Il corpo ha sempre intrattenuto rapporti col potere. Affermazione del potere proprio: del potere maschile come esibizione del “corpo del capo”, ornato, esibito, replicato e ingigantito nei monumenti o nei mass media; del potere (derivato) femminile come corpo che seduce, che procura alla donna un posto nella società e nell’immaginario, il corpo della regina, della diva, della spia, della fidanzata di tutti.

Testimonianza del potere altrui: il corpo dello schiavo, il corpo esotico da umiliare o da possedere, il corpo senza pudore perché senza dignità; il corpo del lavoratore e della prostituta, il corpo da sfruttare fin che serve alla produzione o al piacere padronale. La bellezza del corpo come segno dell’ideale, la sua bruttezza come segno di inferiorità, anche morale.

Destra e sinistra

Diffusori e araldi del corpo come potere sono stati, di volta in volta, la politica (sia di destra che di sinistra: il corpo ariano esaltato da Leni Riefenstahl e i corpi proletari muscolosi nei manifesti comunisti degli anni Venti e Trenta), la religione (il corpo rigoglioso o macilento del Cristo, il corpo perfetto degli angeli e di Maria, i corpi dei martiri), l’arte, lo spettacolo, la medicina e perfino la matematica (l’idea del corpo “sano e normale”, il corpo come microcosmo, il canone come proporzione e norma).

Un intero castello culturale, variabile nel tempo e secondo i luoghi, ha individuato nel corpo (sessuato) il riassunto di una visione ordinata e gerarchica del mondo, la riflessione del genere umano sul proprio rapporto con leggi che lo trascendono (è convinzione dei sapiens di essere i soli animali che percepiscono il proprio corpo come un messaggio). La connessione del corpo con il potere e con l’ingiustizia ha provocato, in vari momenti della cultura, reazioni che tendevano a negare o a limitare l’importanza del corpo (iconoclastia, divieto di rappresentare la divinità, digiuno cataro, anoressia delle sante, filosofie spiritualiste o esclusivamente logico-razionaliste). 

Percezione ambigua

In occidente, da almeno una cinquantina d’anni, la percezione del corpo è stata messa fortemente in discussione, proprio perché si è riconosciuto nel corpo un oggetto terribilmente ambiguo e socialmente rischioso: presentandosi come la cosa più ‘naturale’ e democratica che ci sia (tutti abbiamo un corpo, tutti o quasi lo sperimentiamo come strumento gratuito di piacere, nulla è più naturale che sdraiarsi col proprio corpo al sole), nasconde nel proprio nodo significante una grande quantità di esclusioni e di soprusi. Il corpo delle donne, il corpo dei “diversi”, il corpo dei neri, il corpo dei disabili, insomma il corpo che non corrisponde al modello (supposto maggioritario) del maschio bianco standard, è stato sottoposto più o meno apertamente a usi e pratiche che puzzavano di potere imposto e subito.

Decostruire

AP

È cominciato, giustamente, un processo critico teso a decostruire le concrezioni fossili di questo potere, tanto più operante quanto meno visibile e identificabile.

Dall’apparente ovvietà del maschio che espone ingenuamente il proprio corpo “presidenziale” o bellico, in giacca e cravatta o tintinnante di medaglie, dalla derisione di ogni maschio effemminato e di ogni donna mascolina (lesbica o inchiavabile), dalla dittatura più subdola dell’uomo comune che percepisce come sottilmente gay l’uomo che allena troppi muscoli in palestra, fino alla signora che si alza dal proprio posto in metropolitana se le si siede accanto un uomo nero (“legittima difesa del mio olfatto”), o all’operaio lombardo che si rifiuta per principio di fare la doccia insieme al compagno di lavoro senegalese (“meglio evitare i confronti”), o alla famiglia che si scandalizza se una ragazza senza braccia e con cicatrici sul viso è scelta per uno spot televisivo (“stiamo mangiando”), o all’allegrotto che contento per la vittoria della propria squadra dà una pacca sul culo della giornalista (“beh, se lo metti proprio sulla mia strada…”).

