Alla fine eravamo rimasti in pochi in città. Ci conoscevamo tutti, noi che avevamo le stesse idee. Eravamo una sorta di cellula segreta. Un vecchio professore, che chiamavamo il Dottore, era per noi un esempio, insegnava russo e inglese ed era di ampie vedute. Sapeva distinguere le diverse qualità di vodka, per non parlare di birre e vini. A noi giovani questo non veniva così bene, visto che non avevamo mai avuto molta scelta, quindi ci bevevamo le storie del Dottore.

«Non ho smesso di bere nemmeno nelle circostanze più difficili» diceva.

Questo posso dirlo anche io oggi, dopotutto.

Un sistema occidentale

Sotto i russi si beveva bene, raccontava il Dottore. Sono stati periodi liberali, voglio dire da noi.

E qualcosa si è pure conservato dopo. C’erano quelli che sembravano ortodossi, ma bevevano in segreto. Noi, però, eravamo più audaci, eravamo un pugno di radicali e, ovviamente, si venne a sapere. Bevevamo sempre di più, forse pure per protesta. Comportandoci così, era chiaro che eravamo pro occidente. Dissidenti, come si suol dire. Giusto perché tu sappia, da noi l’alcol era ufficialmente proibito, dal regime che gli americani stessi hanno aiutato a far salire al potere. Una sorta di democrazia ma senza l’alcol. Con i russi era diverso, è stato il nostro sistema più occidentale.

Sì, tu ridi, ma è stato il nostro sistema più occidentale, anche per quanto riguarda le donne e il resto.

Non ci credi? Vedo che non sai nulla del mio paese. Proprio come questi qua dell’Ufficio per la concessione dell’asilo politico.

Guarda, gli americani prima hanno supportato quelli che vietavano tutto… i mujaheddin, perché erano contro i russi, lo sai? E perché combattevano contro i russi? Perché i mujaheddin erano contro l’occidente, l’alcol e le donne. Con loro niente alcol. Le donne a casa. Però, vedi, gli americani li hanno supportati perché loro erano contro i russi, anche se i russi per noi erano l’occidente, quindi da noi gli americani erano contro l’occidente – e ovviamente che vuoi fare, devi bere in una situazione del genere.

Gli americani erano disposti persino a stare dalla parte di quelli che non permettevano di bere, fondamentale era che non si instaurasse il socialismo… E così è andata, ci sono riusciti, era la cosa più importante per loro. Mentre gli sono sfuggiti altri dettagli. Li hanno lasciati a me.

A te fa ridere, ma io quando penso a tutto questo, devo bere qualcosa.

Sempre la stessa guerra

Forse i russi avrebbero anche sistemato i fondamentalisti se non ci fossero stati gli americani. Il Dottore ha continuato a rimproverare fino alla morte agli americani di aver aiutato i fondamentalisti a salire al potere. Gente così fuori di testa da riportare tutto all’antico zero perché noi nelle città ci comportavamo già diversamente.

È bene che tu sappia qualcosa sul mio paese, per questo cerco di spiegarti un po’. I russi non arrivarono così come un fulmine a ciel sereno. Prima dei russi governavano i comunisti locali, ma c’erano due fazioni politiche che si contendevano molto seriamente il potere, te lo immagini? Gli atei locali, fazioni in lotta. Una delle due chiamò i russi.

Voglio dire, c’era gente, molta gente come me. Persone liberali che bevevano, all’epoca non eravamo una minoranza come invece siamo oggi dopo tutti questi anni di persecuzione… E se almeno adesso ci inquadrassero come una tra le minoranze. Nemmeno questo diritto riusciamo a ottenere. Potrebbero anche sterminarci e l’Onu non se ne accorgerebbe. L’ordinamento internazionale considera i popoli, noi siamo una minoranza tra i popoli. Solo perché siamo liberali, voglio dire, perché beviamo.

Ma va bene, per tagliare corto, i russi si ritirarono e vinsero questi, con l’aiuto degli americani, che non si preoccupavano di quello che sarebbe accaduto dopo. Poi da questi che vietavano il bere nacquero i terroristi, iniziarono a dare fastidio anche agli americani e quindi gli americani dovettero sistemare i terroristi perché, ovviamente, non c’erano più i russi a occuparsene e gli americani dovettero dunque portare avanti la guerra comunista russa contro i terroristi. Per me l’occidente sono i comunisti, i russi e gli americani, è sempre la stessa guerra. Devi solo guardarla dal mio punto di vista. Vedi tutta questa roba? Come si fa a non bere! Ovviamente io sono pro americani. Oppure pro russi, è lo stesso. Solo che ricordo la vita con i russi grazie alle storie del Dottore, perché allora ero molto giovane, immagino che questo ti sia chiaro.

Dopotutto io e i miei simili attendevamo gli americani come una salvezza.

