Natale è una festa che talvolta dimentichiamo essere religiosa, presi dallo shopping furibondo e dalle prospettive d’ingrasso più o meno comunitario. O forse non lo scordiamo affatto, semplicemente ci adattiamo a quella che già sulle pagine di questo giornale è stata segnalata essere una delle più diffuse forme di credenza del nostro tempo: la religione fai da te, raccontata in un bell’articolo firmato da Mark Alan Smith e dedicato agli Stati Uniti d’America.

Smith ci racconta come nel bagaglio religioso spirituale individuale siano sempre più presenti «chiromanzia, chiaroveggenza, purificazione dell’aura, lettura della sfera di cristallo, analisi dei sogni, bilanciamento dei chakra, lettura dell’aura psichica, regressione della vita passata e lettura dei tarocchi». Insomma, date delle attitudini religiose, ciascuno sembra libero di amalgamarle come meglio crede.

Di cosa parliamo

Si tratta di un segnale solo americano? Si tratta di un fenomeno proprio del terzo millennio, storicamente connotato? No e no. Facciamo però un passo indietro per definire meglio l’oggetto del ragionamento. 
Le scienze umane e sociali interessate alla questione religiosa dimostrano da tempo grande attenzione per il tema ricorrente dell’adattamento culturale nell’esperienza di fede, quella vissuta individualmente prima ancora di quella comunitaria.

Antropologia, storia, sociologia, psicologia e teologia riflettono su quella che, con metafora culinaria, è definita religion à la carte o, con immagine differente, patchwork religion.

Sono passati dieci anni, per esempio, da quando in un articolo di presentazione di un progetto sulla spiritualità contemporanea guidato dall’università di Bielefeld, la psicologa delle religioni Barbara Keller parlava di «un trend verso una religione patchwork» individuale riconoscibile nelle società europea e americana contemporanee.

L’espressione «patchwork religion» valeva (e ancora vale) a descrivere quel fenomeno che induce un sempre più rilevante numero di persone a prendere in prestito elementi dalla tradizione cristiana, dalle religioni asiatiche, da movimenti esoterici e spiritualisti per creare la propria fede/spiritualità individuale. 

Le convinzioni personali sono sempre meno facilmente identificabili con un sistema di credenze. Tendiamo a costruire la nostra identità religiosa attingendo a insegnamenti provenienti dalle culture e dalle fedi più disparate: lo possiamo fare anche perché è sempre più agevole attingere alle fonti di questa conoscenza; non serve neppure una biblioteca, basta una buona connessione e possiamo consultare una moltitudine di testi considerati sacri.

Quanto poi l’interpretazione individuale sia capace di rimanervi fedele, questo è un altro discorso. All’emergere di una spiritualità cucita su misura contribuisce anche la decisione di molti e molte credenti di staccarsi dalle strutture ecclesiastiche religiose organizzate, percepite come inutili perché bastiamo a noi stessi.

Fai da te in lingua tedesca

Tra le componenti dello stile religioso personale una certa rilevanza la possono acquisire, ed effettivamente lo fanno, le norme alimentari. La stragrande maggioranza delle religioni detta delle regole in relazione alle privazioni della tavola, proponendo ricette che non solo da oggi si mescolano a norme mediche, spirituali, comportamentali.

Un buon esempio è la Fastenwoche (settimana del digiuno), ideata da Otto Buchinger (1878-1966) e piuttosto diffusa in Germania e in Austria: ai partecipanti è richiesto di nutrirsi di soli liquidi.

L’elenco comprende succhi di frutta, tè e una Fastensuppe (zuppa del digiuno), poco golosamente costituita da acqua senza sale nella quale vengono fatte bollire varie verdure. Si aggiungono alla dieta una significativa attività fisica, una vita in stretto contatto con degli sconosciuti.

Ci si affida, in definitiva, a un digiuno per il benessere privo di medicine. Non mancano i rituali di purificazione, come quelli previsti per il cosiddetto “digiuno olistico”, fatto sì del rifiuto temporaneo di qualsiasi cibo solido, ma anche dell’ingestione di importanti quantità di liquidi e dell’uso di pratiche più radicali di lavaggio dell’intestino, come il clistere.

