La sala d’attesa era sempre piena di suore con un bel vestito blu elettrico. Io avevo otto anni, mia madre era seduta accanto a me e ogni volta aspettavamo la mia visita per ore.

In una di queste attese una signora ha deciso di parlarmi. Lo sai che il dottore ha fatto camminare un ragazzo che era in sedia a rotelle? No, non lo so. Tesoro da quanto tempo vieni dal dottore? Che in realtà era professore e già allora pareva vecchissimo. Da poco ma non credo nell’omeopatia, cioè funziona se stai bene, non so lei come sta signora. La signora ovviamente ha smesso di parlarmi e si è messa a leggere una rivista consumata.

L’allergia 

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La prima volta che sono andata dal professor Negro in effetti stavo bene ma avevo allergie fortissime e incomprensibili. Andavano e venivano, cambiavano forma, orticaria, tosse, gonfiori e chiazze. Mi sfiguravo, stavo malissimo. E a otto anni mi ero già rassegnata a campare per sempre così, spiegando a mia madre che tanto l’uomo si abitua a tutto, ma lei non era d’accordo e infatti sono stata ovunque, conoscevo ogni dermatologo d’Italia, ospedali, cliniche, facevo tamponi per cercare malattie rarissime e ovviamente prove allergiche di ogni tipo ma niente, a parte cose ovvie: stai lontana da nichel e metalli pesanti. Prendevo antistaminici e cortisone, diete che erano digiuni perché tutto mi faceva teoricamente male ma il problema non si risolveva. La sua vera causa non si capiva e io ero convinta di essere allergica a me.

Un’amica di mia madre andava dal prof e diceva che era un grande medico e mia madre mi ha portato anche lì.

Prima della visita c’era una pre-visita con un altro medico, più giovane, dove si parlava delle classiche cose che si raccontano ai medici durante un’anamnesi, seguiva la misurazione del peso e dell’altezza. Poi si cambiava stanza, si andava dal prof. A quel punto iniziava un lungo dialogo sottovoce – stile analista o confessione ­– che otto assistenti (aveva fondato una scuola) trascrivevano nella mia cartella. Mi piacerebbe riaverla e sapere oggi cosa raccontavo. Una volta ho detto che facevo finta di credere a Babbo Natale per non far dispiacere i miei genitori e che “interpretavo” la parte della bambina ma non mi sentivo una bambina. Capirai. Le domande erano svariate: ti fidi? Stai meglio con il freddo? Come dormi? Provi risentimento? Salato o dolce?

Poi si passava alla visita vera e propria dietro un paravento; spogliati pure, mi toglievo solo le scarpe, il mio pudore non è mai cambiato. Il prof si disinfettava le mani con l’eau de philae e mi spingeva con forza la pancia. Ancora sento le sue dita fresche e profumate affondare tra gli organi, separarli. Quel male restava per giorni, a quel male ancora posso risalire. Da sdraiata intrecciavo gambe, piedi e dita dei piedi, le mani nascoste sotto i fianchi; lo faceva notare agli studenti (già laureati, o quasi, in medicina) come fosse metafora di qualcosa di più grande, una storia di cui facevo parte. Tutto è utile a leggere l’umano, il dettaglio, le manifestazioni della specie, sei unica ma sei anche un cliché, perché esistono dei tipi a cui tutti possiamo essere ricondotti. E più o meno ogni tipo umano è un rimedio, cioè una medicina omeopatica.

I nomi dei rimedi sono in latino, esoterici ed esotici, e mi facevano sentire speciale anche se non avevo fiducia nella loro capacità di curarmi, visto che se avevo attacchi forti andavo all’ospedale. Nonostante tutto però aspettavo le visite semestrali dal prof, ne riconoscevo la saggezza dietro gli occhi piccoli da tartaruga antica. Sulla ricetta, accanto al suo nome, c’era scritto in latino «i simili si curino con i simili», similia similibus curantur.  E sotto, un disegno in bianco e nero con l’indice di Dio che punta l’indice di Adamo senza raggiungerlo (mai). In quello spazio vuoto, quella distanza, ho sempre visto tutti i nostri problemi.

