Ha destato una certa sorpresa nel mondo della scuola la recente nomina di una commissione nazionale di esperti, alla quale il ministro Giuseppe Valditara ha affidato la revisione delle Indicazioni nazionali, tanto del primo quanto del secondo ciclo di istruzione.

Cosa sono 

Le Indicazioni hanno sostituito i tradizionali Programmi a partire dal 1997, grazie alla legge n.59, che ha riconosciuto l’autonomia delle istituzioni scolastiche. Non si è trattato di un cambiamento terminologico, ma sostanziale. Con l’autonomia, le scuole si sono viste attribuire una competenza progettuale rilevante.

La cultura centralistica che aveva caratterizzato il nostro sistema di istruzione fin dalle sue origini, è stata costretta a cedere il posto ad una cultura di valorizzazione delle realtà locali. Le scuole oggi sono chiamate a programmare il loro curricolo ponendo una grande attenzione alle attese, alle peculiarità, ai bisogni, alle risorse dei contesti territoriali nei quali operano. In questa nuova logica, le Indicazioni rispondono all’esigenza di garantire un punto di riferimento unitario, in una realtà scolastica che si è fatta molto differenziata.

A differenza dei tradizionali Programmi, però, le direttive delle Indicazioni devono essere essenziali, per evitare di reintrodurre attraverso la finestra ministeriale quel centralismo che l’autonomia ha messo alla porta. In altre parole, ciò che si richiede al ministero è di essere rispettoso dell’autonomia, evitando che i necessari riferimenti unitari si trasformino in una azione omologatrice.

Va anche detto che le Indicazioni, a differenza dei Programmi nazionali, non sono un documento destinato a durare a lungo, senza essere rivisto. Viviamo in una società caratterizzata da cambiamenti rapidissimi e continui, ad ogni livello, scientifico, tecnologico, economico, sociale, culturale. Una scuola attenta alla realtà deve essere sensibile alle trasformazioni in atto e preoccupata di aggiornare in maniera sufficientemente agile contenuti, metodi, organizzazione.

L’iniziativa di Valditara

Perché, dunque, l’annunciata iniziativa del ministro Valditara sta suscitando una diffusa preoccupazione? E perché questa preoccupazione, almeno al momento, sta riguardando in maniera tutta particolare la scuola di base, dall’infanzia alla secondaria di primo grado?

Le Indicazioni del 2012, emanate dall’allora ministro Profumo, sono frutto di un percorso molto partecipato, grazie al concorso della comunità scientifica, il confronto con le associazioni disciplinari, professionali e sindacali, e un’ampia e approfondita consultazione degli insegnanti. Le Indicazioni aggiornate nel 2018, sono apprezzate e costituiscono un solido punto di riferimento.

Di come la commissione intenderà procedere, non si sa molto. Al momento disponiamo di dichiarazioni frammentarie, che sembrano focalizzarsi soprattutto sull’insegnamento della storia e sulla questione dell’identità nazionale. Qualche traccia può offrircela il volume Insegnare l’Italia, una proposta per la scuola dell’obbligo (ed. Scholé, 2023).

Gli autori sono lo storico Ernesto Galli della Loggia e la professoressa Loredana Perla, designata quale coordinatrice della commissione istituita dal ministro Valditara. Il testo si mostra particolarmente critico nei confronti delle attuali Indicazioni Nazionali, ritenendo che prevalga una visione internazionale dei problemi, a scapito di un insegnamento focalizzato sull’Italia.

Si preferirebbe, inoltre, un insegnamento di carattere narrativo, fortemente connotato in senso pedagogico, che rivaluti testi classici quali Cuore, di De Amicis, o Pinocchio, di Collodi, capaci di stimolare emozioni positive e proporre valori importanti. Questo approccio desta molta perplessità, tanto che le associazioni degli storici hanno già fatto sentire la loro voce.

Si teme la riproposizione di un utilizzo pedagogico e moralistico della storia, quando non un suo uso politico, volto ad esaltare i valori dell’italianità. La scelta delle Indicazioni attuali è ben diversa. La storia è formativa non perché utilizzata impropriamente a scopi edificanti, ma in quanto disciplina rigorosa. Grazie ad un metodo che si basa sulle fonti e sulla loro analisi, sulla comparazione tra punti di vista diversi, promuove il pensiero critico ed è aperta al dialogo con le altre scienze.

Quello che preoccupa maggiormente è che si riveda, in senso identitario, quell’idea di cittadinanza che è il cuore delle attuali Indicazioni, una cittadinanza intesa a più dimensioni, locale, nazionale, europea e mondiale.

Un tempo la scuola ha avuto il compito di formare cittadini nazionali attraverso una cultura omogenea; oggi, in una società che è profondamente cambiata, ha di fronte un compito ancora più impegnativo, quello di educare alla convivenza attraverso la valorizzazione delle diverse identità e radici culturali.

Il dialogo necessario 

Le Indicazioni nazionali non sono un testo intoccabile, anzi è opportuno garantirne un continuo aggiornamento. Sarebbe desiderabile che questo avvenisse non secondo una logica di contrapposizione, di “punto e a capo”, ma di dialogo. La condizione che lo rende possibile è la ripresa dell’ascolto e del confronto pluralista.

La scuola, non diversamente dalla salute, è un bene comune, non può essere governata con spirito proprietario. I pochi segnali che oggi possiamo cogliere alimentano una fondata diffidenza. Se si mettono in discussione i principi portanti delle Indicazioni del 2012, non siamo di fronte ad una revisione, ma ad una sostituzione.

Le attuali Indicazioni, in apertura, esplicitano i valori che fondano l’idea di scuola che viene proposta: la centralità della persona dello studente, la cittadinanza attiva, la valorizzazione delle diverse culture all’interno di una comunità educativa inclusiva, l’introduzione ai grandi problemi che riguardano la “casa comune” nella quale viviamo. La visione ispiratrice è quella di un nuovo umanesimo, lo sguardo non è ripiegato sui particolarismi, ma aperto al mondo.

Questi valori sono ancora importanti? Sono valori condivisi?

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