Presentando Testa o croce?, il western italiano di Alessio Righi de Righi e Matteo Zoppis che chiude la doppietta tricolore a Un Certain Regard, Thierry Frémaux non ha avuto dubbi: «È un meraviglioso film d’autore» ha detto alla conferenza stampa di Cannes 2025. Viatico d’eccellenza per i due autori rivelati già qui, alla Quinzaine, con il loro visionario Re Granchio.

All’impronta ufficiale del western provvede una leggenda del vero Wild West, Buffalo Bill, aka William F. Cody, che agli inizi del Novecento sbarcò col suo circo in Italia per vendere il mito della Frontiera, anticipando lo show business di importazione che Hollywood avrebbe perfezionato.

«Abbiamo sentito questa storia fin da bambini – dicono i registi, duo artistico ormai consolidato – ci fu una sfida tra Buffalo Bill e un signorotto locale, e il rodeo impegnò i cow boys del circo contro i butteri di Cisterna di Latina».

Leggenda vuole che la vittoria andasse ai butteri. Su questa premessa de Righi e Zoppis hanno poi lavorato di fantasia, accaparrandosi però uno dei più talentuosi e meno divistici attori americani, John C. Reilly, per il ruolo del famoso scout, poi cacciatore di bisonti e infine showman. Il film, girato in inglese, va in sala con 01 Distrubution.

La storia

Da quella sfida parte una ballad epica di amore, fuga e morte nella Maremma, protagonisti il buttero Alessandro Borghi e Nadia Tereszkiewicz, giustiziera – pistola alla mano – dell’arrogante marito riccastro che la malmenava. Ricordate L’uomo che uccise Liberty Valance? «Tra verità e leggenda, stampa la leggenda!». I due registi stampano la leggenda.

Durante la fuga, con una taglia di 1000 scudi sulla testa e Buffalo Bill in persona alle calcagna, la sacrosanta rabbia degli oppressi fa di Santino un capopopolo, riconosciuto anche dai fuorilegge locali rientrati dall’Argentina, che nel film parlano come il Tomas Milian della nostra Cinecittà di frontiera. Ritroviamo nel cast anche una vecchia gloria di quell’epopea sul Tevere, Gianni Garko.

Testa o croce? è una fiaba, quel tipo di fiabe epiche che il popolo mette in note e parole, perciò non stupitevi se la testa tagliata di Santino continuerà a parlare e se l’ingenua Rosa, temprata da fango, freddo, dolore e peripezie, completerà rivolta e vendetta da sola. Almeno nelle cronache romanzate del “narratore” del film, Buffalo Bill.

I riferimenti

Non vuol essere una parodia del genere, e non assomiglia ai vecchi spaghetti-western. Ma è impossibile non ricordare l’operazione cucita da Robert Altman su quella stessa materia, quel Buffalo Bill e gli indiani del 1976 che analizzava in provetta lo sfruttamento del genocidio dei nativi compiuto dal cinema di Hollywood a forza di stereotipi. C’era un’intera mitologia ideologica da demolire, e Altman contrapponeva il capocomico (Cody) e il capo Sioux Toro Seduto, ingaggiato per spettacolarizzare la battaglia di Little Big Horn e ridicolizzare gli indiani. Era uno scontro di etica e umanità.

Ancora: con Non toccare la donna bianca Marco Ferreri nel 1974, in piena riurbanizzazione di Les Halles, a Parigi, metteva in scena tra la voragine e le macerie la battaglia di Little Big Horn in versione surreale. Il colonialismo faceva tutt’uno con le lotte sociali dei proletari sfrattati.

La nostalgia non è mai una buona consigliera. Ma in quegli anni il cinema si faceva con queste idee e con queste intenzioni.

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