Partiamo dai fatti. O meglio da quello che ha fatto e non ha fatto Lamine Yamal negli ultimi tre giorni. Breve recap. Venerdì, a 48 ore dal Clásico contro il Real Madrid, partecipa a un evento della Kings League per ragioni di sponsor e perché proprietario di una squadra, La Capital. Magari non le tempistiche migliori possibili, ma comunque nessun problema. Se non che, commentando gli avversari di turno, i Los Porcinos, se ne esce con la frase «Sono come il Real Madrid, rubano e si lamentano».

La Spagna del calcio si ferma per qualche ora. Non tanto perché un giocatore del Barcellona poco prima della sfida più importante del campionato sia andato in Kings League e abbia tirato un rigore. Da quelle parti certe decisioni non fanno rumore: questione di mentalità, apertura, capacità di comprendere che la partita vive 90 minuti più recupero e non una settimana.

Molto più gravi, però, le parole sui rivali. Mai nessun calciatore del Barça si era permesso affermazioni così pesanti e non provate, neanche negli anni di contrasti più duri, quelli di Mourinho e Guardiola. Non lo avevano fatto Messi, Busquets, Puyol e Piqué, simboli catalani e blaugrana che odiavano la nobiltà e la spocchia del Madrid. Eppure, avevano sempre usato la testa, conoscevano il limite, il terreno di gioco. La sensazione è che in questo momento Lamine Yamal abbia perso un po’ di riferimenti. Per carità, resta sempre un diciottenne che fa errori da diciottenne. Passino le feste con i nani e le dichiarazioni di vacanze piccanti con influencers di Only Fans, da tempo gli sportivi hanno smesso di essere esempi di vita. Ora, però, la polemica è passata a un piano superiore.

Un Clásico bollente

Attaccando direttamente il Real, Yamal ha infuocato un Clásico già abbastanza caldo per la situazione di classifica, con il Barcellona giunto al Bernabéu due punti dietro ai blancos. La presunzione, insegna Ibrahimovic, va saputa indossare. Se dopo aver messo in piedi questo caos, non segni, non tiri mai una volta in porta, perdi il 50 per cento dei duelli e ti fai scippare ventuno volte il pallone, significa che il primo sconfitto sei tu, che non hai saputo reggere né i fischi dei madridisti né la leva di una pressione che tu stesso avevi sollevato. Il finale di partita ne è il perfetto esempio. Vinicius, Courtois e Carvajal, quest’ultimo compagno di nazionale, che cercano Lamine Yamal per ribadirgli che «ha parlato troppo» e lui che risponde di vedersi fuori, come se fosse un diverbio al pub. Il tutto, dentro una maxi lite che ha costretto a intervenire anche la Policia Naciónal. Epilogo orrendo di un match splendido, vinto dal Real 2-1 con gol di Mbappè e Bellingham.

Anche i fenomeni hanno degli obblighi

Non c’era bisogno di una prestazione da buttare nel Clásico per comprendere che arrivare a dire che «il Real ruba» è un atto superficiale. Proprio qui sta il cuore di questa storia. Il rinnovo e la maglia numero 10, la camiseta che era stata di Messi, dovevano dargli delle responsabilità e invece paiono averlo reso più leggero, nel senso peggiore del termine. I genitori e le persone intorno a lui non lo aiutano. Dopo settimane di proteste per il mancato Pallone d’Oro, il padre ha cominciato a postare live particolarmente smargiasse, l’ultima ai fornelli spiegando come «lui cucinasse in casa e il figlio li cucinasse in campo». Altro riferimento, per niente velato, al Real Madrid. La madre vende gli appuntamenti per andare a cena, solo perché è la mamma di un campione.

È chiaro che passare da un contesto di fatica e privazioni come quello di Rocafonda, quartiere poco chic di Matarò alle super ville di Barcellona può essere uno choc. Non si sa come comportarsi, come amministrare il denaro. Eppure adesso Lamine Yamal è divenuto, come tutti i migliori atleti del mondo, un’azienda. Potenzialmente la più straordinaria che ci sia, ma va gestita, accompagnata e protetta.

Ecco l’ultimo concetto chiave, la protezione. Famiglia, agenti e amici devono preservare il suo talento lasciando da parte tutto il resto, quello che ti fa diventare uno che «cae mal» come dicono in Spagna, uno che non piace, che sta antipatico e spesso si perde nella voglia di nemici. È un discorso che non vale per tutti, ma solo per chi entra nel ristretto circolo dei fenomeni. Ora ha degli obblighi verso chi investe su di lui economicamente ed emotivamente. Per questo gli si deve permettere di concentrarsi solo su quello che sa fare meglio, dominare in campo, spogliandolo di tutto, veste polemica compresa.

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