- Nella storia del cinema, il burattino di Carlo Collodi si è rivelato un’insidiosa buccia di banana: il rispetto per il target infantile ha sempre tradito l’anima trasgressiva dell’opera
- Questo non accade nel film dell’ultimo regista a misurarsi con Pinocchio, il caposcuola messicano dell’horror Guillermo Del Toro, nelle sale dal 4 dicembre e su Netflix dal 9
- Nelle mani del maestro di Del Toro, la storia del burattino diventa una favola politica, ambientata non nell’Italia classista di fine Ottocento ma nell’atmosfera cupa e opprimente del regime fascista
A Patti Smith è andata bene. La sua indefettibile passione per Pinocchio (confessata a ripetizione, e non solo a me ) non l’ha mai indotta a dedicargli un verso o una nota. Buon per lei, perché il burattino di Carlo Collodi, ispiratore di passioni ossessive e brucianti, è una insidiosa buccia di banana. Favola nera italiana da esportazione con risvolti cupissimi ( puntualmente smussati da molte illustri riletture cinematografiche) non ha mai portato fortuna a chi l’ha affrontata. Fa eccezion



