Sandra Milo, una vita da protesi. Non parlo della donna vera e della sua vita reale, sia chiaro. Parlo della sua proiezione nell’immaginario collettivo. Il test più elementare è l’associazione pavloviana che ognuno di noi può sperimentare in proprio. Pensi a Giulietta Masina e i primi nomi che affiorano sono Cabiria e Gelsomina (La strada). Federico Fellini arriva subito dopo.

Per Sandra Milo scatta un binomio inscindibile, come se quel regista e quell’uomo fossero l’architrave di un’intera esistenza. Milo è l’incarnazione simbolica del suprematismo maschile. Facile suprematismo, d’accordo, trattandosi del genio che per inciso le ha procurato i due Nastri d’argento da non protagonista per Otto e mezzo e Giulietta degli spiriti.

Ma è come se fino a novant’anni e dieci mesi di vita (era nata l’11 marzo 1933) la memoria di tutti la incardinasse al passato, a un solo amore, dei suoi tanti, a una sola filmografia. Provate a scorrere su Internet i titoli dei coccodrilli compilati, per così dire, a botta calda. Sandra Milo è «la musa di Fellini».

Non solo Fellini

Sandra Milo alla mostra del Cinema di Venezia nel 1961 (foto ANSA)

Non voglio fare la guastafeste per forza, ma l’attrice Milo che ricordo con più emozione è la sua Pina di La visita (1963), la provinciale impiegata delle campagne ferraresi raccontata da Antonio Pietrangeli, accanto a un Francois Périer da urlo. È anche un film attualissimo, che anticipa l’èra Tinder: due solitari maturi che si sono incontrati attraverso l’annuncio pubblicato su una rivista. Pietrangeli è per inciso l’autore che l’ha scoperta, mettendole a fianco l’Alberto Sordi de Lo scapolo (1955) e offrendole occasioni di prestazione non inchiodata al ruolo di amante ipersessuata: Adua e le compagne è del 1960, Fantasmi  a Roma del 1961.

La Milo di Fellini non è chiamata a recitare, ma a enfatizzare un personaggio: è “l’Amante”. Deve sprigionare sensualità, autobiografia iperbolica da copione. Quando Roberto Rossellini nel 1961 la volle protagonista di uno dei suoi film più bistrattati, Vanina Vanini, storia stendhaliana lontanamente parente di Senso, promuovendola principessa nella Roma del 1823, si era basato sulla versatilità dell’interprete di Pietrangeli.

Sospetto fortemente che anche il suo riciclaggio meno remoto da parte di autori come Pupi Avati (Il cuore altrove, 2003), Gabriele Salvatores (Happy Family, 2010) e Gabriele Muccino (A casa tutti bene, 2018) abbia attinto a quelle memorie lontane. In più, Milo nei suoi anni d’oro ha lavorato parecchio col gotha dei filmmaker francesi dell’epoca: da Jean Renoir a Jacques Becker, da André Cayatte a Edouard Molinaro, da Claude Autant-Zara a Claude Sautet.

Non era “solo” Fellini: è stata risucchiata nella coscienza comune dalla gloria del Maestro, per avventura compagno non solo di lavoro. L’ombra lunga di maschi alfa ha dominato la sua esistenza professionale, nel bene e nel male: dopo Federico Fellini, Bettino Craxi. Come protagonista-testimone di quella stagione poliitico-mondana di gozzoviglie è stata tra le voci del Decamerone dell’urbe ideato da Marco Giusti e Roberto D’Agostino, Roma, santa e dannata.
Rara voce femminile in un coro di maschi. La storia delle persone è più complicata dei coccodrilli (gli epitaffi in mortem, in gergo giornalistico). E i coccodrilli tradiscono una efferata vocazione patriarcale.

Un fantasma sempre presente

ANSA

Con Sandra Milo ho parlato un paio di volte, non di più. Da piccolissima sognavo di diventare fisicamente un incrocio tra lei e Stefania Sandrelli: le morbidezze più commoventi del Creato. Non era l’idea di sedurre, non aveva l’ombra di implicazioni sessuali. Era la sensazione che emanavano di stare a proprio agio nei loro corpi, senza ossessioni da cover-girl filiformi.

Milo a parlarci era un fiume in piena, senza falsi pudori, effervescente naturale come la Ferrarelle. Ma il fantasma di FF era sempre presente, come se anticipasse una curiosità universale che sempre in quella zona, fatalmente, andava a frugare. Una sorta di subalternità assimilata: se interesso a qualcuno è solo perché sono la “Sandrocchia” di Fellini.

