La speranza di ritrovare l’appunto in tempo utile per il trasloco era ormai svanita. I giorni passavano rapidamente e la data dello sgombero si avvicinava minacciosa. «Non l’hai nemmeno letto», mi rimproverai, mentre cercavo disperatamente di ricostruire quello che mi aveva detto mio padre in ospedale. Rammentai allora che in quella mezz’ora citò un libro, uno soltanto. Era l’Ulisse di Joyce.

«Tuo nonno se ne innamorò subito e quando eravamo ragazzi ci raccontava che nessun’altra opera aveva così profondamente cambiato il suo modo di leggere i romanzi». Mi raccontò allora la lunga storia del rapporto tra quel prezioso volume e Rafaele che comprò l’edizione francese a Parigi, dove era andato per incontrare il poeta Paul Valéry.

Era il 1929. Sette anni dopo l’uscita della prima edizione in lingua inglese, che fu pubblicata nel 1922 dalla Shakespeare and Company in Francia perché le case editrici britanniche si erano rifiutate di dare alle stampe quel romanzo dai contenuti ritenuti così scabrosi. Per leggerlo in Italia si sarebbe dovuto attendere il 1960.

Così, sceso dal treno, si affrettò a cercarlo e ne acquistò una copia alla Maison des Amis des Livres di Rue de l’Odéon, nel centro della capitale francese. «Da quel giorno» aggiunse mio padre, «non se ne separò più. Lo mostrava orgoglioso agli amici. Lo prendeva e riprendeva in mano, rileggendone ora un capitolo, ora un paragrafo o una singola frase. Una volta mi disse che quel romanzo aveva cambiato il mondo. Lo teneva lontano dalle nostre mani imprudenti, per proteggerlo. Diceva, e aveva ragione, che con il tempo i libri cambiano e se li rileggi a distanza di tempo puoi trovarli diversi».

È capitato anche a me di riprendere un racconto a distanza di qualche anno e cambiare il mio giudizio: Auto da fé di Elias Canetti, per esempio, è diventato uno dei miei preferiti venti anni dopo la prima lettura. Al contrario, Il lupo della steppa di Hermann Hesse, che mi aveva entusiasmato ai tempi del liceo, con il passare del tempo mi è piaciuto di meno.

Il ricordo delle parole di mio padre fece scattare una molla: il mio primo obiettivo sarebbe stato quello di trovare l’Ulisse. Tornai quasi di corsa in corridoio. Sul lato destro campeggiavano i libri di letteratura insieme a faldoni di appunti e ritagli di giornale.

Speravo di trovarlo lì. Non sapevo di che colore fosse la copertina. Esaminai velocemente da un estremo all’altro gli scaffali ad altezza uomo, scorrendo il dorso dei libri. Nulla di fatto. Presi la scala e iniziai a setacciare più in alto, poi in basso.

Starnutii ripetutamente per la polvere che si era diffusa nell’aria a furia di maneggiare libri. Lasciai perdere la ricerca, un po’ sconsolato, e andai al lavoro.

Il pensiero del libro

Era il 7 giugno 2020, la curva dei contagi continuava a calare illudendo gli italiani e il governo che l’epidemia stesse davvero finendo. Il pensiero di quel libro continuava ad assillarmi, e mentre guidavo sul lungotevere dei Mellini mi resi conto che stavo cercando spasmodicamente un romanzo che non ero mai riuscito a leggere, nonostante vari tentativi.

Arrivato in via della Dataria, dove è la sede dell’Ansa a Roma, a pochi passi dal Quirinale, lessi i quotidiani per prepararmi alla riunione di redazione, controllai l’apertura del nostro sito, le ultime notizie pubblicate.

Poi, con un impulso quasi incontrollato, andai su Google e digitai sulla tastiera: ULISSE PRIMA EDIZIONE PARIGI. Apparvero centinaia di risultati, tra cui una notizia del quotidiano inglese The Guardian nella quale si dava conto della straordinaria vendita all’asta di una delle ultime copie, in lingua inglese, ancora in circolazione.

Cominciai così a immergermi nella storia dell’avventurosa pubblicazione del capolavoro di Joyce fino a che non trovai su un sito per bibliofili una fotografia scolorita e poco visibile dell’edizione francese, quella che aveva acquistato Rafaele. La stampai, sperando mi aiutasse nella ricerca.

