Il titolo dell’ultimo libro intervista con il pontefice, uscito in Spagna sui suoi rapporti con Joseph Ratzinger, ne indica con esattezza il contenuto. Papa Francisco. El sucesor. Mis recuerdos de Benedicto XVI (Planeta, in Italia sarà pubblicato da Marsilio) è infatti un testo – basato su tre ore di intervista, raccordate e corredate di utili documenti – dal quale emerge innanzi tutto la figura di Bergoglio. Attraverso la memoria che il papa conserva del predecessore e vuole che sia trasmessa. Con l’intento, dichiarato programmaticamente dal giornalista che l’ha scritto, Javier Martínez-Brocal, di mostrare la continuità tra i due papi. Ma il libro non convince e apre, anzi, non poche questioni.

Benedetto «sotto custodia» 

Diversi sono infatti gli elementi stridenti in questa ricostruzione, certo non facile, e che ha fatto notizia quasi solo per i tre aspetti più ghiotti: la polemica con alcuni stretti collaboratori di Benedetto XVI, la ricostruzione degli ultimi due conclavi, i suoi funerali.

Sui primi due Francesco aggiunge dettagli a quanto aveva detto in altre occasioni e, per quanto riguarda il terzo, il pontefice ha dichiarato per la prima volta che il suo rituale funebre sarà semplice, «come in tutte le famiglie». Insomma, non più papale, nemmeno secondo il rito molto sfrondato e suggestivamente rinnovato da Paolo VI.

Rispondendo a Martínez-Brocal il papa sostiene che l’arcivescovo Georg Gänswein, il segretario del suo predecessore per il quale sembra profilarsi una nomina come diplomatico, nel libro Nient’altro che la verità – intervista con Saverio Gaeta edita da Piemme la settimana successiva ai funerali di Benedetto XVI – racconta «cose che non sono verità» e addebita alla pubblicazione «una mancanza di nobiltà e di umanità».

Ma c’è di più: la mattina dell’aggravamento di Ratzinger il papa, andato a visitarlo, si accorge che i medici «tenevano Benedetto quasi “sotto custodia”. Attenzione, non dico prigioniero o rinchiuso, ma un po’ “custodito”».

Bergoglio descrive la curia in costante antagonismo con il pontefice, con cenni che possono essere estesi a lui stesso: «Tutti i papi hanno la loro dimensione d’incompreso. A Giovanni Paolo II un gruppo della curia ha reso la vita impossibile. Penso che, nel caso di Benedetto, non capivano la libertà interiore che aveva».

Ratzinger – che dal 1982 ha vissuto nel contesto vaticano per un intero quarantennio – dopo la rinuncia aveva invece risposto al suo biografo Peter Seewald che «le resistenze sono venute più dall’esterno che dalla curia. La mia intenzione non era semplicemente e primariamente fare pulizia nel piccolo mondo della curia, bensì nella chiesa nel suo insieme».

Francesco ritiene anche che «gruppi separatisti» abbiano manipolato il cardinale Robert Sarah, che dal lavoro in curia è stato reso «un po’ amaro». E definisce il prelato africano, esponente di una linea teologica e liturgica più tradizionale, «molto buono», ma confida di averlo nominato «forse» per errore alla guida dell’organismo incaricato del culto.

Continuità tra i due papi?

La rigida griglia interpretativa della continuità induce Martínez-Brocal a non includere tra le sue domande al pontefice uno degli incidenti in questo senso invece più dissonanti.

Il giornalista spagnolo – corrispondente da Roma dell’autorevole testata madrilena Abc, laico e membro numerario (celibe) dell’Opus Dei come i suoi predecessori sin dal 1977 (Joaquín Navarro-Valls, Miguel Castellví e Juan Vicente Boo) – si esercita addirittura nell’acrobazia di interpretare l’episodio come una prova della continuità tra i due papi.

All’inizio del 2018 erano stati pubblicati dalla Libreria editrice vaticana undici piccoli libri sulla teologia di Bergoglio e il prefetto della Segreteria per la comunicazione Dario Edoardo Viganò aveva proposto a Benedetto XVI di scrivere un breve testo per commentarli. Accennando a una «continuità interiore tra i due pontificati, pur con tutte le differenze di stile e di temperamento», Ratzinger declinava l’invito a causa di «altri impegni».

Il papa emerito menzionava con «sorpresa» la presenza tra gli autori dei «volumetti» di un teologo suo connazionale, Peter Hünermann, che aveva «capeggiato iniziative anti-papali» soprattutto «su questioni di teologia morale». Ma nella presentazione ai giornalisti dell’iniziativa il prefetto mostrò la lettera di Benedetto XVI senza questa parte e le polemiche che ovviamente ne seguirono lo costrinsero alle dimissioni.

