Le due mostre attualmente dedicate in Italia a Olafur Eliasson costituiscono una buona occasione per approfondire il lavoro di un artista che ha assunto un posto di rilievo nel panorama internazionale per la non comune capacità di inglobare scienza, ecologia, architettura, filosofia e design nella sua ricerca estetica. La prima di queste mostre, allestita a Firenze a Palazzo Strozzi (fino al 23 gennaio) comprende sia opere storiche che nuove produzioni realizzate appositamente per gli spazi del palazzo, sfruttando le caratteristiche architettoniche dell’edificio rinascimentale. La seconda, alla Manica Lunga del Castello di Rivoli (fino al 26 marzo), presenta opere appositamente realizzate.

Esperienza immersiva

A Firenze, Eliasson ha tra l’altro realizzato espressamente tre installazioni che prendono vita grazie alle grandi finestre di palazzo Strozzi che, attraversate dalla luce di fari posti dall’esterno, proiettano sulle pareti interne o su schermi, direttamente o attraverso un gioco di specchi, delle griglie luminose che alterano la percezione dell’ambiente.

Ci si ritrova a vivere un’esperienza immersiva in cui la percezione dell’opera cambia a seconda di come ci si muove all’interno dello spazio espositivo, quasi ci si trovasse all’interno di una bolla spazio-temporale. Allo stesso modo, a Rivoli, i vetri della Manica Lunga del castello sono schermati con una particolare pellicola che fa percepire il paesaggio in un eterno notturno. Accade così che anche di giorno il sole ci appaia come una luna piena che irradia una luce tenue. Qui, all’interno del lungo e ampio corridoio oscurato, che fa da locale espositivo, tre grandi caleidorama – così definiti dallo stesso artista – mostrano su diversi schermi e pellicole specchianti, scomponendo la luce in colori, il profilo di onde d’acqua in continuo movimento. L’effetto è creato dal riflettersi delle increspature dell’acqua contenuta in delle vasche che si inclinano lentamente grazie a dei congegni meccanici. Non c’è l’idea di creare l’illusione di qualcosa di misterioso. Dall’altra parte dello schermo viene tutto svelato: vediamo la vasca, il movimento dell’acqua, il proiettore, gli specchi cui si deve l’artificio. La messa a nudo del complesso meccanismo che genera la visione dell’onda luminosa evidenzia la complessità degli studi scientifici necessari per ottenere il risultato cercato, esplicitato dal titolo della mostra, Orizzonti tremanti, curata da Marcella Beccaria.

Un approccio scientifico

Eliasson è nato a Copenaghen da genitori islandesi. La sua biografia racconta che ha trascorso molto tempo con il padre in Islanda, dove continua ad andare periodicamente. Com’è noto, in alcuni mesi dell’anno, nei paesi scandinavi è possibile assistere a un fenomeno ottico mutevole che si manifesta nell’atmosfera, l’aurora boreale. Sopra una certa latitudine si hanno poi lunghi periodi in cui non c’è alternanza tra luce e buio.

Un’altra caratteristica di quelle aree geografiche è il prevalere del paesaggio selvatico sulle aree abitate, condizione che favorisce un forte rapporto con la natura, con i suoi fenomeni e i suoi elementi. Eliasson ha sin dagli esordi manifestato interesse per gli eventi naturali e per la loro potenziale traduzione in opere d’arte non illustrative. Si è così accostato ai fenomeni ottici con l’attitudine dello scienziato che ne sperimenta empiricamente, con l’aiuto di più o meno complesse attrezzature tecniche, le dinamiche fisiche e le potenzialità estetico-filosofiche.

Nel 1993, servendosi di una pompa d’acqua flessibile e di faretti, in un ambiente buio Eliasson ha mimato una cortina di nebbia su cui era possibile vedere un effetto arcobaleno mutevole a seconda della posizione da cui la osservava. La si poteva anche attraversare, a rimarcarne la dimensione immersiva e sensoriale dell’installazione. Beauty – questo il suo titolo – esprime un principio che ricorrerà nella produzione dell’artista: oltre che a essere percepita con lo sguardo, l’opera richiede che lo spettatore ne faccia esperienza con il corpo. Lo stesso artista ha spiegato che l’esperienza con l’opera d’arte è diversa per ognuno di noi, sicché lo spettatore diviene parte attiva dell’opera. Essendo cioè la percezione sensoriale corporea a determinare la tensione dell’opera, chi si trova a confrontarsi con essa ne diviene parzialmente artefice.

