In pieno centro, a Roma, i gestori di un noto night club intimavano alle loro impiegate di interrompere il flusso mestruale durante il fine settimana. La pretesa è singolare, non solo né tanto perché indice di scarsa conoscenza del meccanismo secretorio, quanto perché fa da indovinata sineddoche di tutti i pregiudizi che si raccolgono intorno ad alcuni fatti, centrali per la vita umana, eppure trattati come fossero debolezze congenite della donna.

Peggio ancora se il legale che rappresenta i gestori l’ha definita “una goliardata”: si fa appunto goliardia su tratti che incarnano stereotipi e consolidano pregiudizi. Nondimeno, nel loro dubbio senso dell’ironia, questi maschi hanno ragione: ancor oggi, l’“effluente mestruale” è fonte di imbarazzi e oggetto di censure. Un segreto da celare sino al punto da rendersi invisibili.

Il ciclo mestruale è solo uno dei percorsi nel viaggio intrauterino che Leah Hazard imbastisce nel libro Utero. Storia intima del luogo da cui tutti veniamo (Ponte alle Grazie 2023). L’autrice, “ostetrica, attivista e madre di due bambine”, compie passi circospetti ma fermissimi nell’intricata dinamica da cui scaturisce la vita. Eppure, sarebbe riduttivo descrivere il libro come fosse un compendio di anatomia femminile per inespertə.

Inno al femminismo

Esso è in primo luogo un coinvolgente inno al femminismo quale pratica per tutti i sessi e tutti i generi, che risulta così disincagliato dalle secche dell’attuale guerra tra bande – come Hazard asserisce con sintetica decisione nella dedica d’apertura: «Per tutti».

E così, attraverso le mestruazioni, la gravidanza, la contraccezione, il travaglio, la menopausa e altre fasi e fattori dell’organo primario dell’antropogenesi, Hazard ci fa da guida in una selva di pregiudizi, fraintendimenti, mitologemi e disinformazione, in cui si appalesa quanto poco noi si sappia del luogo in cui tuttə abbiamo letteralmente soggiornato.

L’intento dell’autrice è introdurre all’organo in questione per una via che, in gergo filosofico, si definisce “affettiva”, vale a dire, tramite la mobilitazione di un crescente legame emotivo con chi legge. Il libro muove alla ripugnanza, allo sconcerto, alla sorpresa, accompagnati sempre da un piacere che appunto coinvolge e lega alle storie delle molte donne (professioniste e non) che Hazard intervista, scruta e talora provoca.

Tra storia delle scoperte mediche, aneddoti e resoconti di interviste, il nodo centrale del libro si può sintetizzare con relativa semplicità: l’aura di profanissima sacralità che circonda l’utero impedisce una più ampia conoscenza di noi esseri umani quando ci si osserva dalla fenditura da cui siamo uscitə.

In effetti, dell’utero si parla poco e male, con frettoloso disagio, come meritasse il tipo di rispetto che si deve alle divinità malvagie, le quali, pur sempre attorno a noi, mai evochiamo per timore che ci insozzino con le loro sconcezze o, peggio, che ci facciano del male.

Ma l’ostacolo più molesto sulla strada di una più solida conoscenza dell’utero deve attribuirsi, per paradosso, a chi con esso vanta più familiarità. Consiste infatti in una serie di miti, perlopiù fabbricati da mano mascolina, nell’ambito della medicina specializzata: costruzioni malcerte e infide, come l’“utero sterile” (cioè privo di microbiota), quello “ostile” oppure l’idea di una sua passività nel concepimento, assieme a molte altre nozioni al meglio inesatte, che fanno della medicina un luogo in cui l’utero rimane l’oggetto di un sapere ancora rudimentale e a tratti superstizioso.

Il problema, però, non è il deficit cognitivo in sé, ma la serie di infortuni cui espone le donne nelle diverse fasi della vita in cui hanno a che fare col proprio utero e che ne escono rafforzate nell’innato senso di disagevole pudore o persino traumatizzate da trattamenti inappropriati. 

