In principio era il contrario. Non volevo o almeno credevo di non voler scrivere un romanzo. M’interessava raccontare che c’era stato un tempo e un luogo dove un modello di integrazione era perfettamente riuscito.
Un mondo, l’Egitto e la sua capitale Il Cairo, segnato da un caleidoscopio di anime, irrepetibile a pensarci oggi ma che – questo desideravo comunicare – non si deve smettere di ricordarne il senso e l’armonia.

Il mio obiettivo alla fine si è trasformato in un romanzo La casa sul Nilo (Neri Pozza) dopo essermi resa conto che la storia della mia famiglia, nel libro c’è del vero e del verosimile, rappresentava quel mondo e quel modo più di qualunque saggio.
Sembrava più facile all’inizio narrare della propria infanzia, i miei nonni, i miei genitori, le due sorelle, ma non lo è stato. Per riuscire a cominciare il capitolo su mia madre ci sono volute ore di passeggiate, di riflessioni, di ricordi.

Miracolosa convivenza

Il Cairo del libro è il racconto di un’età dell’oro in cui vivevano in convivenza pacifica ebrei, musulmani, copti, protestanti, ortodossi, cattolici, un miscuglio quasi misterioso nella sua realizzazione. La famiglia della Casa sul Nilo ne è la declinazione ideale, il padre italiano, è un ebreo sefardita, la madre francese in realtà si scopre figlia di un farmacista di Odessa, Misha, fuggito a Parigi ai bagliori della rivoluzione bolscevica e dei pogrom, uno dei tanti russi naturalizzato cittadino di Francia.
Bobe, la nonna materna è un’ashkenazita nata a Czernowitz città di poeti, musicisti e rabbini miracolosi. Una piccola Vienna, così veniva soprannominata, all’interno dell’impero austro-ungarico altalenante, a seconda delle guerre, tra Romania e Ucraina che ospitò la prima grande conferenza in yiddish. Lingua che nel libro la nonna e la mamma Fanny parlano alla perfezione trasformandola nella lingua dei segreti per non farsi capire dal marito, dalle bambine, dai nemici.

Non per sottrazione

In quel mondo cosmopolita simile allora a Beirut e Instabul che ho ricostruito con tenacia si sospirava d’amore in francese, si fumava alla turca, si mangiava mediterraneo, si ballava all’americana, si festeggiavano insieme Natale e Hannukah, la festa ebraica delle luci.
La diversità era arricchimento, mai sottrazione. Ad Alessandria oltre al cimitero cattolico, greco, ebraico, arabo, c’era anche quello dei liberi pensatori. Contava più la libertà che l’appartenenza ed era quello il binario sul quale volevo viaggiare.

Nella casa sul Nilo passavano personaggi fascinosi, spicchi di una comunità multiforme. Ninì Baranes mezza musulmana e mezza cristiana maronita, Kate inglese di buona famiglia che s’innamora di Mohammed Hafez egiziano tormentato e potente, Caralambo Egyptiadis e Caralambo Skiatos, due ragazzi copti, Mireille ricca libanese furba e levantina.
E poi il rabbino Mosseri che portava fortuna e non resisteva al profumo del sigaro toscano, l’imam Mourad, Feisal, suadita dalle mille fonti d’informazione e Abdul, Fawzia, Fatma, Salah devoti e dolci come sanno essere solo gli egiziani.

Il Cairo internazionale sembrava il palcoscenico di «una magica alchimia» secondo la definizione di mia madre Fanny. I luoghi erano epici, i grandi alberghi coloniali, il Semiramis, lo Shepheard’s dove il barman Joe Scialom, un chimico mezzo veneziano che parlava otto lingue, conosceva i segreti di tutti. I caffè del Cairo antico frequentati da scrittori e rivoluzionari.
Il pomeriggio e la sera si ballava all’Auberge des Pyramides o al Mena House, una sua foto è la copertina del libro, di fronte alle Piramidi e alla Sfinge. Re Farouk, un albanese gradito agli inglesi che si erano spartiti insieme ai francesi lo sconfitto impero ottomano e che controllavano il Canale di Suez, era considerato uno degli uomini più ricchi al mondo ma era totalmente insensibile alle condizioni penose in cui versava il suo popolo. Uno dei suoi passatempi preferiti insieme al poker era riempire la sua piscina di belle ragazze, dove la prescelta veniva sollevata da un enorme cucchiaio d’oro.

Il carismatico Nasser

La mia famiglia viveva agiatamente, dopo la guerra e il nazismo pensava di essere al sicuro nell’Egitto che aveva la luce e la dolcezza dell’accoglienza. Anche se le diseguaglianze sociali erano enormi con un’élite e una borghesia indifferente alla povertà e alle malattie della sua gente. Questa era l’altra faccia della medaglia che ancora oggi, dopo tante fasi politiche, l’Egitto governato dai militari non ha saputo cambiare.

Come il Khamsin il vento del Sahara che insinuava la sua sabbia anche negli orli dei vestiti, il vento della rivoluzione travolgeva Farouk. Al suo posto andavano al governo i Liberi Ufficiali. Uno di loro Gamal Abdel Nasser, carismatico, sorriso accattivante ma «lo sguardo di un lupo» dirà Bobe incontrandolo a un ricevimento, cambierà per sempre l’Egitto, ne diventerà il presidente facendo scivolare il paese in una deriva dittatoriale. È la fine del colonialismo, l’embrione di quello che è accaduto in Medio Oriente, l’alba del panarabismo. Gli stranieri diventano nemici.
Nonostante sia stato Nasser il Rais a cacciarci dal Tempio, mi perdonino i miei genitori, non posso non capire che da egiziano volesse un futuro migliore e libero per il suo popolo.
Scrivendo il libro ho scoperto quanto la storia di quegli anni e di quella magica alchimia sia patrimonio di una moltitudine di persone e d’ italiani che hanno vissuto nello stesso modo quel pezzo di secolo lungo il Nilo.

Cicatrici 

Certo era un mondo di stranieri ed egiziani privilegiati che non aveva molto a che fare con le condizioni di vita delle classi più povere. Ma dopo la nascita di Israele e fino a quando il nazionalismo più estremo non ha preso il sopravvento la convivenza pacifica e feconda aveva avuto un ruolo di primo piano nella trasformazione dell’Egitto in un paese ricco pieno di scuole, di università, di ospedali.
Per anni ho tenuto dentro di me la storia della mia infanzia in Egitto e del mio arrivo in Italia, paese chiuso allora, provinciale e bigotto, il contrario dell’Egitto. Amici cari si sono stupiti «com’è possibile che tu non mi abbia mai raccontato le tue radici?». Le ferite dell’identità hanno grandi difficoltà di cicatrizzazione.
Durante le presentazioni del libro in giro per l’Italia soprattutto ora che in quella parte di mondo si sta vivendo una delle ore più buie della sua Storia, non è stato facile raccontare come un tempo i ritmi e i battiti fossero diversi e il mondo solare della mia infanzia fosse esistito davvero.


La casa sul Nilo (Neri Pozza 2023, pp. 288, euro 18) è un libro di Denise Pardo

© Riproduzione riservata