E poi gli americani ci occuparono e noi, ovviamente, speravamo che sarebbe stato almeno come era sotto i russi, se non addirittura meglio. Voglio dire, noi che beviamo e i nostri simpatizzanti. Gli americani avrebbero dovuto portarci la democrazia, e per di più sostenevano di non volersi immischiare nel nostro stile di vita. Fu una pesante delusione per noi dissidenti, non riuscivamo a crederci. Dopo tutto, capisci. Non era il vero occidente, ma una sorta di democrazia in cui non si poteva bere.

Ecco come andò. È normale poi che devi bere quando consideri tutto questo.

Giorno e notte

Va detto però che sotto gli americani era più facile reperire l’alcol, almeno in questo abbiamo fatto un progresso, il contrabbando era ben sviluppato, e se per caso ti beccavano comunque riuscivi a tirarti fuori in qualche modo prima di arrivare al processo, la cosa si risolveva, perché la corruzione era ben avviata, per fortuna.

Ebbi la buona sorte di provenire da una famiglia ricca, ho studiato pure, come vedi. Noi bevitori siamo un’élite, che vuoi farci.

Ma il governo democratico di nuovo entrò in crisi e intorno alla mia città, sui monti, si radunarono di nuovo quelli che vietano tutto e fanno quel che gli pare quando scende il buio.

Cioè, chi governa di giorno non governa di notte, capisci.

Anche mio fratello si era unito a loro sui monti. Mio fratello di sangue, sai. Questo in effetti mi ha distrutto. Quando compresi che il mio fratello più giovane si era unito a loro, pensai che la ribellione fosse inutile, che non sarebbe più stato possibile sistemare le cose. Forse ai tempi dei russi si sarebbe potuto, ma a quel punto era troppo tardi.

Non ho smesso di bere, ma ho perso la speranza.

A ogni modo, la mia vicenda ha un suo sviluppo che nessuno capisce. Non posso spiegarlo agli impiegati per il riconoscimento dell’asilo politico. Non hanno conoscenza del contesto storico. Adesso, mi pare di capire, ti è chiaro il perché. E mi sembra pure che rivedrò di nuovo il mio Hajvan.

Funerali

Tu pensi che dovrei raccontare la mia vicenda senza il contesto storico? Concentrarmi solo sulla fine? E va bene, sei tu l’avvocato… Dunque: la fine arrivò quando gli americani lasciarono tutto nelle loro mani… Nelle mani di coloro che prima avevano sostenuto, poi provato a distruggere e infine abbandonato… Voglio dire, fu la fine della fine. Ma io ero partito prima, mi ci è voluto molto tempo per arrivare fin qui…

Aspetta che faccio un salto, allora, accadde prima che scappassi, prima che gli americani se ne andassero: morì mia madre, aveva tribolato con un cancro per un paio di anni e io non sapevo se mi sentivo sollevato perché era morta o se avevo già consumato tutta la tristezza.

Al funerale venne anche il mio fratello più giovane che era già sui monti con i talebani. Lo videro tutti, ma nessuno lo denunciò, un po’ perché avevano paura e un po’ perché gli era morta la madre. Nostro padre era stato ucciso ancora prima, aveva messo il piede su una mina mentre stava raggiungendo un villaggio, era un veterinario, una delle persone più istruite della zona, era sceso dalla jeep sulla quale viaggiavano, voleva appartarsi perché doveva pisciare, perché c’era una donna in macchina, e così era entrato in un campo minato non segnalato e, insomma, era morto dissanguato sulla strada per l’ospedale.

Scusa, questo succedeva prima, ma dovevo rac­contarlo.

Durante il funerale di nostro padre, mio fratello mi guardava come se fossi un secondo padre, era ancora un ragazzino. Invece dopo anni di quella nostra democrazia e dopo il funerale di nostra madre, ci trovammo seduti in casa, lui e io, e io riflettevo sul fatto che non ero riuscito a educarlo, non ero riuscito a influenzarlo positivamente, in ogni caso però ero il fratello maggiore e di certo non mi sarei nascosto davanti a lui… Una volta andate via le nostre sorelle con i propri mariti, tirai fuori e misi sul tavolo una bottiglia di whisky, perché ero a casa mia e avevo bisogno di bere, avevamo seppellito nostra madre e in qualche maniera era tutto finito.

Lui mi scrutava mentre bevevo il whisky, con calma, con un po’ di acqua, allora io gli dissi: «Ecco, siamo rimasti soli».

Mi guardò duramente, tutto rabbuiato rispose: «Devi andartene».

Non mi aveva proprio sorpreso, ma domandai: «Perché?».

«Lo sai bene» rispose. «Si sa tutto. Sai bene che sei stato amico degli americani, che frequentavi i bar dei militari, forse hai pure fatto la spia, io credo di no. So che ci andavi solo per l’alcol, ma gli altri non ci credono… E sai anche che hai venduto di contrabbando l’alcol ad altri».