Chi ha sperimentato tali esperienze ha parlato di «purificazione rituale», alla quale non sono estranei il rifiuto della società dei consumi e l’impegno ecologico. Quest’ultimo prevede, una volta terminata la Fastenwoche, il rifiuto da ogni tipo di cibo non biologico o a chilometro zero. 
In Germania ha preso piede anche il cosiddetto digiuno interreligioso, spesso significativamente organizzato nei locali di antichi monasteri sconsacrati: l’aura del luogo probabilmente conta parecchio.

Mi limito a richiamarne una in particolare, condotta da una guida spirituale ispiratasi a quattro diverse tradizioni: cristiana, indiana di Sai Baba, buddhista tibetana del Dalai Lama e giapponese del Reiki.

In casi simili non siamo certo di fronte a una riproposizione delle tradizioni monastiche, ma a qualcosa di nuovo, alla trasformazione di una pratica antica che anche grazie al luogo di culto o presunto tale mantiene la propria connotazione religiosa (non solo spirituale), reinterpretandola e riconoscendo a chi propone questo tipo di offerte una dimensione missionaria, intesa come opportunità d’incontro. 

Fai da te in salsa storica

Che si tratti di come mangiare o bere, di come vivere o di come pregare, la storia è piena di esempi di religioni à la carte. La spiritualità degli indigeni nord e sudamericani ne è ricchissima, per come ci è stata raccontata dai coloni e dai conquistatori del nuovo mondo.

L’impatto con la lontanissima cultura cristiana ha dato vita a innumerevoli reinterpretazioni, alcune destinate a sopravvivere (candomblé, vudù, religione del peyote), altre all’oblio (la storia delle Americhe ci narra di molti profeti finiti male come lo shawnee Tenskatawa, il paiute Wovoka, l’inca Túpac Amaru II). 

Ogni religione, come opportunamente sostenuto da molti studi, è composita, tanto che per gli storici spesso non è possibile definire cosa provenga da una tradizione, cosa da un’altra.

Torniamo al Natale, e alla sua assodata origine pagana, legata al solstizio d’inverno e alla festività romana del “Sole invincibile”. Fu l’imperatore romano Aureliano a istituire la festa del Sol Invictus il 25 dicembre 274.

E fu Costantino, pochi decenni dopo (330), a mutare la ricorrenza pagana in cristiana, scegliendo quella data per la nascita di Cristo. Fino a quel momento, non vi era uniformità nella comunità cristiane e la celebrazione del compleanno di Gesù si collocava di solito il 6 gennaio, ma la data poteva differire di luogo in luogo.

La scelta di un sovrano, però, non è “fai da te” e coinvolge quantomeno tutti i suoi sudditi. Costantino riuscì persino a cambiare nome al giorno del sole (dies solis, come rimane valido per l’inglese sunday o per il tedesco Sonntag), che divenne giorno del Signore (dies domini, dimanche, domenica).

Il punto centrale che fa di una scelta personale un movimento e non una semplice religione patchwork è proprio questa: l’adesione collettiva. Per quanto possiamo apprendere dai documenti, sono sempre esistiti fenomeni minoritari per cui le e i credenti hanno preso in prestito elementi da più parti per creare la propria fede/spiritualità individuale.

Il fatto è che non tutti, non tutte erano sovrane o sovrani, profeti o profetesse, leader carismatiche o carismatici. Per questo non ne sappiamo nulla, a meno che la nostra curiosità o la nostra professione non ci spinga a studiarli, questi fenomeni. 

Ricordiamoci però di una cosa almeno: nessuno assimila e rappresenta integralmente una tradizione religiosa, una quota di interpretazione personale ci sarà sempre, anche nei più rigorosi difensori di questa o quella fede.

È per tale ragione che si moltiplicano i movimenti, che la religione è materia viva, in divenire, è per questo che risulta difficile pensare «Dio (o dio) è morto». 

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