A rimarcare l’importanza che Beauty ha rivestito nella messa a punto della poetica di Eliasson, l’opera è presente nella mostra fiorentina, curata da Arturo Galansino. L’esperienza di Beauty sfocia due anni dopo, nel 1995, in Your Strange Certainty Still Kept. L’opera presenta goccioline d'acqua ottenute anche in questo caso con un tubo perforato, ma congelate a mezz'aria e illuminate con luci stroboscopiche. Da lì a poco l’interesse per gli effetti ottici diventa sempre più centrale nell’opera di Eliasson, che In Room for One Color (1997) illumina una stanza con luci a monofrequenza collocate al soffitto che, dando all’intero ambiente una colorazione gialla satura, annullano tutti gli altri colori, facendoli percepire come neri. Ricostruita a Firenze in una sala di Palazzo Strozzi, In Room for One Color indaga aspetti inerenti all’alterazione percettiva, che in questo caso si protrae anche una volta fuori dalla stanza. Per qualche istante, infatti, superata l’area di luce gialla, ci accompagna una leggera dominante blu.

Che la ricerca di Eliasson sia indirizzata allo studio dell’esperienza sensibile che coinvolge il corpo appare subito chiaro entrando nel cortile di Palazzo Strozzi, dove ad accogliere lo spettatore è Under the weather, una installazione site specific costituita da una grande struttura ellittica di 11 metri sospesa a 8 metri d’altezza, al cui interno si trovano delle griglie sovrapposte con diversa angolazione. Muovendosi sotto questa struttura ellittica e alzando la testa lo spettatore percepirà un’interferenza visiva del tutto simile al fuori registro, il cosiddetto effetto moiré.

La tradizione di Nauman

L’idea di mettere in gioco il corpo, tanto da farlo diventare parte attiva non solo nella percezione dell’opera, ma anche per la sua stessa esistenza, si colloca all’interno di una tradizione modernista che trova nella seconda metà del XX secolo dei punti fermi nel lavoro di Bruce Nauman (1941, Indiana, USA), in quello di James Turrell (1943, Los Angeles) e in quello di Anish Kapoor (1954, Mumbai). Un filo rosso collega le due esposizioni di Eliasson alle recenti mostre di Bruce Nauman a Punta della Dogana a Venezia e al Pirelli HangarBicocca a Milano, e di Anish Kapoor alle Gallerie dell’Accademia e a Palazzo Manfrin a Venezia (a cura di Taco Dibbits e Mario Codognato). Di Nauman si è da poco conclusa a Venezia la mostra Bruce Nauman Contrapposto Studies, a cura di Carlos Basualdo, Katherine Sachs e Caroline Bourgeois. È invece ancora possibile visitare la mostra Bruce Nauman Neons, Corridor & Rooms, allestita a Milano (fino al 26 febbraio), a cura di da Roberta Tenconi e Vincente Teodolì.

Sul finire degli anni Sessanta, Nauman, come Turrell, ha dato un forte contributo a una concezione dell’arte che alla rappresentazione sostituiva la partecipazione, conducendo a un radicale assottigliamento tra soggetto (lo spettatore) e oggetto (l’opera-ambiente, sovente intesa come scultura, in quanto capace di modificare la qualità sensoriale dello spazio). Nel 1968, Nauman ha realizzato un’installazione costituita da un registratore posto all’interno di una stanza vuota di tre metri per tre. Attraverso altoparlanti nascosti la sua voce ripeteva ossessivamente la frase «Get Out of My Mind Get Out of My Room» (uscite dalla mia mente, uscite dalla mia stanza) a chiunque entrasse in quell’ambiente, concepito come una scultura, cioè come un volume con precise caratteristiche formali.

Un anno dopo Nauman ha realizzato Performance Corridor, scultura-ambiente composta da due semplici pareti in legno poste a poca distanza l’una dall’altra. Dopo aver personalmente sperimentato e filmato le sue reazioni all’interno dell’angusta struttura di legno, Nauman ha ricostruito lo stesso corridoio in galleria, dove chiunque poteva entrare fisicamente, divenendo egli stesso, con le sue reazioni claustrofobiche, il performer che legittima l’opera.

Nauman ha realizzato diverse versioni di Corridor, sempre rimanendo ancorato allo spazio angusto creato dalle due pareti ravvicinate. Oltre alle versioni con luce naturale, ne ha realizzate altre alle quali ha aggiunto ora luci fluorescenti colorate, ora specchi capaci di disorientare i visitatori, ora videocamere a circuito chiuso che permettono di prendere atto del proprio comportamento quando si scopre di essere registrati e controllati. Tra le sue tante sculture ambientali c’è Black Marble Under Yellow Light, ambiente realizzato per la prima volta nel 1981 e riproposto al Pirelli HangarBicocca. In questo caso l’artista ha invaso l’ambiente di luce gialla, modificando così la percezione dello spazio, che include blocchi di marmo nero di due dimensioni diverse, disposti a terra in modo da formare una x. Nauman non ha mai dato una spiegazione di Black Marble Under Yellow Light. L’illuminazione fluorescente, che ricorda quella notturna degli scali ferroviari o delle gallerie autostradali, è in qualche modo spiazzante e alienante. Alimenta una sensazione di solitudine. Queste esperienze possono essere rivissute nella mostra attualmente allestita a Milano.