Il ciclo

Particolarmente istruttivo è il capitolo sul flusso mestruale, appunto evocato in apertura: un rituale ciclico, che comanda circospezione in chi teme di macchiare gli indumenti di cremisi o chi esce dall’aula scolastica con un assorbente nascosto nella manica.

La nozione stessa di “effluente mestruale”, spiega l’autrice, convoca un immaginario di detriti e rifiuti. E se Tertulliano, filosofo e apologeta cristiano del II secolo, non aveva reticenze circa il suo senso della repulsione quando definiva la donna come “un tempio costruito sopra una fogna”, secondo Hazard non si è fatta molta strada da lì a qui, al netto delle molte app che del ciclo tengono tempi e mappano ritmi.

L’autrice si mette quindi sulle tracce di quelle studiose che alimentano l’ideale quasi fanatico di un ciclo “facoltativo”, il cosiddetto #PeriodsOptional, grazie agli estrogeni e al progesterone, per discutere poi del controverso impatto di tale scelta sullo sviluppo cognitivo delle adolescenti.

Questo non tanto al fine di offrire una guida pratica – intento ben lontano dal testo – ma per mostrare come, anche tra le donne, le mestruazioni rimangano “una fonte di costernazione e contraddizione”, alveo di polemiche e terreno di contrapposizioni.

Ma se quantomeno la classe medica avesse buon cuore e lucida mente per guardare con più attenzione a cosa sta nel liquido stillante (nota Hazard che, nella letteratura scientifica, si contano “solo 400 articoli sull’effluente mestruale, contro i 15.000 e passa sul liquido seminale e sullo sperma”), ci si potrebbe avvedere di come esso sia capace di segnalare la presenza di malattie la cui diagnosi richiede altrimenti dai sette ai dieci anni, assieme a trattamenti invadenti e interventi dolorosi – oltreché gravanti sulle casse pubbliche.

Insomma, l’utero, proprio come il flusso che mensilmente rilascia, è ancora vittima di pregiudizi generali, noncuranza medica e ritegno femminile. Il tutto sotto il dominio ancora solido di “un patriarcato bianco con scarso rispetto per la saggezza delle donne”, che ha promosso metodi e pratiche tutt’altro che facilitanti il travaglio, l’aborto e altre fasi della vita uterina.

Alleanza e conoscenza

Il libro, nella sua conclusione, auspica una prossimità più avveduta e documentata con un organo tanto decisivo per l’esistenza umana.

Eppure, non credo oggi si possa azzardare in ottimismo, se è vero com’è vero che in molte giurisdizioni nazionali, persino nei paesi sedicenti liberali, il corpo della donna torna oggetto di una legislazione aggressiva e proprietaria, con restrizioni sul diritto di decidere in autonomia del proprio corpo, assieme alla reviviscenza di ideologie conservatrici, in cui la donna è il perno della vita domestica, oltreché devota e sollecita educatrice della prole.

Ma è proprio in condizioni di ristagno morale come queste che soccorrono libri quali Utero. Di tale bizzoso organo, Hazard non fa un oggetto di venerazione né certo di occhiuta regolazione. Piuttosto, lo ritrae capitolo dopo capitolo come alleato fedele, informatore inatteso, seccatura ricorrente, sigillo di perenne alleanza tra chi genera e chi nasce, assieme a molte altre modalità di interazione con l’essere umano che lo ospita. 

Nella mia idiosincratica lettura, il libro mi sembra ravvivare l’insegnamento più prezioso del vecchio e troppo vituperato meccanicismo: il corpo umano è un assemblaggio di corpi più piccoli e, assieme ad altri corpi, forma assemblaggi che lo eccedono.

Per una vita saggia e felice, la prescrizione più raccomandabile è quella di una salda alleanza tra tutte queste macchine formanti macchine – un’alleanza che deve passare, come insiste Hazard, per una conoscenza quanto più chiara e distinta di ciò che, nell’intrico di macchine, ogni singola macchina fa e può fare.


Utero. Storia intima del luogo da cui tutti veniamo (Ponte alle Grazie 2023, pp. 400, euro 19,80) è un libro di Leah Hazard

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