Il tempo del tradimento scorre diversamente. Non rispetta le leggi della fisica, perché manipola e piega la percezione della modalità di successione degli eventi e del rapporto fra essi.

Non parlo del desiderio, sono della scuola che non fare equivale a non peccare, e quel tempo rimane per me integro nello scorrere delle lancette. Mi interessa cosa accade agli orologi dei traditi e dei traditori, a come la misura dei secondi si dilati a dismisura, a seconda della parte della storia in cui ti trovi.

Plausibilmente, se tradisci vorresti allungare all’infinito il momento rubato per confondere i giorni con i mesi e sottrarli al tempo, mentre se ti trovi dall’altra parte desideri bruciare tutto, riavvolgere, portare indietro il calendario a un “prima del danno”.

Paul Etienne Lincoln ha dato un luogo e una forma all’impostura e al sotterfugio fissando l’attimo per sempre, con la sua opera The Glove’s Repository.

Immaginatevi un’enorme vetrina di cristallo che contiene al suo interno un mini Big Ben, capace di mettere in moto un labirinto di ventiquattro guanti antichi, ciascuno appartenuto a un personaggio storico o letterario che nella sua vita ha commesso, o è stato vittima, di un grande tradimento.

I guanti belli li associo ai film di Wong Kar-Wai, le sue protagoniste li indossano spesso e sfilarli è un atto di seduzione irreversibile: indietro non si torna. In 2046, di una donna imprigionata in un loop temporale ed emotivo, un uomo dirà: «Il suo passato era come la sua mano nascosta da un guanto: un mistero insondabile».

Guanti che bisbigliano

Anche nell’opera di Lincoln ogni guanto protegge e nasconde, bisbigliandoci la sua storia: quando l’orologio dei tradimenti è in funzione, i guanti che rappresentano i mistificatori del tempo iniziano a girare quasi impercettibilmente, ognuno a suo modo, la velocità di rotazione è infatti determinata dall’anno di nascita e dalla longevità di chi lo ha indossato.

Ci sono mani guantate che escono dalle pagine dei libri, come quella di Irene Adler, meravigliosa bugiarda capace d’ingannare persino Sherlock Holmes. Nell’incipit di Uno scandalo in Boemia, Watson la racconta così: «Per Sherlock Holmes ella è sempre la donna. Raramente l'ho sentito nominarla in altro modo. Ai suoi occhi, eclissa e predomina su tutte le altre esponenti del suo sesso». Sul suo guanto di seta color champagne, una sottile striscia di carta a spirale si arrampica dal polso riportando la lettera di addio che lei scrive a Sherlock, prima di sparire verso nuove menzogne.

Di altri personaggi in bilico su delicati fusi in acciaio come Napoleone, Jurij Gagarin, la Contessa di Castiglione e Primo Carnera sappiamo già molto, ma il guanto più spudorato di tutti è in pelliccia di coniglio per richiamare colei che, nel XVIII secolo, ha ingannato l’intera comunità scientifica inglese convincendo i medici di partorire, appunto, conigli. Ci vuole tenacia, o forse disperazione, per tenere in piedi imbrogli e bugie e Maria Toft – contadina sfinita dalla sua stessa vita di miseria e mancanza di futuro – era così fornita di disperazione da costruire una truffa colossale per sfilarsi a qualsiasi costo dalla mestizia.

Tutto nasce, secondo il racconto che Toft fornirà ai medici, da una giornata come tante nei campi: lei è incinta e vuole un attimo di riposo, così decide di prendersi una piccola pausa. D’improvviso sbuca un coniglio e lei, chissà perché lo insegue, ma lui le sfugge. Quel coniglio la ossessiona, lo sogna ogni notte fino a quando perde il figlio che aspettava a causa di un aborto spontaneo, ma subito dopo partorisce proprio un coniglio. Morto. E non sarà il solo, i parti – ravvicinatissimi – la vedranno dare alla luce anche pezzi di gatto soriano, anguille e parecchi altri leporidi.

Re Giorgio I invierà il suo anatomista personale per osservare l’evento miracoloso, e l’intera comunità medica si inchinerà di fronte a questo inquietante prodigio. Ci vorranno mesi e un dottore particolarmente scaltro per scoprire che il marito di Toft aveva acquistato un’insolita quantità di conigli e che, dopo l’aborto del figlio, Maria con molta scelleratezza aveva deciso – mentre la sua cervice uterina era ancora dilatata – di inserire pezzi di animali che, una volta espulsi, avevano avviato lo spaventoso “fenomeno”.

Maria Toft finirà in prigione, scaldata solo dalle sue illusioni di gloria perdute, ricoperte ovviamente di pelliccia di coniglio.

Meravigliosa bugiarda

Il mio guanto preferito è invece in capretto azzurro, e la proprietaria – Lola Montez, classe 1821 – preferiva partorire metaforicamente soldi. Montez, meravigliosa bugiarda a partire dal nome e dalla nazionalità, è la prima donna a farsi fotografare con una sigaretta in bocca, si spaccia per ballerina spagnola anche se è irlandese e non sa ballare: la vita è la sua scenografia preferita e lei la cambia in base all’umore con cui si sveglia.

Quando si sente in vena di romanticherie sceglie Lord Byron come padre, altre volte punta su un torero famoso. Il suo ballo più celebre: “la danza del ragno”, un susseguirsi di movimenti sincopati con cui finge di scacciare pericolosissimi aracnidi, quando in realtà alza principalmente la sua gonna per mostrare che la biancheria intima è sopravvalutata.

Lola attraversa l’Europa, poi l’America e l’Australia, e lo fa con un pugnale infilato nelle calze e un paio di pistole nella valigia, viene regolarmente licenziata da ogni compagnia di ballo, si sposa spesso e ancora più spesso tradisce. Per Richard Wagner è “un essere demoniaco”, per il re Ludovico I di Baviera un oggetto d’arte: al loro primo incontro lei afferra il pugnale, si squarcia il vestito fino alla vita e scopre il seno. Ludovico non vuole sapere altro, la nomina contessa e le cede le redini del regno: mentre lei governa con scelte a dir poco femministe (ridimensiona il potere dei gesuiti e alza gli stipendi degli insegnanti), continua a tradirlo. Il gabinetto del re è indifferente alle infedeltà, ma molto risentito per il potere sottratto, così si dimette per protesta mentre le minacce di morte per Lola grattano alla sua porta: ogni mattina migliaia di persone imprecano contro “la puttana”.

Lei per tutta risposta brinda a loro, divertendosi a gettare dal suo balcone cioccolata calda o vino ghiacciato sulla folla inferocita. Quando la situazione si fa bruttina, scappa in Svizzera lasciando dietro di sé otto tonnellate di bagagli (posso immaginare il dolore di questa scelta), fa in tempo a risposarsi, ad aprire un saloon unendosi al flusso dei pionieri in cerca dell’oro in California e a progettare un colpo di stato (tenta di convincere i californiani a chiedere l’indipendenza dagli Stati Uniti per proclamare un nuovo regno che vuole chiamare, umilmente, Lolaland). Il tutto prima di morire a quarant’anni.

Chi vuole osservare come scorre il tempo del raggiro può andare a Prato, per vedere dal vivo l’opera di Paul Etienne Lincoln, esposta al Pecci fino al 24 di luglio all’interno della mostra Il giardino dell’arte.

In fondo, traditori e traditi, siamo tutti vittime di un istante che non si può più recuperare, in cui ci si dimentica di sé e degli altri. E forse aveva ragione Goliarda Sapienza, quando scriveva: «Ho fatto bene a rubare, sempre, la mia parte di gioia a tutto e tutti».

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