È una finestra che porta in altri luoghi, quella di via Piella a Bologna. Un quadrato nel muro rosso, chiuso da uno scuro dello stesso colore, che si affaccia sul canale delle Moline. Aprendola, lo sguardo si posa su uno scorcio rinominato “Piccola Venezia”: uno dei pochi tratti d’acqua ancora visibile in città, un passaggio stretto, rinchiuso tra le case. Eccolo lì, uno dei sette segreti di Bologna, luogo magico e di meraviglia (ti porto a vedere un posto bellissimo, apri la finestra, guarda: non sembra Venezia?) e meta di turisti, set perfetto per selfie e foto da postare su Instagram.

Qualcuno ci attacca dei lucchetti: promesse di amore eterno tre metri sopra il canale. Baciamoci qua, che porta fortuna come quando lo fai sui ponti di Venezia, quella vera. Un piccolo riquadro nel muro rosso, una finestrella in legno che si confonde con la parete: la trovi solo se sai dove cercare o se segui il suo hashtag, i selfie come i sassolini di Pollicino.

All’improvviso, il dramma: è scomparsa. Qualcuno l’ha presa. Perché rubare una finestra che si apre su un luogo incantato? E cosa resta, di quello spazio segreto, quando non c’è più il piccolo scuro a proteggerlo? Li immaginiamo di notte mentre tirano e scardinano i piccoli perni, strappandola a forza. Forse per noia, per rabbia, per punirla del suo successo sui social?

La vediamo cedere, arresa, alla brutalità della realtà. Lei che è abituata a essere attraversata da sogni e stupore. La prima volta l’hanno gettata nel canale, come una cosa vecchia, da dimenticare. Qualcuno l’ha vista e raccolta: un piccolo quadrato di legno rosso galleggiante. La finestra ritorna al suo posto.

Ora l’hanno presa di nuovo e di lei non ci sono tracce. Quello che resta è un varco aperto, nudo, alla portata di chiunque passi: basta guardare, non serve più scoprire. Il piccolo scuro rosso portato via, con lui anche il segreto (esistono ancora segreti al tempo dei social?).

La favola della “Piccola Venezia”

Su Instagram ci sono migliaia di foto con hashtag via Piella, qualcuno aggiunge canale, altri Piccola Venezia: volti sorridenti che parlano le lingue del mondo, volgono lo sguardo altrove e si chiedono: dove mi trovo? A Venezia. Il canale stretto tra i muri colorati delle case, i balconi fioriti, il cielo azzurro, la luce che filtra e illumina l’acqua. Ai follower dicono: senza filtri, come se fosse un marchio di garanzia. Richiudo la finestra: sono di nuovo a Bologna. Riapro: Venezia.

Sembra di sentire le parole di Corto Maltese, il marinaio e gentiluomo di fortuna ideato dalla mente e dalla matita di Hugo Pratt, che nell’ultima pagina di Favola di Venezia racconta che «quando i veneziani sono stanchi delle autorità costituite, si recano in questi tre luoghi segreti e, aprendo le porte che stanno nel fondo di quelle corti, se ne vanno per sempre in posti bellissimi e in altre storie». Se questa fosse una favola, potremmo dire con certezza che una di quelle corti segrete porta da Venezia a Bologna, in via Piella.

Lì dove si svela uno dei pochi tratti d’acqua provenienti dal Reno che, tra i primi del Novecento e il dopo guerra, è stato graziato dall’essere ricoperto d’asfalto: il canale delle Moline, la cui forza, nel Medioevo, faceva muovere quindici mulini ad acqua in città. Per molto tempo, se non fosse stato per quella finestrella, era possibile vederlo solo dalle case interne.

Negli ultimi anni si sono riaperti gli affacci sui ponti delle vie Oberdan e Malcontenti. Lì la visuale è più ampia, non ci sono segreti da custodire, passaggi magici da proteggere. Finestre da richiudere. O da rubare.

Una porta per l’ignoto

La finestra è una porta verso l’ignoto. Lo racconta bene Mario Soldati, nel racconto La finestra, edito da Sellerio: «La finestra, dipinta nel quadro, era stata la strada che Gino Petrucci aveva scelto per scomparire nell’ignoto. (…) La finestra! Era uscito dalla finestra. Era, per modo di dire, entrato nel suo quadro e non era più tornato indietro». 

