Dal brevetto di Epperson al boom della Riviera: come i ghiaccioli sono diventati un simbolo dell’estate italiana tra turismo, piccole imprese e Gdo
Uno dei protagonisti assoluti delle calde serate estive, in grado di regalare un po’ di ristoro è sicuramente il ghiacciolo. La sua invenzione ha in sé qualcosa di mitologico, infatti viene tradizionalmente attribuita a Frank Epperson, che brevettò il "popsicle" nel 1923, Tradizionalmente, l'invenzione del ghiacciolo viene però fatta risalire al 1905, quando il piccolo Frank, che allora aveva 11 anni e viveva a Oakland con la sua famiglia, in una gelida notte d'inverno lasciò inavvertitamente sul davanzale della finestra un bicchiere di acqua e soda con dentro il bastoncino che aveva usato per mescolarle. Al di là della evidente invenzione narrativa, il dato oggettivo è che nel 1923 Epperson ottenne il brevetto per l'idea del “ghiaccio sul bastoncino”, che battezzò appunto popsicle.
In Italia il ghiacciolo arrivò solo nel secondo dopoguerra, con una rapida localizzazione produttiva in Emilia-Romagna. Le prime aziende rilevanti furono la COF (Bologna, 1952) e la BIF (Reggio Emilia, 1960), favorite dallo sviluppo turistico della Riviera Romagnola. Il settore era inizialmente caratterizzato da piccole imprese e filiere corte, con vendite concentrate nei bar. Dagli anni Ottanta, la diffusione dei frigoriferi domestici e l’espansione della Grande Distribuzione modificarono radicalmente il consumo e la distribuzione, portando alla crisi delle piccole aziende locali e favorendo la concentrazione del mercato.
L’industria
La storia dell’industria dei ghiaccioli in Italia merita sicuramente di essere raccontata, perché in qualche modo è paradigmatica della storia industriale del paese nel suo complesso. Sebbene più semplice e meno costoso del gelato, il ghiacciolo si diffuse più tardi. Il primo gelato da passeggio, il Mottarello, fu lanciato nel 1951. Il ghiacciolo rappresentava un prodotto completamente nuovo e non derivato da tradizioni regionali come granite o carapigne. Secondo alcune fonti, la prima fabbrica italiana fu la “Fabbrica Ghiaccioli Fruttuoso” (Milano, 1951), ma il primo caso documentato resta la COF di Bologna (1952).
Un altro esempio pionieristico è la Kociss (Milano, 1956), fondata dai fratelli Samele. L’industria dei ghiaccioli fu caratterizzata da una forte frammentazione: nel 1971 si contavano 73 aziende, salite a 92 nel 1991, per poi ridursi a 13 nel 2011. La distribuzione geografica inizialmente privilegiava il centro-nord, e ogni piccola fabbrica serviva aree ristrette con furgoni refrigerati a garantire una catena logistica che doveva per forza essere corta.
Questa struttura limitava la crescita e rendeva il mercato frammentato e localizzato. Solo in grandi città e aree turistiche, come la Riviera Romagnola, si affermarono imprese con una rete distributiva più estesa. Il confronto tra l’aumento delle imprese e i consumi di gelato pro capite evidenzia una sproporzione che si attenuò solo con la concentrazione avvenuta negli anni Novanta, quando tecnologia e GDO trasformarono l’intero settore.
Nuove abitudini
L’adozione del freezer domestico e l’ingresso della Gdo cambiarono radicalmente le abitudini: il ghiacciolo passò da prodotto da bar a prodotto da supermercato, venduto in confezioni multiple. Le piccole imprese locali non furono in grado di adattarsi, cedendo il passo a pochi gruppi strutturati.
Ma il legame con il settore turistico è forse l’aspetto più rilevante di questa storia. La COF (1952), fondata da Cavazzoni Orlando e fratello, fu tra le prime aziende italiane di ghiaccioli. I primi anni furono difficili: produzione manuale, tecnologie rudimentali e scarsa fiducia da parte dei consumatori. Una trovata promozionale – lo “stecco premio” – aiutò la COF a ottenere successo. Negli anni Ottanta produceva oltre 120mila ghiaccioli al giorno, rifornendo non solo i bar di Bologna, ma soprattutto gli stabilimenti balneari della riviera romagnola.
Più o meno lo stesso accadde alla BIF, che nacque nel 1960 a Reggio Emilia, fondata da Biada, Iori e Fornaciari. Il marchio Indianino divenne il ghiacciolo più venduto in Emilia-Romagna. In molte province della regione il termine “BIF” è diventato sinonimo stesso di ghiacciolo, a riprova della forte penetrazione locale del marchio.
La concentrazione di queste due imprese in Emilia-Romagna non è casuale. La regione univa competenze tecniche e una domanda particolarmente dinamica, trainata dallo sviluppo turistico della Riviera. Se la tecnologia aiutò a superare i limiti logistici, fu soprattutto la struttura della domanda, più ampia e stagionalmente intensa, a rendere possibile la crescita di aziende di scala regionale in un contesto altrimenti dominato da microimprese locali.
Insomma, anche nel caso dei ghiaccioli, il boom turistico della Riviera Romagnola degli anni Sessanta e Settanta ha saputo generare un indotto estremamente rilevante e per certi versi inaspettato. In un’Italia che si avviava velocemente verso l’industrializzazione, la domanda di alcuni prodotti e servizi in un’area ristretta e in un periodo limitato nel corso dell’anno, favorì lo sviluppo di imprese che altrove avevano dimensioni molto piccole. Oggi quelle condizioni non ci sono più e pensare che anche nel 2025 il turismo possa svolgere questa funzione di traino per l’economia nazionale è estremamente velleitario e pericoloso.
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