa storia o ne senta parlare non è facile. Per questo ho aspettato tanti anni. Nelle ultime settimane molte ex ginnaste hanno denunciato il sistema di abusi di cui parlo anch’io, e non sentirmi sola credo sia stata la spinta di cui avevo bisogno.

Di cos’hai più paura, adesso?

Alleno delle bimbe. Non è il mio lavoro principale ma lo faccio sia perché mi piace sia perché è un bel modo per rimanere nel mondo della ginnastica. Ecco, una delle mie paure più grandi ha a che fare con loro, le mie allieve.

Mi sono detta più volte che non avrei dovuto parlare, così da non mettere a rischio loro - alle gare, pensavo, come avrebbero trattato le allieve della ex ginnasta che ha raccontato quelle cose? -, ma poi mi sono detta che era proprio per loro, invece, che avrei dovuto farlo. Queste bimbe non devono attraversare ciò che ho dovuto io alla loro età, possono vivere la ginnastica con una leggerezza diversa. E il cambiamento deve pur iniziare da qualche parte.

Facciamo un passo indietro: mi racconti gli inizi?

Ho cominciato che avevo cinque anni: facevo danza, pallavolo e ginnastica ritmica, ma un giorno la mia allenatrice disse a me e ai miei genitori che ero particolarmente portata per la ginnastica, che avevo delle doti naturali. Così mi sono dedicata solo a quella, intensificando gli allenamenti già da piccola.

Che ricordo ne hai?

Meraviglioso. I body scintillanti, i nastri colorati, gli attrezzi, la palestra stessa e i pomeriggi passati lì: era tutto bellissimo. Mi allenavo davvero tanto, certo, ma ero piccola e lo sport mi piaceva parecchio: non mi pesava per niente.

Quante volte ti allenavi durante la settimana?

Tutti i giorni, bene o male due ore al giorno.

Dopo quel primo periodo?

Ho cominciato a partecipare alle competizioni nazionali. Ero con una piccola società, e già arrivare seconda o terza a gare del genere era un traguardo che aveva dell’incredibile. In quegli anni, durante quelle competizioni, sono stata notata da allenatrici di società più grandi e importanti, quindi a undici anni mi sono iscritta a una nuova palestra. Allora ho iniziato a gareggiare in serie A.

Età?

Dodici anni.

Eri piccolissima.

Sì, ma per la ginnastica ero in piena regola.

Capivi cosa stava succedendo?

Ho iniziato a realizzare la portata dei traguardi che stavo raggiungendo verso i 13 anni.

Perché?

Perché le cose sono cambiate in quel periodo.

Come? Si sono fatte più serie?

Sì, in un certo senso sì. Però soprattutto perché è stato allora che sono iniziati i problemi.

Vale a dire?

A 13 anni ero alta un metro e 70 pesavo 47 chili.

Come mai?

Il nostro corpo non ci apparteneva più.

Cosa succedeva?

Quand’eravamo in giro per delle competizioni, entravano nelle nostre stanze e controllavano che non avessimo del cibo nascosto da qualche parte. Se dopo 8 o 9 ore di allenamento mangiavamo qualcosa che non approvavano - anche un cioccolatino - venivamo sgridate, insultate. Ci pesavano di continuo, sia in palestra sia in viaggio. Gli allenamenti duravano tantissimo, strazianti davvero.

E se sbagliavamo qualcosa venivamo vessate. Non fraintendermi, so che dovevamo aderire a degli standard. Eravamo parte della nazionale, che ci curassimo del nostro corpo era giusto. Ma eravamo terrorizzate. Terrorizzate d’ingrassare, di farci beccare con del cibo quand’eravamo tanto affamate da mangiare di nascosto, di non eseguire perfettamente gli esercizi. Avevamo 13, 14, 15 anni, e ci sentivamo molto sole. Se ci avessero spiegato, messo davanti un nutrizionista, invece d’insultarci senza sosta e basta, le cose sarebbero andate diversamente. Pensa, tanti sono stati i problemi dovuti a quel modo di mangiare a cui mi costringevano che ho avuto il primo ciclo a diciannove anni.

La maggior parte degli insulti, degli abusi psicologici, quindi derivavano dall’alimentazione - a loro dire scorretta?

Sì. Ci pesavano tutti i giorni, più volte al giorno. Io, a detta loro, dovevo solo e sempre dimagrire. Persino bere diventava un problema - non è che ci facesse ingrassare, ovviamente, ma ci faceva aumentare di peso. La mattina, quando davanti a me avevo un’intera giornata di allenamenti, dovevo scegliere con molta attenzione cosa avrei mangiato per colazione.

Latte e cereali? Quelli no perché creavano una palla nello stomaco che mi avrebbe fatta sembrare grassa e io non potevo sembrare grassa. Delle brioches? Fuori discussione, quando mi vedevano mangiarne una mi dicevano che facevo schifo, che ero un maiale e che dovevo vergognarmi di me stessa. Vivevo, anzi vivevamo perché com’è ovvio succedeva a tutte noi, in uno stato d’ansia perenne. Avevamo soltanto tredici, quattordici anni, eravamo bambine, e le armi per elaborare quello che ci veniva detto non le avevamo ancora.

Le vostre reazioni?

Cambiavano da ginnasta a ginnasta. Io cercavo di non far vedere loro quanto stessi male, quanto mi ferissero quegli insulti. Così rimanevo di pietra. Però poi, alla prima occasione, da sola, piangevo. Altre non resistevano tanto, e si lasciavano andare lì davanti a loro, singhiozzando subito.

Scusa la domanda faziosa, ma la tua famiglia non si accorgeva di niente?

Sì, ma per loro non era facile capire con precisione cosa mi stesse accadendo. Mi spiego. Sono stata molto fortunata, i miei non erano ossessionati dalle mie vittorie e non mi hanno mai costretta a fare niente che non volessi. Erano fieri di me, felici dei risultati che stavo ottenendo, e mi spronavano a raggiungere sempre nuovi traguardi, ma senza mai forzare la mano.

Quando hanno capito che qualcosa non andava, quando mi vedevano dimagrire e ingrassare in quel modo e non mi vedevano felice, hanno cominciato a portarmi da nutrizionisti, dietologi, psicologi, mental-coach. Insomma, mi hanno molto aiutata e, come dicevo, sono stata fortunata. Però con loro non mi aprivo, non raccontavo il disagio che stavo traversando.

La mia allenatrice era una seconda mamma ed era difficile per me capire che ciò che mi diceva era sbagliato - era come se una mamma, quella con cui passavo anche intere giornate a stretto contatto, mi dicesse, e con convinzione, che ero grassa e che dovevo dimagrire e l’altra mamma, un po’ incerta perché non del tutto consapevole di cosa esattamente mi stesse accadendo, mi dicesse che no, stavo bene così com’ero. Ero divisa.

Perché dici di essere stata fortunata?

Perché non è per tutte così. Ancora oggi mi arrivano telefonate dai genitori di ginnaste appena adolescenti, in cui mi si chiede di convincerle a mangiare di meno, a saltare una cena ogni tanto, a dimagrire e fare di più.

Ginevra, la ginnastica sarà sempre parte della tua vita?

Sì, sempre. Nonostante tutto, la ginnastica rimarrà per sempre.

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