«Lo vendevo agli amici. Non me lo regalavano mica, non potevo darlo gratis» mi giustificai. Avrei voluto aggiungere: «Anche loro lo vendevano a me», ma poi pensai che avrei potuto creare problemi a qualcuno.

«Te lo dico, perché so che cosa ti aspetta: esistono delle liste, tu sei sulla lista, però sei mio fratello» mi disse. «Ho chiesto loro: lasciatelo stare fino a quando è viva nostra madre» concluse.

Vedevo che gli era difficile pronunciare quelle parole.

Anche la mia gola si era chiusa, di nuovo mi aveva invaso la tristezza per la mamma.

Allora mi avvicinai e gli misi una mano sulla spalla: «Va bene, salutiamoci, almeno per nostra madre».

E ci abbracciammo lasciandoci scappare un gemito.

Poi ci separammo rapidamente e tornammo a sedere.

Un gatto e un bicchiere di whisky

Mi aveva detto quelle cose per il mio bene, perché sapeva che ero un bersaglio. Riflettevo seduto in casa mia che, notavo, già non era più mia. E sicuramente davo fastidio anche alla sua reputazione, lo mettevo in imbarazzo, per questo voleva che me ne andassi.

O magari, se fossi rimasto, avrebbe dovuto arrestarmi lui, forse anche torcermi il collo, perché loro amano quando i familiari regolano i conti tra di loro. Non so, devo dirti la verità, ci riflettei allora e anche durante il viaggio ci rimuginai sopra, non so cosa pensava davvero e cosa doveva fare.

«Non ho scelta se non bermi questo whisky stasera e poi mettermi in viaggio, eh?».
Lui mi guardava, voleva fare il duro, eppure ero la persona a lui più vicina, aveva saltellato con me per tutta la sua infanzia, e ora mi cacciava. Intravidi un’ombra di tristezza, forse pure un riflesso di vergogna rattrappita, negli occhi.

«Ma magari tu vuoi liberarti di me così sarà tutto tuo» dissi per punzecchiarlo.
«No» rispose offeso.
«Come posso saperlo?» domandai.

Lui sollevò il mento, mi guardava dall’alto, perché lo avevo spinto così in basso.
«Se vado via, come farò a saperlo?».

Rifletté, poi cupo concluse: «Quel che è tuo resterà tuo. Diamo in affitto ai parenti la casa e la terra. Io non ne ho bisogno ora. Ti manderanno la metà dell’affitto. Poi vedremo chi di noi due sopravvivrà».
In quel momento riconobbi dentro di lui le tracce di mio fratello.

Se nostro padre non fosse morto, forse sarebbe stato diverso con lui. Era un bambino vivace, però mi ascoltava. In seguito era diventato un ragazzo forte con un esubero di energia. Qualche volta aveva bevuto con me e l’alcol lo faceva andare fuori di testa. Non gli avevo più dato da bere, anche se voleva. Avevo notato che non era maturo per farlo.

Pensavo che la cosa migliore fosse che si sposasse, ma non mi ero messo a cercargli una ragazza. Ritenevo che dovesse scegliere da solo. Ma non l’aveva fatto.

In seguito ho capito che nutriva del rancore nei miei confronti. Aveva bisogno di disciplina e si era rivolto a coloro che promettevano l’ordine. Di fatto lui voleva solo essere una persona per bene e in regola.

Pensai anche che, se non me ne fossi andato, mi avrebbe potuto pure uccidere. Se poteva uccidere me, figuriamoci quanto gli era facile con gli altri. Ma non gli domandai nulla al riguardo. Siccome voleva essere bravo e in regola, sicuramente era bravo anche in questo.

Hai un fratello e non hai un fratello: questa è la mia terra.
Hai un fratello e non hai un fratello. È buono e mi uccide. Perché se fossi buono io, non lo sarebbe lui. La questione è chi di noi due è buono.

Ma questa domanda fu risolta semplicemente con l’evidenza che lui aveva le armi e io no.
«Va bene» dissi.

Poi lui scomparve nella notte, io continuai a bere whisky e a fumare guardando la mia casa e prendendo commiato da ogni oggetto. Allora il gatto, che era rimasto a sonnecchiare nel suo angolo mentre noi parlavamo, si avvicinò e iniziò a girarmi intorno alle gambe.

«Hajvan, amico mio, hai visto che cosa succede qua» gli dissi.
«Lo vedi, amico mio… E adesso che ne farò di te, Hajvan?».
Lo carezzavo e bevevo il whisky in quella che era stata la mia casa, in silenzio.


Il testo dello scrittore croato Robert Perišić è incluso nella raccolta di racconti che era uscita con successo negli Stati Uniti, Disastri esistenziali e spese folli (destando l’entusiasmo di molti e fra gli altri di Jonathan Franzen). Il libro arriva adesso anche in Italia, da Bottega Errante Edizioni, in anteprima a Pordenonelegge, sabato 16 settembre: l’autore dialogherà con Federica Manzon.

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