Non c’è bisogno di scomodare il femminismo perché questo genere di subalternità introiettata, subita e accettata, ti faccia tristezza. Era come mettere le mani avanti, proporsi come il riflesso, la creatura iconica di un mito, assecondando lo sguardo altrui.

Parlo di immagine pubblica: Milo ha vissuto da donna libera anche un concubinaggio plateale che nel secolo scorso ispirava pettegolezzi cattivi, gogna mediatica e fulmini da sacrestia. Sui suoi figli, sui suoi mariti, per fortuna non ci hanno inzuppato il pane i tabloid.

Ma di nuovo, nella sua successiva carriera da piccolo schermo, l’ombra maschile incombente di Craxi l’ha risucchiata e sminuita di fatto. Chi le aveva spalancato le porte di Raidue, feudo socialista, procacciandole la conduzione di L’amore è una cosa meravigliosa? Non era opportunismo, il suo: subiva davvero il fascino dei maschi alfa, senza difese e senza rimpianti.

Da refrattaria (io) al fascino degli show tv non ricordo un evento in diretta che invece ha fatto storia. Nel 1990 una sadica spettatrice chiamò Milo in studio tra i frizzi e i lazzi di L’amore è una cosa meravigliosa, per dirle che suo figlio Ciro era ricoverato gravissimo all’ospedale San Giovanni, vittima di un incidente. Per milioni di spettatori, la donna-Milo è ibernata in quel grappolo di secondi, in quel grido: «È grave, chi? Ciro? Ciro, Ciro!». Lacrime, fuga, highlight dell’audience per la tv di stato che fu.

Tra cinema e tv

È poco misericordioso però trattare gli exploit tardivi di un’attrice sull’elettrodomestico casalingo alla pari con la sua storia pregressa. I necrologi ammucchiano tutto alla rinfusa, il trash di massa è il pepe dell’acqua santa.

E poi non tutti ricordano il cinema del secolo scorso. Da antesignana del botox e delle labbra a canotto, Milo negli show tv combatteva già allegramente contro l’ingiuria degli anni, ma saccheggiavano tutti cinicamente solo la sua gloria di sopravvissuta. I titoli di questo mesto amarcord televisivo li ho scansati sistematicamente, compreso l’ultimo ripescaggio giurassico di Quelle brave ragazze, sotto bandiera Sky.

Proprio Amarcord, invece, quello di Fellini, mi aveva fatto avvertire l’assenza cocente di Sandra Milo. Nel 1973 non aveva più l’età per la Gradisca del film, ma era come se Magali Noel fosse la sua pallida controfigura.

Tenerezza e vitalità 

ANSA

Vitalità, tanta. L’attività social frenetica di Milo dei suoi ultimi anni è un corollario illuminante di una vita vissuta intensamente, se non pericolosamente. Non tutti gli anziani si riciclano con tanto entusiasmo. Fa tenerezza che il suo ultimo post sia un appello per l’adozione di Mariotto e Mara, due maremmani che condividono il box di un rifugio romano di Ponte Marconi.

Fa tenerezza il ricordo dei tanti che la incrociavano a spasso con Jim e Lady Sapphyre, i levrieri irlandesi salvati grazie a un post su Instagram. Erano condannati a morte, come tutti i campioni dismessi per anzianità dai cinodromi. Fa simpatia la foto postata della sua torta dei 90, infiorettata e leziosa secondo i suoi gusti, con annessa una frecciatina alle influencer sotto i riflettori: «Non è pubblicità occulta, questa torta l’ho pagata!».

Poi la rivedi, con gli occhi di ieri, sulla passerella di Chianciano Terme, in quel beato girotondo di precipizio intimo e professionale, la Carla con le sopracciglia ridicolmente ritoccate a mano da Mastroianni, una che ti vergogni di presentare agli amici.

Quella a cui Marcello/Federico dice: «Fai la faccia da porca”. È bravissima. La rivedi sull’altalena fiorata di Giulietta degli spiriti, un bonbon in corsetto candido avvolto da una nuvola di bianco chiffon. È una visione e un senso di colpa incarnato: molto più di un’amante, il condensato di tutte le amanti, di tutto il sesso possibile, passato, presente e futuro.

Per La visita di Pietrangeli, del 1963 esattamente come Otto e mezzo, si era artificiosamente invecchiata: a trent’anni impersonava una signorina dimessa, una zitella senza speranza sulle 36 primavere, una loser per vocazione e una frustrata per destino. Controllate: è molto più brava.

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