L’Ucraina c’entra, con il poeta, romanziere e molto altro Eduard Limonov, all’anagrafe Eduard Veniaminovich Savenko, perché è cresciuto nella provinciale, minuscola Char’kov.

C’entra anche la splendida biografia romanzata, Limonov, che lo scrittore Emmanuel Carrère gli ha dedicato, e che in Italia è uscita con Adelphi. La distanza abissale dal libro non impedisce a Limonov: The Ballad del russo Kirill Serebrennikov, scritto dal Pawel Pawlikowski del magnifico Cold War e in concorso a Cannes, di essere un film di qualche attrattiva, con molti difetti. In Italia arriverà in sala a settembre con Vision Distribution.

Molto amato dal Festival e dai produttori francesi, Sebrennikov è un autore dichiaratamente anti-Putin.

Esagerato

Limonov, morto nel 2020, ha sempre rifiutato l’etichetta di “dissidente” (pur non iscrivendosi mai al sindacato scrittori filogovernativo), perché considerava Solzenicyn, Josif Brodskij e compagni dei puri esibizionisti.

Ha avuto però una vita “esagerata”, come diceva Vasco, da dropout sui marciapiedi di New York e da rockstar letteraria a Parigi e in patria, «studente, criminale, operaio, maggiordomo e poeta» nonché «comunista indipendente» per autodefinizione. «Lui si vede come un eroe, ma lo si può considerare una carogna. Io sospendo il giudizio», ha scritto Carrère.

A fine anni Novanta è stato tra i fondatori del Partito nazionale bolscevico, arruolatore degli skinheads disperati di periferia e tanto confuso ideologicamente da accomunare all’opposizione marxisti-leninisti, stalinisti, neofascisti, ortodossi, monarchici e pagani, e da fondere nel suo simbolo falce e martello e vessillo nazista.

È stato incarcerato da Putin ma accolto dai media alla sua liberazione, ha plaudito all’annessione russa della Crimea e combattuto Eltsin: un bad guy provocatorio, ribelle e in bolletta per vocazione perennemente schierato con le cause perse.

EPA

Lo stile

È un’esistenza spericolata, quella di Limonov, impossibile da sintetizzare, ma il film, che procede a capitoli, è sovraccarico come l’interpretazione di Ben Winshaw (Skyfall, Spectre, The Lobster, tra gli altri).

È simpatica una regia che riesuma la cinematografia indy sporca e sgranata degli anni Settanta e che sbandiera il repertorio dei Velvet Underground e di Lou Reed, le note acide di Take a walk on the wild side, I’m waiting for my man, la Sunday Morning con l’inconfondibile voce di Nico, roba perfettamente affine al racconto e che fa sempre piacere ascoltare. L’uso a collage di filmati di repertorio manipolati ne fa una tardiva opera pop, con spolverate di porno-soft anche quelle in odore d’epoca.

Uno scrittore coerente

Se non vi disturbano i popolani russi che si esprimono tutti in inglese corretto, il bianco e nero degli anni di gioventù (il bianco e nero così caro allo sceneggiatore Pawlikowski, Oscar per Ida), con Limonov operaio metallurgico e i reading letterari domestici, i tagli autolesionisti ai polsi e Anna, la prima delle sue tante donne, che come lui ha conosciuto gli istituti psichiatrici, è tra i capitoli più riusciti. Ma anche la New York della Bowery, dei senzatetto e del sesso a caso ha il suo perché. «Sei nel paradiso del consumismo», annota Limonov negli anni Settanta, «ma ne sei escluso. In Urss le disuguaglianze ci sono ma sono più mascherate».

Il vero pregio del film sono i testi originali dello scrittore, in prosa e poesia, onnipresenti. E alcuni sono belli davvero, anche se nei suoi romanzi Eduard Limonov non ha mai avuto, per estrema coerenza, altro soggetto al di fuori di sé stesso.

© Riproduzione riservata