Come in altre occasioni Francesco riconosce molto al predecessore, che considera addirittura un santo. Al di là dello schema della continuità: «Alcune decisioni che ho preso naturalmente non concordavano con lui, ma con il suo silenzio le ha sempre rispettate. Ci vuole santità e molto coraggio per questo». Invece non è stato proprio così.

Dopo la rinuncia Benedetto XVI ha manifestato con chiarezza il suo punto di vista, diverso da quello di Francesco. Sulla liturgia, ma anche sulla tragedia degli abusi, che Ratzinger ha affrontato in maniera più ampia e coerente: soprattutto con un testo radicale pubblicato nel 2019 – ora nel postumo Che cos’è il cristianesimo – e con la drammatica lettera del 6 febbraio 2022 nella quale, per avere avuto «importanti responsabilità nella chiesa», esprime dolore, vergogna e richiesta di perdono.

I conclavi

Grande eco ha avuto la ricostruzione dei due conclavi ai quali Bergoglio ha partecipato: nel 2005, quando in poco più di ventiquattro ore era stato eletto Ratzinger, e nel 2013, conclave altrettanto rapido dal quale è uscito papa. Francesco ne aveva già parlato. «I cardinali – chiarisce il pontefice al suo interlocutore – giurano di non rivelare quello che succede nel conclave, ma i papi hanno facoltà di raccontarlo».

I predecessori di Bergoglio non sono tornati in pubblico sullo svolgimento delle loro elezioni. Gustosa è soprattutto una confidenza di Giovanni XXIII. Eletto il 28 ottobre 1958 dopo tre giorni di conclave, alcune settimane più tardi il nuovo papa raccontò genericamente che durante i ripetuti scrutini – furono undici – il suo nome e quello del patriarca armeno Agagianian «si avvicendavano or su or giù come i ceci nell’acqua bollente».

Dopo la rinuncia Ratzinger, che aveva partecipato ai due conclavi del 1978, venne interrogato da Seewald e accennò all’arcivescovo di Vienna, notoriamente ritenuto il grande elettore di Wojtyła: «Posso dire solo che König aveva parlato con diversi cardinali prima del conclave. Quello che accadde a porte chiuse è segreto e continuerà a restarlo». E sulla candidatura di Bergoglio – nota da diverse fonti – nel 2005 tagliò corto: «Non posso dire nulla in proposito».

Prodigo di dettagli è stato invece papa Francesco con Martínez-Brocal sui conclavi ai quali ha preso parte. Ha colpito soprattutto la ricostruzione di quello da cui uscì eletto il suo predecessore, che presenta come il suo candidato: «L’idea era bloccare l’elezione del cardinale Joseph Ratzinger. Usavano me, ma dietro già stavano pensando di proporre un altro cardinale». Invece, «se avessero eletto uno come me, che fa molta confusione, non avrei potuto fare nulla». Con la scelta di Ratzinger lo Spirito santo ha voluto dire – continua Bergoglio – «qui comando io. Non c’è spazio per manovre».

Non tutte concordi sono le diverse ricostruzioni di quel conclave, ma in tutte ricorre come candidato dello schieramento progressista il cardinale Martini, che invece il papa non nomina mai. Per quanto poi riguarda il conclave del 2013, Francesco riferisce di aver saputo che il candidato da molti ritenuto più probabile e atteso dalla Conferenza episcopale italiana, il cardinale Scola, avrebbe invitato a votare per lui.

In una lunga intervista trasmessa nel 1997 dalla televisione bavarese Ratzinger aveva parlato più realisticamente dello Spirito santo nelle elezioni dei papi: «Direi che lo Spirito santo non prende esattamente il controllo della questione, ma piuttosto da quel buon educatore che è, ci lascia molto spazio, molta libertà, senza pienamente abbandonarci. Così che il ruolo dello Spirito dovrebbe essere inteso in un senso molto più elastico, non che egli detti il candidato per il quale uno debba votare. Probabilmente l’unica sicurezza che egli offre è che la cosa non possa essere totalmente rovinata. Ci sono troppi esempi di papi che evidentemente lo Spirito santo non avrebbe scelto».

Molti sono insomma gli elementi contrari all’ipotesi che sorregge il volenteroso libro. Al punto che il sostegno di Martínez Brocal alla teoria della continuità tra i papi – tema d’obbligo per gli storici – appare un’operazione fallita.

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