- «Ho capito che la scrittura più potente viene dalle aree represse, dai tabù, dalle cose di cui non si vuole o non si riesce a parlare», ha detto una volta Joyce Carol Oates
- A differenza di quel che accade spesso oggi, col trauma esposto in maniera didascalica e ribadito con slogan e circuiti di pensiero blindati, Oates è interessata a renderlo terreno per la ricerca espressiva, linguistica e visuale
- Per Oates ripensare il trauma, lavorarci in senso letterario, significa avere il coraggio di entrarci davvero, con i sensi spalancati, mostrando i rapporti impronunciabili di certe tragedie
Si diventa scrittori in molti modi, ma sempre sulla scia di un’ossessione. La prima ossessione di Joyce Carol Oates ha la forma di un piccolo libro, tanto celebre quanto anomalo, allucinato: Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll. Lo racconta lei stessa nel memoir I paesaggi perduti, dedicato alle figure e ai luoghi della sua infanzia: «Il libro che ha cambiato la mia vita – da cui è nato il mio desiderio di diventare scrittrice, mi fu regalato dalla nonna (ebrea) Blanche Morgenste