La sera, terminato il lavoro, andai a cena con mia figlia Ludovica e le raccontai della casa in vendita, dei libri, dell’Ulisse e dell’appunto del nonno. Mangiammo all’aperto nella zona di Ponte Milvio, circondati da giovani tornati alla movida dopo mesi di clausura. Ludovica rimase molto colpita e incuriosita dalla storia dei libri e dal resoconto dell’ultimo colloquio con mio padre. 

La ricerca

Il giorno dopo andammo insieme a casa di mio padre. La nostra esplorazione alla ricerca di Joyce partì dallo studio. Cominciammo ad accatastare in un angolo gli oggetti che ci sembravano meritevoli di essere conservati. Erano sparsi ovunque.

Ci perdemmo nell’osservare tutte quelle cose che riempivano lo studio: quadri, fotografi e, macchine da scrivere, medaglie, ritagli, appunti, riviste, cartoline.

Mia figlia esclamò: «Papà, eccolo, eccolo!» Aveva trovato l’Ulisse. Era nell’antica cassapanca sarda che troneggiava nel salone. Partita da Tortolì nei primi anni del Novecento, aveva seguito ovunque la nostra famiglia: prima, come vuole la tradizione isolana, per contenere il corredo di mia nonna, poi per trasportare i libri in oltre cento anni di spostamenti familiari. Ludovica teneva in mano il romanzo di Joyce con l’aria di chi ha appena trovato un tesoro. 

Il libro

Essenziale, elegantissimo, ponderoso, la copertina di un colore biondo tabacco, morbida e un pochino rovinata agli angoli. Al centro, sulla parte alta, il titolo in blu cobalto tutto maiuscolo: ULYSSE, in francese. In basso, sempre in maiuscolo, erano stampate località e anno di pubblicazione: “PARIS, MCMXXIX.” Cominciai a sfogliarlo con la cautela di un artificiere.

Nella seconda pagina ecco i crediti dei diritti e l’elenco delle altre due opere pubblicate da Joyce: Dedalus e Gente di Dublino. Nel foglio di destra le note sulla traduzione, curata da Auguste Morel. In quinta pagina la tiratura del volume: “25 esemplari su carta Holland numerati da 1 a 25, 100 esemplari su carta velina d’Arches numerati da 1 a 100 e 875 su carta alfa vergé numerati da 1 a 875.” La copia che brillava davanti ai nostri occhi era la numero 678.

Scorremmo le prime righe del romanzo, cercando di tradurre dal francese il mitico racconto di Buck Mulligan che scende la scala. La numerazione della pagina in basso a destra, impressa con un piccolissimo punto tipografico. Da quella successiva, in tutto erano 870, l’indicazione numerica proseguiva con un corpo più grande, ed era stata collocata al centro del foglio, poco sopra la prima riga del testo. Misurammo lo spessore del volume: sei centimetri e mezzo. Ci mancava soltanto che lo pesassimo, nemmeno fosse un neonato.

Alla fine del romanzo trovammo le indicazioni di pubblicazione: «Finito di stampare nel febbraio del 1929 presso la stamperia Durand a Chartres». A pagina 502, nel mezzo di un colloquio tra Bloom e Madame Breen, era rimasto negli anni un segnalibro di cartone rigido, rosso e blu, con un elegante disegno stilizzato di un albergo dell’Alsazia-Lorena.

«Forse nonno lo ha portato con sé in un giro turistico fuori Parigi», commentò Ludovica. Eravamo raggianti, come due archeologi che hanno appena scoperto un prezioso reperto. Stabilimmo di prenderci una pausa e di andare a casa.

E naturalmente decidemmo di non lasciare l’Ulysse da solo. Più di una volta, quella sera, andai a contemplarlo. Chissà quante ne aveva viste e ascoltate nei suoi novantadue anni di peripezie, quante persone lo avevano letto, sfogliato, riposto negli scaffali.

La mattina successiva, consumata la colazione (con Joyce a capotavola), andai a comprare una ventina di scatoloni per iniziare la selezione dei libri che avrei portato a casa subito. L’estate stava arrivando, l’avrei passata a esplorare quel mondo di carta. E a leggere finalmente l’Ulisse (in italiano).


Il testo è un estratto dal libro “I libri si sentono soli”, scritto da Luigi Contu, giornalista e attuale direttore dell’Ansa e pubblicato dalla Nave di Teseo nel 2022. Questo è il primo romanzo dell’autore.

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