Corpo woke

Con nomi generalmente inglesi si è cominciato a condannare ogni tipo di comportamento che considerasse il corpo dell’altro come difettivo o puramente ricreativo o inferiore. Il canone, qualunque canone di bellezza è stato preso di mira in quanto colpevole di essere normativo, escludendo quindi le persone empiriche che da tale canone si discostano: ogni corpo è bello a modo suo.

Anche la distinzione tra corpi maschili e femminili, che era sempre stata un asse indiscusso, viene ora messa in causa: a partire dalla presa in giro dello iato estremista nell’Ottocento borghese occidentale (la redingote e il vitino di vespa), ma in fondo propugnando una fine della differenza (la donna coi baffi, il maschio che partorisce, la donna che non mestrua).

Il meglio, sembrerebbe dirci la cultura woke, sarebbe non definire il corpo nei suoi tratti esteriori, lasciando alla libertà di ciascuno di presentarlo come vuole e di sentirsi offeso se giudicato; come se il corpo non esistesse o come se fosse malleabile e trasformabile a piacimento, utilizzando tutte le variabili anche statisticamente trascurabili della biologia.

Mentre in altre parti del mondo i divieti producono l’ossessione per il corpo, da noi l’assoluta autodichia corporale sembrerebbe portare al chissenefrega.

Sempre più visibile

La cosa strana è che invece mai come in questo periodo della cultura occidentale si è parlato tanto del corpo: lungi dal divenire invisibile, il corpo sia maschile che femminile sta conoscendo un’enfasi di visibilità. È tutto un mostrarsi e un essere guardati, nelle minuzie della moda e del trucco. I maschi stanno diventando più visibili delle femmine, tra unghie dipinte e tatuaggi, sopracciglia finte e abbigliamenti vistosi. È quasi come se il nuovo gender fluid volesse supplire alla eccentricità vestimentaria e varietà corporea che sembra invece sparita dai nuovi gay “normalizzati”.

Come e in chi si manifesta, in questo panorama mutato, il Potere? Come al solito, ha una natura bifronte: da una parte eccita la rivincita reazionaria dei nostalgici di una distinzione netta (“l’omo è omo, la donna ha da esse femmina”), con rigurgito di violenze esercitate da chi parifica il corpo fluido con quello negro o zingaro o con quello del sesso mercenario – si picchiano con il medesimo piacere le prostitute beccate a far casino, i neri che manifestano nei campi di pomodori, i maschi con camicetta traforata che camminano tenendosi per mano o la lella vestita da camionista, per non parlare dei trans di tutte le specie. Il corpo “decostruito” diventa un corpo di vittima.

Esigenza normativa

Ma c’è un altro meccanismo, certo meno strutturale ma più interessante da seguire perché meno ovvio. È quello per cui il corpo mediatizzato e aderente ai nuovi stereotipi progressisti diventa a sua volta un modello che protesta la propria esigenza normativa.

Chiunque veda un reality in televisione, o vada in una discoteca alla moda (per esempio, a Milano, quella che porta il nome profetico di “Tempio del futuro perduto”) non ha difficoltà a rendersi conto che i corpi dei concorrenti o dei frequentatori sono tutti, o quasi tutti, “pronti per il selfie”. Labbra irreali, zigomi preoccupanti, chirurgia che enfatizza i lineamenti, abolisce il tempo e attenua le differenza di genere – mentre il discorso dominante è quello ‘moderno’ del corpo libero di esprimersi.