Qualcosa di simile a quello che sembra succedere in via Piella, dove si apre la finestra e si entra in un quadro, si viene trasportati altrove, in un luogo di tale bellezza che a volte tornare indietro non è facile. Quanta meraviglia si può nascondere dietro un piccolo scuro rosso?

Mario Soldati, la cui carriera da regista è stata ricordata all’ultimo Festiva di Venezia durante l’omaggio a Gina Lollobrigida (l’attrice scomparsa lo scorso gennaio) con la proiezione del film La provinciale, uscito nel 1953 e tratto dall’omonimo romanzo di Alberto Moravia, sottolinea come la finestra sia uno spazio di passaggio – vi ricordate Peter Pan? – e luogo ideale di ispirazione.

Visione che attraversa generazioni di scrittori: Mario Desiati, in Spatriati, edito da Einaudi e vincitore del Premio Strega nel 2022, ne parla così: «La sua unica distrazione era rimasta la poesia: come mi disse una volta, la poesia per lei era la finestra sulle scrivanie, non esiste ispirazione senza una finestra, senza luce, aria». Nel caso di via Piella, nell’intera strada non esiste poesia senza quella finestrella rossa.

Un luogo dell’anima

La finestra è un confine ideale tra ciò che è di qua e ciò che è al di là: per superarlo, esplorarlo, conoscere cosa cela, basta trovare il coraggio di aprirla e attraversarla con lo sguardo. A volte riparo, a volte scoperta, spesso meraviglia. Iconograficamente, un’immagine potentissima.

Nel cinema, la finestra è lo spazio privilegiato di osservazione: ne La finestra sul cortile di Alfred Hitchcock è la vera protagonista del film e metafora dei significato stesso di cinema, in Colazione da Tiffany di Blake Edwards, Paul si affaccia dalla finestra e vede Holly cantare Moon River seduta su un davanzale e c’è una finestra anche nell’epico finale di Fight Club di David Fincher, quando il narratore e Marla si tengono per mano guardando la città che brucia. Un intero mondo cinematografico gira intorno all’idea di finestra come luogo dell’animo, il punto da cui partire (e qualche volta tornare), come fanno Wendy e Peter Pan per andare in volo sull’Isola che non c’è, quanti bambini sognano di farlo?

Oppure un ingresso nascosto, come quando vediamo Joey intrufolarsi dalla finestra nella camera da letto di Dawson (Dawson’s Creek) e il vampiro Edward in quella di Bella (la saga di Twilight) e poi in centinaia di altre serie tv e film, in quella che diventa un’immagine iconografica dell’adolescenza: amori segreti, passioni che sbocciano, scoperta, desiderio, irriverenza. Torniamo a quei lucchetti attaccati alla finestrella, le iniziali scritte con un Uniposca colorato, come promesse di amore eterno: quante sono state mantenute? Quante, invece, tradite nel breve tempo di uno sguardo?

Rimettere le cose a posto

Ikon Images via AP

La finestra di via Piella è scomparsa e ora verrebbe da dire: riportatela indietro, voi che l’avete presa. Rimettete a posto le cose, ristabilite la meraviglia, come capita nei film quando il ladro restituisce l’oggetto magico, lo riposiziona esattamente dove l’aveva trovato e un fascio di luce sancisce che sì, tutto è tornato come prima. Un gesto di redenzione che riscriverebbe il finale della favola della “Piccola Venezia” e della finestra scomparsa: tranquilli turisti, studentesse, innamorati, bolognesi, questa volta c’è l’happy end.

Oppure, più verosimilmente, l’amministrazione comunale sostituirà lo scuro con un altro simile, alcuni tecnici lo andranno a montare e anche se l’oggetto non sarà lo stesso ma una copia, la magia proseguirà comunque. Il fascio di luce sarà dato dalla somma dei flash delle machine fotografiche, tablet e smartphone che riprenderanno a scattare foto davanti alla finestrella, “eccola, è tornata” diranno le coppie di innamorati, le turiste curiose, i bolognesi rassicurati nel ritrovarla.

La finestrella tornerà al suo posto – che sia l’originale o una copia, poco importa – mani emozionate torneranno ad aprire lo scuro per immaginare di essere a Venezia e se qualcuno, affacciandosi troppo, si perderà nell’ignoto, potrà sempre ritrovare la strada di casa, riaprire la finestra, attraversarla, tornare di nuovo a Bologna.

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