Lo abbiamo sentito sulla nostra pelle, Copernicus lo ha confermato: giugno 2025 è stato il mese più caldo mai registrato nell’Europa occidentale, il terzo a livello globale. Un settore più degli altri subisce le conseguenze di queste temperature: il comparto agricolo. La siccità è una costante della nostra penisola da ben prima dello scorso mese, e il cibo paga il prezzo di una crisi climatica inasprita anche da pratiche agricole insostenibili, che causano emissioni di gas climalteranti in atmosfera, inquinano suolo e falde acquifere.

Alcune colture più di altre, però, possono essere di aiuto per fronteggiare la situazione: le leguminose. Non solo resistono molto bene anche in contesti di crisi idrica, ma sono azotofissatori, cioè capaci di fissare l’azoto atmosferico nel terreno, fertilizzandolo grazie alla simbiosi con alcuni batteri nel suolo.

Le leguminose (dai ceci alle fave, dai fagioli ai piselli, ma anche arachidi e soia) apportano benefici all’ambiente, e alla nostra salute. Infatti, concentrati di nutrienti e a basso indice glicemico grazie all’elevato contenuto di fibre, la FAO li riconosce ottima fonte di proteine, ne evidenzia le potenzialità per ridurre il rischio di malattie cardiovascolari e, grazie all’elevato contenuto di sostanze fitochimiche e antiossidanti, le proprietà anti-tumorali.

Lenticchie non solo a Capodanno, quindi, ma anche d’estate in insalate, hummus e polpette. Dopo la seconda guerra mondiale, però, la produzione di legumi in Italia è precipitata a favore di colture più remunerative o foraggio per animali. L’import di legumi dall'estero supera il 90 per cento per alcune varietà che sono spesso coltivate intensivamente, permettendo prezzi al kg molto ridotti e in competizione con le produzioni nazionali, nonostante il lungo viaggio fino a qui.

Un aumento della produzione di legumi è auspicabile per favorire un’agricoltura dal minore impatto e un incremento della loro presenza sulle nostre tavole in un momento storico caratterizzato da un iper-consumo di proteine animali ben al di sopra di quanto raccomandato dalle linee guida nutrizionali.

Questo trend è stato trainato dall’intensificazione delle filiere alimentari, dove gli animali spesso sono in allevamenti sovraffollati senza adeguati livelli di benessere, e così stipati con le alte temperature patiscono ulteriori sofferenze. Benché sempre più studi confermino la necessità di ridurre il consumo di proteine animali, in particolare nei paesi ad alto reddito, il numero di capi allevati non accenna a diminuire, grazie anche a sussidi agricoli che tutelano il comparto zootecnico indiscriminatamente, a scapito di allevatori virtuosi.

Per questo Terra!, insieme a Greenpeace Italia, ISDE - Medici per l’ambiente, Lipu e WWF Italia, ha lanciato la proposta di legge “Oltre gli allevamenti intensivi”, assegnata proprio un anno fa, nel Luglio 2024, alla Commissione Agricoltura della Camera dei deputati e supportata da 23 parlamentari di cinque diverse forze politiche, per superare il modello industriale, e avviare una transizione agro-ecologica della zootecnia. Le realtà proponenti riconoscono il ruolo chiave dei Comuni, spesso vittime degli impatti ambientali e sanitari dei maxi allevamenti localizzati nelle vicinanze, e hanno messo a disposizione una mozione per gli enti locali per sostenere la proposta di legge. La transizione ecologica può e deve partire proprio dai territori, per riconvertire gli allevamenti intensivi in modelli più sostenibili e rispettosi, favorendo un sistema agricolo incentrato su biodiversità, benessere animale, salute pubblica e giustizia sociale.


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