I giovani sui social

Grazie alla diffusione dei social network, questo corpo-sopra-le-righe sta diventando quello più diffuso (e quasi obbligatorio) tra chi vuole fare del proprio corpo la propria carriera. Sta nascendo, anzi è già nata, una categoria di giovani che campa non svolgendo di fatto nessun lavoro che non sia mostrare il proprio corpo ottenendo commerciabilità grazie a quello. Si spostano, con fortune e periodicità diverse, da un social dove contano su molti follower (e dove aziende li finanziano per averli come testimonial) a un reality che li renda abbastanza “famosi” per poter partecipare a un futuro reality-vip.

Nell’orizzonte di una disoccupazione crescente, parecchi di loro non possono contare su alternative decenti, il che li rende succubi di conduttori e produttori cinici se non sadici che li convincono di avere, oltre al corpo, anche dei “sentimenti”, coi quali possono “creare delle dinamiche” e “realizzare sé stessi”. Vengono duramente puniti se osano infrangere il codice della correttezza woke, anche se il loro corpo grida “obbedisco perché ho bisogno di svoltare”. Sono loro, dal loro basso grado di consapevolezza, che rischiano di ridurre il grande progetto di decostruzione a una nuova forma di normatività for dummies.

E così il corpo-della-vittima può diventare (in una bolla per ora quasi solo limitata allo spettacolo, ma in via di espansione) uno strumento di potere su anime semplici in cerca di identità. Un potere in qualche misura passivo, il potere di farsi scegliere: come quello di cui da oltre un secolo cercano di liberarsi le donne. In realtà è un corpo espropriato dalla tecnologia, come quello di chi si guadagna da vivere esponendosi (semi)nudo su Onlyfans.

Virtualizzazione

A questo proposito, ci sarebbe forse un’ultima considerazione da fare, sul corpo che sta diventando sempre più virtuale: i corpi su cui dirigiamo i nostri desideri sono sempre più spesso corpi “rappresentati” in foto o in video. O tridimensionali, olografici, o addirittura inesistenti nella realtà e fabbricati da un qualche operatore di intelligenza artificiale.

Molti giovani dichiarano di trovare soddisfacente il sesso online: il corpo è verbalizzato oltre che essere rappresentato dalla propria immagine. Spesso si preferisce non incontrare mai dal vero il corpo verso cui si dirige il desiderio.

Da qui il passo non è poi lunghissimo per arrivare all’idea di un corpo “aumentato”, reso più performante dall’inserto di chip tecnologici o dall’impianto di reti neurali direttamente collegate a un computer; l’immaginario è quello fantascientifico dei fumetti e dei cyborg. Un’intera estetica pretende l’egemonia fondandosi su quello che già trent’anni fa Mario Perniola chiamava il sex-appeal dell’inorganico. Un corpo autocostruito a piacere.

Per i vecchi (etero e gay) che hanno vissuto il Novecento ossessionati da iper-corpi immaginari che loro scambiavano per il massimo della carnalità (i bodybuilder, le pin-up), è un buon insegnamento su come il corpo possa diventare un sogno paranoico di Potere, una proiezione di miseria che si crede ricchezza.  


Testo scritto per Multipli forti, festival sulle maggiori tendenze letterarie della narrativa italiana del nostro tempo presso: l’Istituto Italiano di Cultura di New York, Il Center for Italian Modern Art (CIMA), Casa Italiana Zerilli Marimò, il Rizzoli Bookstore a New York e Il Consolato Generale d’Italia, il Chilton Club e la libreria I AM books a Boston.  Con Cristina Ubah Ali Farah, Viola Di Grado , Claudia Durastanti, Marcello Fois, Antonio Franchini, Fumettibrutti, Anna Maria Gehneyei(in arte Karima 2G), Djarah Kan, Ginevra Lamberti, Antonella Lattanzi, Chiara Marchelli, Antonio Monda, Valeria Parrella, Enrico Pellegrini, Walter Siti, Chiara Tagliaferri, Nadeesha Uyangoda, Chiara Valerio, Giorgio Vasta con Ramak Fazel, Simona Vinci.

   

      

               

       

           

   

     

  

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