Stimolare le percezioni

Da parte sua James Turrell, artista e architetto, genera nelle sue installazioni la sensazione di rendere tangibile il vuoto attraverso pareti bucate, finestre o sipari allestiti in locali bui o inondati di una luce colorata che assume diverse gradazioni o che si contamina con altri colori, generando delle forme geometriche. Lo stesso artista ha dichiarato che il suo lavoro è incentrato più sulla percezione dello spettatore che “sul proprio vedere”, con l’obiettivo di creare uno spazio capace di essere avvertito a livello fisico, come se si potesse toccare.

L’esperienza di Turrell ha poi trovato sbocchi inediti nell’opera di Kapoor, che già agli inizi degli anni Ottanta ha presentato dei blocchi scultorei su cui ha aperto dei varchi dei quali non si riesce a percepire la profondità. Di un’installazione permanente di Turrell è possibile fare esperienza a Villa Panza, a Varese, dove si trovano tra l’altro in permanenza gli ambienti creati con luce al neon da Dan Flavin (1933, New York) e da Robert Irwin (California, 1928), artisti anche questi che richiedono allo spettatore di vivere l’esperienza sensoriale immergendosi totalmente nell’opera. Nel testo nella monografia di Eliasson pubblicata da Tate di Londra, nel 2013, Marcella Beccaria, curatrice della mostra di Rivoli, racconta che nel 1991, interessato al lavoro degli artisti della West Coast che operano nell’ambito della Light and Space Art, Eliasson andò a New York espressamente per vedere un’esposizione di Robert Irwin.

Questi artisti hanno stimolato nello spettatore meccanismi di percezione visiva, psicologica e fisica. Newman in particolare ha indirizzato le proprie riflessioni sulle emozioni e sugli stati psicologici più nascosti, sulla paura del dolore, sull’alienazione e sulla solitudine. Da allora molti suoi lavori contengono asserzioni, richieste e ordini che mirano a creare una relazione diretta con le persone, le quali si sentono in qualche modo spinte a reagire. Nauman ha così contribuito a sottrarre l’arte al concetto di rappresentazione facendo allo stesso tempo cadere, nella percezione dell’arte visiva, ogni distinzione tra guardare con gli occhi e partecipare con il corpo.

Arte ecologica

È a partire da queste esperienze, sempre filtrate da un approccio scientifico, esperienze che hanno assunto una prospettiva diversa anche nell’opera di Anish Kapoor, che va affrontata l’opera di Eliasson, nella coscienza che l’arte è un continuo divenire generato dall’arte stessa.

Eliasson ha elaborato la propria ricerca a partire dall’osservazione della natura, inglobando, in alcuni casi, come Turrell e Kapoor, il cielo nella sua opera. Quest’idea di interazione o continuità tra ambiente esterno e interno è un tratto caratteristico del suo lavoro. Nella mostra realizzata nell’estate dell’anno scorso alla Fondazione Beyeler, a Basilea, ha fatto rimuovere le vetrate esterne dell’edificio in modo da far entrare l’acqua del laghetto antistante nelle sale espositive. E, con l’acqua, all’interno della Fondazione si è insinuato l’ecosistema di piante, insetti e altri animali che vivono normalmente all’interno o in prossimità dell’acqua. In quell’occasione l’acqua era stata colorata di un verde brillante con uranina, un sale fluorescente, atossico, normalmente utilizzato per individuare le correnti marine. Eliasson diede vita così a una perfetta continuità tra l’ambiente esterno e l’ambiente interno, che si poteva attraversare grazie a passerelle di legno appositamente studiate. Per la realizzazione di questa grande installazione, intitolata Life, si dovette rimuovere e impermeabilizzare il pavimento.

Il riferimento costante a temi ecologici ha fatto sì che nel 2019 Eliasson sia stato nominato Goodwill Ambassador per le energie rinnovabili e l’azione per il clima dal Development Programme delle Nazioni unite. Riconoscimento meritato, soprattutto se si pensa che dal 2012, in collaborazione con l’ingegnere specializzato in energia solare fotovoltaica Frederik Ottesen, ha dato vita a Little Sun, impresa sociale che produce e distribuisce lampade solari che favoriscono l'accesso all'energia pulita e sostenibile. Little Sun ha dato un contributo concreto ai problemi che affliggono le popolazioni più povere distribuendo agli abitanti dell’Africa sub-sahariana 500mila lampade solari Solar Light. Il passo successivo è stata la realizzazione di Little Sun Diamond, un’ulteriore piccola ma potente lampada solare con cinque ore di autonomia. La luce a energia solare, spiega il progetto, vuole essere un’alternativa alle pericolose ed energivore lampade alimentate a cherosene le cui emissioni sono dannose per la salute. In questo progetto l’impegno di Eliasson si è concretizzato inoltre anche nel dare supporto e finanziamenti a 600 piccoli imprenditori africani per produrre luce solare fotovoltaica.

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