«I patti senza spada non sono che parole senza alcuna forza per rendere sicuro l’uomo» tuonava Thomas Hobbes in uno dei passi più celebri del Leviatano. Nel XXI secolo le spade d’acciaio sono oramai oggetto da collezionisti, ma esistono diverse e più sofisticate forme di persuasione per rispettare i patti o per edificarli.

La più potente di queste armi è in realtà vecchia come il mondo, e passava anche per il gran libro del teorico dello stato moderno, e si chiama diritto. La legge, in ogni sua declinazione, che oggi negli anni venti sembra tornata, dopo un periodo di allentamento, alla catena del Leviatano originario, cioè lo stato nazionale. I nati negli anni Settanta e Ottanta ricorderanno un’altra versione ascoltata tra i banchi di scuola e dell’università: quella del mondo piatto, del diritto globale, dei global regulators, di spazi in cui persino i diritti più legati agli stati come quello amministrativo e quello penale si facevano internazionali.

Questo era il mondo del globalismo liberale degli anni Novanta e Duemila, quando si asseriva ovunque e si studiava che il vecchio stato moderno fosse oramai svuotato, superato, finito. Non era una deriva soltanto della scuola giuridica, ma una marea che investiva anche gli studi politici, sociali ed economici.
Una patina viscosa che per circa un decennio (2010-2020) non ha permesso a moltissimi di vedere il mondo per quello che era e che stava diventando. Alla fine dei conti si è capito che quel diritto internazionale e globale altro non era che la catena allentata dagli stati in un momento di globalizzazione economica, all’interno di una strategia di delocalizzazione produttiva.

Non appena quell’ordine si è incrinato tra crisi finanziaria, attentati, immigrazione, rivolte populiste, pandemia, guerra tecnologica e fisica i vecchi stati hanno richiamato le catene e l’ordine giuridico internazionale si è sgonfiato e riconfigurato. La legge è tornata strumento di sicurezza e dominio, ammesso che mai avesse smesso di esserlo.

Il ritorno dello stato 

Ecco dunque ricomparire le regole protezionistiche, le golden rule e golden power, i divieti all’esportazione, le intromissioni pubbliche sui patti societari privati, la regolazione pubblica delle monete digitali, il controllo degli investimenti stranieri. In parole semplici, la manipolazione dell’ordine giuridico del mercato a favore della sicurezza nazionale.
I mercati continueranno a funzionare ma dentro linee rosse più strette stabilite dagli stati. I patti rivisti e le spade pendenti, le regole e le tasse dunque. Ecco il ritorno dello stato, e della sua legge, ai fondamenti: controllare e proteggere, polizia e difesa.

La ragione di stato, ossia con Giovanni Botero alla mano «l’arte e la tecnica di conservare, difendere ed espandere uno stato», si accentua nelle sue manifestazioni politiche e giuridiche nell’epoca della globalizzazione rallentata e frammentata degli ultimi anni.
Per comprendere tutto questo intrigo di trasformazioni è necessario leggere un piccolo ma fondamentale libro La legge del più forte. Il diritto come strumento di competizione tra stati (Luiss University Press 2023) scritto da Luca Picotti, un giovane e brillante giurista.

Picotti non solo ci mostra la panoplia di casi e strumenti giuridici dispiegati dagli stati nazionali per ridisegnare il mercato in un contesto politico internazionale deteriorato, ma anche come il diritto resti al fondo inseparabile dalla politica. I mercati funzionano con le regole, quando il potere politico le cambia anche i mercati si ristrutturano con nuovi rischi, costi e opportunità.

È sempre la politica, nel bene e nel male, a produrre le regole che restringono o aumentano l’autonomia dei privati. E oggi questo avviene sempre di più nell’ottica della ragion di stato, della protezione e del restringimento di ciò che si considera strategico per la propria nazione.
Il diritto si adegua, esso serve, giustifica, legittima le scelte del potere politico e non c’è corte internazionale che tenga né potere economico che possa resistere a lungo.
Lo spietato realismo giuridico di Picotti costringe il lettore ad interrogarsi sull’essenza del diritto e della politica, sul rapporto tra pubblico e privato, su i concetti di globale e nazionale, sul cortocircuito tra mondo delle idee e della realtà.

Diritto post-globale

Ma soprattutto questo piccolo libro segna anche una spaccatura generazionale: chi oggi ha meno di trent’anni, come l’autore di questo saggio, è cresciuto in un clima di crisi della globalizzazione liberale e per molti versi ne ha già elaborato il lutto e aggiornato le proprie categorie mentali.
Picotti ci mostra il nuovo mondo del diritto in cui ci muoviamo, con precisione e senza deviazioni ideologiche. È un diritto post-globale che soltanto un lucido giovanissimo, che però mostra di non dimenticare la lezione dei grandi maestri, poteva vedere meglio e prima degli altri.
E viene in fondo da chiedersi, non è che la nuova generazione di studiosi post-global abbia i piedi meglio piantati nella realtà e idee ben più pragmatiche di quanto non ce li abbia quella precedente?


La legge del più forte. Il diritto come strumento di competizione tra Stati (Luiss University Press 2023, pp. 146, euro 18) è un saggio di Luca Picotti 

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