Il ritorno 

Homeopathic medicine, Germany, city of Osterode, 17. January 2017. Photo by: Frank May/picture-alliance/dpa/AP Images

Ho fatto quella cura per cinque anni e non ricordo più il nome del mio rimedio. Poi a un certo punto ho smesso, le allergie sono diventate ancora più forti ma più rare e il prof non visitava più, lui troppo vecchio (è morto a 102 anni) e io quasi adulta. Sono passati altri anni e la mia allergia, da sola, si è fatta più misteriosa e ancora meno costante e ho dimenticato l’omeopatia come tante altre cose. Mi sono addirittura battezzata.

Finché una mia amica tre anni fa mi dice che è a Roma il suo omeopata, un genio – ti cambia la vita – devi assolutamente conoscerlo. Ora gli chiedo se ti visita, però poi tu vieni. Va bene certo. Può visitarmi, vado e parliamo due ore, d’altronde è la prima volta che ci vediamo. Ricordo come funziona, mi piace che anche lui trascriva tutto. Gli dico del prof e mi dice che si è formato proprio in quella scuola all’Aventino, chissà se ci siamo mai visti. Annota tutto e individua, senza dubbio, il mio rimedio. Capisce chi sono, rispondo a tutte le voci, a tutti i criteri. Mi avvisa che sarà un viaggio, inizierà a curarmi dalle visioni e non dal fisico che poi mi spavento se esce fuori qualcosa che non mi piace. Certo che mi spavento.

Mi dà una ricetta lunghissima, un rimedio al mese da cambiare ogni luna nuova per cinque mesi. Quando l’ho portata al farmacista mi sono imbarazzata e ho comprato un antistaminico (le allergie non sono mai andate via) anche se ne avevo già una scatola nella borsa, come per dirgli non sono così (così come?), io sono razionale.

Alla fine della visita mi spiega che ogni mese rivivrò le esperienze e le sensazioni più importanti della mia vita, di sette anni in sette anni, fino ad arrivare alla mia età per poi superarla. Mi spaventa superare la mia età dico, non avere paura (di tutto) dice. Tanto questo avverrà più avanti.

Non so se per suggestione, avviene quello che predice. D’altronde non vedo l’ora di far parte di un esperimento. Per esempio: a casa della mia amica c’è un amico del marito, sui settanta, americano-cinese che non ho mai visto prima. E mi ritrovo ad avere voglia di sedermi sulle sue ginocchia come mi succedeva da piccola quando mi sedevo sulle gambe accavallate di mio padre o dei suoi amici. In quel viaggio ho rivissuto da adulta la mia vita, cercando di fare attenzione a quello che vedevo e sentivo, a questo sguardo nuovo ed estraneo che mi permetteva di andare e tornare indietro e avanti nel tempo. In quegli stessi mesi mi sono ammalata, mi sono operata, ho preso medicine e tutto il resto, però senza mai smettere il mio rimedio d’argento di cui ormai vado fiera.

I recuperi 

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Dopo cinque mesi rivedo il nuovo omeopata nel suo studio verso Pavia. Fa un gran caldo e l’ambulatorio è una villetta ocra con giardino e fiori. Scendo dalla macchina. In cosa credi? mi dico.

La visita è più veloce, parliamo, mi guarda l’iride e le unghie. È soddisfatto, il rimedio lavora, ora si passa ai recuperi (non chiedo cosa siano) e poi finalmente potrai superare la tua età. Sarò in vantaggio sulla mia vita, perché il tempo non passa ma arriva e devo smetterla di avere tutta questa paura della morte. Mi hai detto che credi pure in Dio, che c’è ancora?

I recuperi sono molto faticosi, da subito. Mi incupisco, mi deprimo, divento aggressiva umorale nera stanchissima. Piango tutto il giorno, ci mancava. Gli scrivo una mail. È normale, lascialo lavorare lascialo fare. Non ti opporre soprattutto. Ci sono state altre visite e io ho superato la mia età, doveva essere un momento di pace e benessere, invece stavo male con il Covid, ma la vita fa come vuole e questo si sa.

Ho un neo da una quindicina d’anni che è una macchia grande fatta di tante piccole macchie che non restano mai uguali e che è praticamente identico a un neo maligno, un tumore. Oggi il dermatologo che mi controlla ogni sei mesi dice che è migliorato, non si vede spesso una cosa del genere. È regredito? No, è cambiato e somiglia meno alla sua forma brutta.

Il prof mi aveva detto che non conta stare nel rapporto causa-effetto ma bisogna invertirlo così che l’effetto diventi causa; devi essere paziente, mangiare meno dolci, ne sarai capace. Avevo nove anni.

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