«Perché, mamma? Perché, papà? Perché, maestra? Perché?«. Ogni bambina e ogni bambino cominciano così, con infiniti «perché?» il loro viaggio di scoperta di sé stessi e del mondo, ci sono poi adulti che non smettono di farsi e fare questa domanda, all’infinito, ossessivamente. Di certo Kurt Gödel è stato un bambino, e poi un uomo così.

E, probabile, anche Deborah Gambetta. Che ha scritto Incompletezza. Una storia di Kurt GödelPonte alle Grazie, che esce il 29 marzo. Credo che ogni volta che si comincia ad immaginare di scrivere un testo che somiglia, pur non essendolo del tutto, non sin dall’inizio, a una biografia, in una parte della mente, consciamente o inconsciamente, si incomincia a giocare al gioco degli specchi e, quella biografia, di tanto in tanto, può coincidere con un’autobiografia, non importa se completamente disvelata, o in parte segreta.

Nelle vite di altre e altre ci incuriosiscono le differenze, ma anche, e forse soprattutto, le similitudini.

Autofiction

Decidere dunque di raccontare la storia di qualcuna o di qualcuno è una scintilla misteriosa che ci si accende dentro e che costringe a cercare e cercare e cercare ancora.

Che similitudine può esserci tra un logico matematico, e filosofo, come Kurt Gödel e una scrittrice come Deborah Gambetta? Un uomo e una donna, un matematico e una narratrice, uno nato a Brno, all’inizio del Novecento, e vissuto tra Vienna e Princeton negli Stati Uniti d’America, e l’altra nata, nel 1970, e vissuta tra Torino e la Romagna? Qual è il punto di contatto? Dove si trova l’innesco?

Quando, ormai parecchi anni fa, domandai a Deborah perché avesse dedicato così tanti anni di studio a Kurt Gödel, alla logica matematica e perché avesse poi deciso di scrivere un libro “attorno” a lui (su di lui non mi sembra del tutto appropriato, dato che il nucleo di questo testo è proprio la matematica, e la fisica, che nei primi decenni del Novecento vivono un momento di accelerazione e di esaltanti scoperte, da Hilbert, a Turing, a von Neumann, a Einstein, figure che compaiono in questa storia, legate, talune intimamente, a Kurt Gödel), mi rispose in un modo che inizialmente mi lasciò perplessa, e poi, negli anni, e soprattutto quando ebbi modo di leggere la prima stesura di questo testo cominciai a capire, sempre di più.

È vero che «nelle storie ci inciampi, ti capitano», come scrive Gambetta, ma è vero anche, io credo, che inciampi e ti capitano, e dunque ti accorgi delle storie ci cui hai bisogno, per un motivo o per un altro.

Storie nelle quali puoi specchiarti o scoprire quel qualcosa di te che ancora ti sfugge e provare poi attraverso questo intreccio di motivazioni ad offrire ad altre ed altri qualcosa che non sia un mero ricalco di informazioni organizzate secondo una sequenza logica o temporale, ma un’opera. Un testo letterario che travalica i generi e riesce ad essere insieme romanzo, saggio, biografia, e, in parte minima ma incisiva, autofiction.

In cerca di un senso

Matematici e scrittori condividono un’ossessione, che si declina in forme diverse, in linguaggi diversi: la ricerca di un senso, del senso ultimo, della verità assoluta, quella immutabile, quella che dà senso al nostro esistere che spesso ci appare casuale, insensato, specie se non siamo credenti.

La matematica è il linguaggio della perfezione, non esistono mille modi diversi per dire quell’unica cosa, ne esiste uno, uno soltanto e questo limite coincide con la perfezione e con l’eleganza formale, nella scrittura letteraria, questa perfezione e questa eleganza formale hanno lacci meno stretti, limiti dai quali si può spaziare, esondare, limiti che si possono tradire, quell’unica cosa puoi dirla in tanti modi diversi però, noi che scriviamo, sappiamo che in fondo in fondo, a ciascuno di noi in quanto scrittrice e scrittore pertiene uno stile, una modalità e la “nostra” frase perfetta, la nostra formula “unica” da qualche parte esiste e dobbiamo letteralmente scavarla fuori dalla lingua nella quale ci è capitato o abbiamo scelto di scrivere.

Trovarla è talvolta un’impresa, perché si tratta di far convergere in quei pochi segni alfabetici, in quella particolare sintassi, nella punteggiatura che utilizziamo, il senso di quella unica cosa che abbiamo da dire, in quel preciso momento, e poi per sempre.

In questo testo atipico, ibrido e affascinante convivono una storia d’amore distruttiva e la storia di un’ossessione matematica. Il tentativo è quello di indagare il mistero dell’universo, della matematica, della logica, forse nel tentativo di far ordine, attraverso questi mezzi, nel garbuglio del cuore umano, sempre sospeso tra terra e cielo, tra carne e intelletto, tra quotidianità e trascendenza, tra normalità e follia.

Riscoprire la matematica

«“Gambetta, le equazioni parlano!” amava ripetere la mia insegnante del liceo quando facevo scena muta davanti alla lavagna. Ai tempi avrei ucciso la prof; oggi mi inginocchierei a chiederle umilmente perdono». 

Ecco, l’umiltà, unite a una scrittura di un’eleganza senza pari, sono la cifra di questo testo che dovrebbe essere letto con la stessa passione, e umiltà appunto, e pazienza, che l’autrice ha riversato nella sua composizione, con “sentimento” e curiosità limpida per ciò che non sapete; anche se, come me, non siete esperti di matematica, anzi, pure se vi considerate o siete effettivamente state e stati delle schiappe, questo libro potrebbe finalmente farvi avvicinare alla matematica, al mistero della sua perfetta bellezza.

La letteratura e la matematica sembrano appartenere a due regni diversi eppure affondano nella stessa stupefatta meraviglia di fronte al mistero dell’universo: se per chi scrive la ricerca si compie attraverso “una storia”, per i matematici attraverso “una verità” – una formula, un teorema - dimostrabili, certi, compiuti; comunque sia, tutto questo ha a che fare con la creazione di mondi.

Questo libro è stato scritto per sapere, e il viaggio stesso del libro è la scoperta di una risposta. Una sfida: quella di imparare una lingua completamente sconosciuta e poi ritradurla in un linguaggio letterario. Noi lettrici e lettori, grazie alla testardaggine e alla pazienza di Deborah Gambetta possiamo incamminarci su questa strada impervia che è la conquista, centimetro dopo centimetro di un territorio a molte e molti sconosciuto.

© Simona Vinci

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